Dagli intoccabili “diritti acquisiti” ai paradossi della spesa assistenziale: un macigno sui conti pubblici segnato da troppe incongruenze
Sul capitolo “pensioni” propriamente detto parlare di sprechi è delicato, poiché si tratta di assegni derivanti da “diritti acquisiti” e spesso di importo modesto.
I diritti acquisiti, tuttavia, possono essere considerati sprechi passati.
Esistono prestazioni palesemente sproporzionate rispetto ai contributi versati (vitalizi, pensioni di platino… anche se a norma di legge). Quasi 80 mila persone, ad esempio, sono andate in pensione tra i 35 e i 39 anni. Che esistano grandi squilibri (e quindi inefficienze) anche nella spesa previdenziale è innegabile, anche immaginando che la cifra totale destinata alle prestazioni resti inalterata.
Diverso e ancora più grave è il caso della spesa assistenziale.
L’Inps rivela, ad esempio, che sui 20 miliardi di prestazioni per gli anziani “poveri” (integrazioni al minimo, assegni sociali...) ben 5 miliardi vanno alla fascia più agiata della popolazione: il 25%.
Le pensioni di invalidità sono letteralmente “esplose” negli ultimi anni fino a toccare un costo di 15 miliardi annui. Le stime sul numero di falsi invalidi sono oggetto di discussione.
Nel corso degli ultimi anni, su 850 mila verifiche gli assegni revocati sono state 67 mila (crica l’8%). La grande disomogeneità geografica testimonia però la presenza di forti distorsioni (al sud , in proporzione, sono il doppio che al nord). Nel capitolo “assistenza” rientrano anche gli ammortizzatori sociali, la cui reale efficacia è oggetto di dibattito (è infatti in corso un riordino complessivo di questo genere di prestazioni).
In totale, in questo comparto, la stima della spesa inefficiente è da considerarsi prudenzialmente più bassa che negli altri (una percentuale inferiore al 10%).