In inglese significa “ampiezza”, “apertura”: rappresenta la differenza tra i rendimenti dei titoli di due Stati diversi, di solito si prende a riferimento la Germania. Tutto quello che c'è da sapere sullo spread
“Spread” significa in inglese “ampiezza”, “apertura”. Rappresenta la differenza tra i rendimenti dei titoli di due Stati diversi. Di solito si prende a riferimento la Germania. Se un titolo di Stato tedesco rende l’1% e un analogo titolo di Stato rende il 3%, si dice che lo spread è del 2%, cioè la differenza tra i due valori. In termini tecnici di dirà “lo spread è di 200 punti base”. “100 punti” equivale a dire “1%”.
Che cosa sono i Titoli di Stato?
È il modo con cui i Paesi chiedono in prestito i soldi. Quando uno Stato emette dei titoli, chi li compra fa un prestito a quello Stato, che dovrà restituire i soldi alla scadenza pagando periodicamente degli interessi. Quando l’Italia emette un BTP a 10 anni, ad esempio, incassa un prestito che restituirà 10 anni dopo, pagando ogni anno degli interessi che vengono stabiliti al momento della vendita. Chi compra un titolo di Stato non è obbligato ad aspettare la scadenza per rientrare dall’investimento. Se trova qualcun altro che vuole acquistarlo, può venderglielo. È il cosiddetto “mercato secondario”. Lo Stato rimborserà il titolo a chi lo avrà in mano quando arriverà la scadenza.
Chi presta i soldi agli Stati?
Genericamente si dice “i mercati”. I mercati non sono entità astratte: sono banche, fondi di investimento, famiglie, imprese etc… Chiunque può comprare titoli di Stato e chiunque può sbarazzarsene se pensa che non valga la pena tenerseli. L’Italia ha il 70% dei suoi debiti con banche, imprese e cittadini italiani. Il 30% è invece stato prestato dall’estero. Una fetta dei titoli che l’Italia dovrà rimborsare è in mano alla Banca Centrale Europea (circa 340 miliardi) che tramite la Banca d’Italia negli ultimi anni ha “rastrellato” sul mercato i titoli di Stato (il famoso “quantitative easing”).
Perché esiste lo spread?
Quando prestiamo soldi agli Stati (quando compriamo cioè i loro titoli), il meccanismo è lo stesso di qualsiasi altro prestito: ci interessa capire quanto rischiamo di perderli. Se pensiamo che lo Stato sia molto affidabile, ci accontenteremo di interessi bassi. Se invece pensiamo che ci sia qualche rischio di non rivedere indietro i soldi, pretenderemo un guadagno più alto, che giustifichi quel rischio. Lo spread misura la differenza di affidabilità. Se c’è uno spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi significa che chi compra quei titoli pensa che la Germania sia più affidabile dell’Italia. Se aumenta lo spread, significa che aumenta la “diffidenza” sull’Italia. Se gli investitori non si fidano, si sbarazzano dei titoli italiani. Più li vendono, più lo spread sale.
Che problema c’è se lo spread sale?
Lo spread misura la diffidenza dei mercati su titoli “vecchi”, e su quelli non c’è alcun danno diretto per lo Stato (gli interessi che deve pagare non cambiano). Il problema è che la stessa diffidenza colpirà i nuovi prestiti che lo Stato deve continuamente chiedere. Siccome i titoli devono comunque essere venduti, lo Stato dovrà offrire (e pagare) interessi sempre più alti per attrarre gli investitori. Un esempio: 100 punti di maggiori interessi, se si mantengono a lungo, nel giro di 4 anni costeranno allo Stato 8 miliardi. E ogni anno si accumulano nuovi costi. Quando gli interessi schizzano troppo in alto il costo per lo Stato può diventare insostenibile. Lo spread ha un effetto anche sulle banche: più sale e più rischia di incepparsi il sistema del credito (tassi più alti, prestiti più difficili da ottenere etc…). A lungo andare questo danneggia imprese e famiglie.
Ma abbiamo proprio bisogno dei “mercati”?
Sì. Tutti i Paesi hanno un debito pubblico e una massa più o meno grande di titoli di Stato che aspettano di essere rimborsati. L’Italia ha un debito enorme. Ogni anno deve rimborsare circa 400 miliardi di euro di debiti che arrivano a scadenza. L’unico modo per trovare una cifra del genere è chiederne in prestito più o meno altrettanti. Se, oltre a questo, lo Stato spende più di quanto incassa per le prestazioni che offre ai cittadini (pensioni, sanità etc…) deve far ricorso a nuovi prestiti. Più si è indebitati, più bisogna far ricorso al mercato. La Banca Centrale Europea (così come la Banca d’Italia dal 1981 in poi) non può comprare i titoli sostituendosi al mercato nel momento delle aste. Sta comprando però quelli già presenti sul mercato. L’alternativa (cioè non pagare il debito in tutto o in parte) è uno scenario di estrema complessità, come dimostrano (pur con le loro differenze) i casi recenti dell’Argentina o della Grecia.