Finanza & Dintorni
I paesi di Visegrad si distinguono dagli altri per essere euroscettici. Di certo freddi e diffidenti nei confronti di Bruxelles. Eppure, e lo dicono i numeri, dall'Ue hanno preso più che dato.
Vi parlo oggi del quartetto di Visegrad. Nome che nacque con il trattato del 1991 firmato nell’omonima città ungherese dai governi di Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria. Paesi che passarono a quattro nel 1993, quando la Cecoslovacchia si disgregò in Repubblica Ceca e Slovacchia. Questi paesi, in pochi anni, sono passati dall'essere euroentusiasti all'essere eurocritici.
Perché? Sono ostili nei confronti dei migranti, e sempre più insofferenti nei confronti dell’Unione Europea. Lamentano, come fanno altri paesi, di non sentirsi parte dei processi decisionali di Bruxelles, svuotati della loro sovranità.
Ma se Ungheria o Polonia lasciassero l'Ue, sarebbero le prime a rimetterci, dato che Bruxelles in questi anni nei loro confronti è stata di bocca e di manica larga.
Se è vero che, come ho scritto in precedenza, Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania sono contributori netti, ovvero versano nelle casse dell’Ue più di quanto ricevano, per il gruppo di Visegrad è il contrario. Sono annoverati, con la Romania, tra i paesi che ricevono più fondi dall’Europa.
Ungheria e Polonia in testa, il quartetto è riuscito a crescere anche negli anni bui della crisi grazie ai fondi ricevuti dall'Ue. Scendendo nei dettagli, Budapest nel 2017 ha contribuito al bilancio comunitario con 900 milioni di euro, ricevendone indietro quattro miliardi. Saldo quindi nettamente a favore degli ungheresi. Questa cifra è importante per l'Ungheria? Direi di sì dato che è pari a tre punti di prodotto interno lordo. Le spese pubbliche per beni e servizi sostenute da Budapest per un terzo sono targate Ue, per intenderci. Non proprio noccioline. La Polonia, dal canto suo, l'anno scorso ha ricevuto dall’Unione 11 miliardi di euro, versandone 3. Di miliardi, netti, Varsavia ne ha portati a casa 8.
Per questo Bruxelles mal digerisce l'atteggiamento dei quattro e più stati chiedono di tagliare loro i flussi dei fondi. Perché i denari li percepiscono, ma quando si tratta di contraccambiare, fare la loro parte sui migranti per esempio, battono in ritirata.