Ministeri online, la trasparenza non è di casa
EconomiaUn rapporto della Commissione Civit misura il grado di adempimento delle amministrazioni statali rispetto alla normativa sulla pubblicazione dei dati: il risultato presenta luci e ombre
di Raffaele Mastrolonardo
Non abita qui, verrebbe da dire. Se non fosse che la cosiddetta legge Brunetta (la 150 del 2009) doveva servire anche a questo: a rendere la trasparenza una presenza fissa nei ministeri italiani. E invece, a 3 anni di distanza dall'approvazione delle norme, nelle stanze degli uffici pubblici il panorama è ancora fatto di luci e ombre. A dipingere questo scenario è un rapporto (qui in Pdf) di Civit (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche) che valuta lo stato di attuazione della legge e più in generale delle norme che regolano la pubblicazione delle informazioni delle amministrazioni centrali dello stato.
Inadempienza generalizzata, ministeri che si limitano a fare il compitino e qualità dei dati non omogenea sono alcuni degli elementi che contribuiscono a disegnare uno scenario complessivo che ha i tratti di un fallimento culturale: “Non si è ancora affermato – si legge infatti nel rapporto - il valore dell’informazione come strumento per favorire il controllo sociale e diffuso sull’operato della pubblica amministrazione, sull’impiego delle risorse pubbliche e sui servizi resi”.
Migliori e peggiori - I numeri, da parte loro, confermano le difficoltà. Il livello di adempimento medio alla normativa sulla trasparenza dei ministeri si ferma infatti al 59%, poco più della metà. Come specifica il rapporto, questo risultato non significa affatto sufficienza, anzi: “Vuol dire che tutte le amministrazioni statali, dalle quali è legittimo aspettare prontezza nell’esecuzione della legge, risultano in una certa misura – e con notevoli oscillazioni – inadempienti rispetto a norme poste dal legislatore a tutela dei cittadini”. Insomma, a stretto rigore, non si salva nessuno. Anche se poi, più nel dettaglio, c'è chi fa "meno peggio". Il ministero dell'Ambiente, per esempio, si segnala per un livello di adempimento alle norme del 79 % e anche quelli dei Beni Culturali (75%) e della Salute (70%) non sfigurano. All'opposto, Giustizia (50%) e Lavoro (51%) superano di poco la linea di galleggiamento mentre la Difesa (44%) affonda. Ma mettere le informazioni richieste dalla legge online è un conto, assicurarsi che siano chiare e tempestive un altro.
E dunque anche chi eccelle in una voce rischia di cadere in un'altra. “Alcuni dei ministeri con valori di compliance più alti, infatti, risultano avere valori molto bassi in termini di specifiche dimensioni qualitative”, afferma il rapporto. E' il caso, per esempio, del ministero dell'Ambiente che, nonostante sia prolifico, risulta il peggiore per quanto riguarda il tasso di aggiornamento (22%) e pure per quanto attiene all'apertura dei formati con cui i dati sono messi a disposizione, un aspetto che gli vale un bello 0 in percentuale.
Quali informazioni? - Quanto al tipo di informazioni pubblicate le analisi della Civit mostrano una grande selettività da parte delle amministrazioni. Quasi tutte raggiungono buoni livelli per quanto riguarda la messa a disposizione online dei dati sul personale, gli incarichi e le relative retribuzioni (anche se “si tratta spesso di dati di cattiva qualità o poco attendibili”, si precisa).
Il problema – fa notare il documento – è che in questi casi il rispetto della norma deriva dall'obiettivo “di non incorrere nelle forme di responsabilità o nei divieti di pagamento a volte previsti da norme specifiche”. Laddove non c'è il rischio sanzione, invece, prevale il lassismo, anche quando si tratta di informazioni che sarebbero assai utili peri il cittadino. E' il caso, per esempio, delle statistiche sulla qualità dei servizi, definite dal rapporto “decisamente carenti”, nonostante questo sia uno degli aspetti su cui la normativa insiste di più per “promuovere il controllo sociale dell’azione pubblica, nelle sue dimensioni di efficienza, efficacia ed economicità”. Dunque, nonostante i proclami dell'allora ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta sloggiare l'opacità dai templi della burocrazia si rivela impresa assai complessa. E alla fine viene il dubbio che siano le stesse armi impiegate ad essere inadeguate. Lo dice, tra le righe, anche il rapporto quando invita il legislatore a “riflettere” sulla “efficacia di norme molto generali, come quelle citate, che vengono applicate con difficoltà se non declinate in norme di dettaglio”.
