L’amministratore delegato del Lingotto, incontrando i dirigenti dell’azienda, ribadisce: “Noi ci impegniamo a fare la nostra parte ma da soli non possiamo fare tutto”. E aggiunge: “Dobbiamo ripensare il modello di business”. Il governo vede i sindacati
"Non ho mai smesso di occuparmi della Fiat e non ho intenzione di farlo. Non ho alcuna intenzione di abbandonarvi". Lo ha assicurato l'ad della Fiat, Sergio Marchionne, ai dirigenti riuniti al Lingotto a Torino. E ha ribadito: “Noi ci impegniamo a fare la nostra parte, ma da soli non possiamo fare tutto. E' necessario iniziare da subito a pianificare azioni, a livello italiano ed europeo, per recuperare competitività nazionale. Dobbiamo ripensare il modello di business al quale siamo abituati". Parole che arrivano nel giorno in cui il ministro del Lavoro Elsa Fornero, con accanto il ministro dello Sviluppo Corrado Passera, ha incontrato i sindacati a Palazzo Chigi. Dal governo, hanno fatto sapere i presenti, c'é la volontà di “una interlocuzione” per comprendere meglio la posizione delle associazioni sindacali, per recepire “impressioni e suggerimenti”. Fredda, però, la reazione dei sindacati, delusi dalla mancanza di dettagli sul piano industriale della Fiat per gli stabilimenti in Italia, sui programmi di investimento, sulle ricadute sul lavoro. Assenti i leader di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti.
Negli ultimi quattro anni - ha proseguito Marchionne a Torino - ho viaggiato spesso tra l'Italia e gli Stati Uniti e ho passato molto tempo in Chrysler. Sarei un ingenuo se non mi fossi accorto che questo ha generato, anche internamente, un certo stato d'animo. Tutti eravate abituati a una guida sempre presente. E poi, all'improvviso, una settimana c'era e quella dopo stava a 7.000 chilometri di distanza. So che sono nati dubbi, dentro l'azienda e che li avete condivisi con i vostri colleghi. Dubbi sul mio impegno personale in Fiat e in Italia, timori che il mio ufficio di Detroit possa diventare quello principale. Questi pensieri possono avere alimentato un certo senso di abbandono. Vi ho voluto incontrare anche per questo. Non ho mai smesso di occuparmi della Fiat e non ho intenzione di farlo. L'impegno che ho preso il primo giugno 2004, con gli azionisti ma prima di tutto con voi, è immutato, è vivo e forte, oggi più che mai". Marchionne ha spiegato che era necessario andare di frequente negli Usa "perché dovevamo rimettere in moto Chrysler in tempi record. Era necessario a tutti quanti perché il nostro futuro è garantito da questa alleanza".
Nel ribadire l'intenzione di non lasciare il Paese, l’ad del Lingotto ha detto di avere fiducia sul fatto che trasformando, anche con il sostegno del governo, la parte italiana del gruppo in un centro per l'export, anche verso gli Stati Uniti, la sfida possa essere vinta. Poi, si è lamentato per le critiche a suo avviso ingiuste rivolte al gruppo, dicendo che in certi casi ha avuto paura che prevalesse lo sconforto. "Quando si viene attaccati, come siamo attaccati noi ora, quando le menzogne passano per verità, quando ti accorgi che vince chi urla di più il rischio è che dopo la rabbia iniziale, si venga presi dallo sconforto". E ha continuato: "A volte mi sono chiesto se ne valga la pena. Mi sono chiesto che senso abbia fare tutto ciò per un Paese che non apprezza, che spera nei miracoli di un investitore straniero, che ci dipinge come sfruttatori e incapaci. E qualunque altro insulto vi venga in mente". Infine, ha osservato che la Fiat sta portando avanti un progetto di valore e deve "lavorare per portarlo a termine".
Terminato l'incontro, ai microfoni di SkyTG24, ha commentato così riferendosi ai dirigenti: "Sono uomini Fiat, abbiamo un dovere verso di loro".
Negli ultimi quattro anni - ha proseguito Marchionne a Torino - ho viaggiato spesso tra l'Italia e gli Stati Uniti e ho passato molto tempo in Chrysler. Sarei un ingenuo se non mi fossi accorto che questo ha generato, anche internamente, un certo stato d'animo. Tutti eravate abituati a una guida sempre presente. E poi, all'improvviso, una settimana c'era e quella dopo stava a 7.000 chilometri di distanza. So che sono nati dubbi, dentro l'azienda e che li avete condivisi con i vostri colleghi. Dubbi sul mio impegno personale in Fiat e in Italia, timori che il mio ufficio di Detroit possa diventare quello principale. Questi pensieri possono avere alimentato un certo senso di abbandono. Vi ho voluto incontrare anche per questo. Non ho mai smesso di occuparmi della Fiat e non ho intenzione di farlo. L'impegno che ho preso il primo giugno 2004, con gli azionisti ma prima di tutto con voi, è immutato, è vivo e forte, oggi più che mai". Marchionne ha spiegato che era necessario andare di frequente negli Usa "perché dovevamo rimettere in moto Chrysler in tempi record. Era necessario a tutti quanti perché il nostro futuro è garantito da questa alleanza".
Nel ribadire l'intenzione di non lasciare il Paese, l’ad del Lingotto ha detto di avere fiducia sul fatto che trasformando, anche con il sostegno del governo, la parte italiana del gruppo in un centro per l'export, anche verso gli Stati Uniti, la sfida possa essere vinta. Poi, si è lamentato per le critiche a suo avviso ingiuste rivolte al gruppo, dicendo che in certi casi ha avuto paura che prevalesse lo sconforto. "Quando si viene attaccati, come siamo attaccati noi ora, quando le menzogne passano per verità, quando ti accorgi che vince chi urla di più il rischio è che dopo la rabbia iniziale, si venga presi dallo sconforto". E ha continuato: "A volte mi sono chiesto se ne valga la pena. Mi sono chiesto che senso abbia fare tutto ciò per un Paese che non apprezza, che spera nei miracoli di un investitore straniero, che ci dipinge come sfruttatori e incapaci. E qualunque altro insulto vi venga in mente". Infine, ha osservato che la Fiat sta portando avanti un progetto di valore e deve "lavorare per portarlo a termine".
Terminato l'incontro, ai microfoni di SkyTG24, ha commentato così riferendosi ai dirigenti: "Sono uomini Fiat, abbiamo un dovere verso di loro".