Siamo primo partner commerciale UE di Teheran. Già siglati numerosi contratti per il futuro
Cosa rischiano le aziende italiane dopo che gli Stati Uniti hanno annunciato di sfilarsi dall’accordo sul nucleare siglato nel 2015 per ripristinare le sanzioni economiche nei confronti dell’Iran? Il giro d’affari del nostro Paese con Teheran non è enorme, ma molto promettente e - soprattutto - decisamente in crescita: per quest’anno, Sace - la società pubblica che si occupa di facilitare le nostre esportazioni - prevede che il valore del mercato iraniano arrivi per noi a 2 miliardi di euro, in crescita del 9% rispetto al 2017.
Un mercato in crescita
Dal punto di vista economico, infatti, l’Iran è un paese in forte espansione: per molti versi ancora immaturo eppure ricchissimo di risorse naturali (leggi: petrolio…), corre verso l’industrializzazione a ritmi sostenuti. Con 82 milioni di abitanti, da un paio d’anni la crescita del suo PIL supera abbondantemente il 4% annuo (e il prossimo è prevista sopra il 5%), con un basso tasso di indebitamento (sotto il 16%. L’Italia, per dire, è sopra il 130%).
I nostri affari con Teheran
Secondo l’osservatorio Economico del nostro Ministero dello Sviluppo, nel 2017 l’interscambio commerciale tra i due Paesi è stato di 5 miliardi e 103 milioni di euro, quasi raddoppiato rispetto all’anno precedente (per la precisione: +96,9%). Gli abbiamo venduto (cioè: abbiamo esportato) beni per 1 miliardo e 735 milioni (con un incremento del 12,5% rispetto al 2016 e prospettive di aumentare di altro mezzo miliardo le vendite entro il 2020) e da loro abbiamo comprato (cioè: importato) prodotti per 3 miliardi e 368 milioni (di cui 2 miliardi e 990 milioni solo di petrolio greggio, portando così le importazioni a crescere del 220,8% sul periodo precedente). Nel Paese degli Ayatollah operano una quarantina di nostre aziende, tutte impegnate nei ricchi settori petrolifero, minerario e affini (energia, petrolchimica, siderurgia, meccanica). Non a caso, la parte del leone del nostro export (quasi il 60% del miliardo e 700 milioni di cui sopra) la fa proprio il settore della meccanica, seguito dalla chimica e dall’elettronica: tra contratti già in essere e protocolli siglati per il futuro, nei prossimi anni si stimano investimenti potenziali per 27 miliardi di euro.
Chi rischia con le sanzioni
In Europa, insomma, nessuno fa affari con Teheran quanto noi. L’Amministrazione Usa è disposta a concedere fino a sei mesi di tempo (che scadono il 4 novembre) per chiudere i residui rapporti commerciali. Dopo, in teoria, l’Iran diventerebbe un Paese tagliato fuori, perché chiunque vendesse anche solo una vite a un Paese sotto embargo sarebbe a sua volta passibile di sanzioni. E ad essere colpite sarebbero non solo le aziende che esportano o comprano, ma anche quelle che le finanziano. Come (sempre in teoria) le banche. A meno che non vengano previste esenzioni: a questo punto l’unico modo di scongiurare una vera e propria guerra commerciale globale, dichiarata dagli Stati Uniti al resto del mondo.