Non abita qui, verrebbe da dire. Se non fosse che la cosiddetta legge Brunetta (la 150 del 2009) doveva servire anche a questo: a rendere la trasparenza una presenza fissa nei ministeri italiani. E invece, a 3 anni di distanza dall'approvazione delle norme, nelle stanze degli uffici pubblici il panorama è ancora fatto di luci e ombre. A dipingere questo scenario è un rapporto (qui in Pdf) di Civit (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche) che valuta lo stato di attuazione della legge e più in generale delle norme che regolano la pubblicazione delle informazioni delle amministrazioni centrali dello stato.
Inadempienza generalizzata, ministeri che si limitano a fare il compitino e qualità dei dati non omogenea sono alcuni degli elementi che contribuiscono a disegnare uno scenario complessivo che ha i tratti di un fallimento culturale: “Non si è ancora affermato – si legge infatti nel rapporto - il valore dell’informazione come strumento per favorire il controllo sociale e diffuso sull’operato della pubblica amministrazione, sull’impiego delle risorse pubbliche e sui servizi resi”.
Migliori e peggiori - I numeri, da parte loro, confermano le difficoltà. Il livello di adempimento medio alla normativa sulla trasparenza dei ministeri si ferma infatti al 59%, poco più della metà. Come specifica il rapporto, questo risultato non significa affatto sufficienza, anzi: “Vuol dire che tutte le amministrazioni statali, dalle quali è legittimo aspettare prontezza nell’esecuzione della legge, risultano in una certa misura – e con notevoli oscillazioni – inadempienti rispetto a norme poste dal legislatore a tutela dei cittadini”. Insomma, a stretto rigore, non si salva nessuno. Anche se poi, più nel dettaglio, c'è chi fa "meno peggio". Il ministero dell'Ambiente, per esempio, si segnala per un livello di adempimento alle norme del 79 % e anche quelli dei Beni Culturali (75%) e della Salute (70%) non sfigurano. All'opposto, Giustizia (50%) e Lavoro (51%) superano di poco la linea di galleggiamento mentre la Difesa (44%) affonda. Ma mettere le informazioni richieste dalla legge online è un conto, assicurarsi che siano chiare e tempestive un altro.
E dunque anche chi eccelle in una voce rischia di cadere in un'altra. “Alcuni dei ministeri con valori di compliance più alti, infatti, risultano avere valori molto bassi in termini di specifiche dimensioni qualitative”, afferma il rapporto. E' il caso, per esempio, del ministero dell'Ambiente che, nonostante sia prolifico, risulta il peggiore per quanto riguarda il tasso di aggiornamento (22%) e pure per quanto attiene all'apertura dei formati con cui i dati sono messi a disposizione, un aspetto che gli vale un bello 0 in percentuale.
Quali informazioni? - Quanto al tipo di informazioni pubblicate le analisi della Civit mostrano una grande selettività da parte delle amministrazioni. Quasi tutte raggiungono buoni livelli per quanto riguarda la messa a disposizione online dei dati sul personale, gli incarichi e le relative retribuzioni (anche se “si tratta spesso di dati di cattiva qualità o poco attendibili”, si precisa).
Il problema – fa notare il documento – è che in questi casi il rispetto della norma deriva dall'obiettivo “di non incorrere nelle forme di responsabilità o nei divieti di pagamento a volte previsti da norme specifiche”. Laddove non c'è il rischio sanzione, invece, prevale il lassismo, anche quando si tratta di informazioni che sarebbero assai utili peri il cittadino. E' il caso, per esempio, delle statistiche sulla qualità dei servizi, definite dal rapporto “decisamente carenti”, nonostante questo sia uno degli aspetti su cui la normativa insiste di più per “promuovere il controllo sociale dell’azione pubblica, nelle sue dimensioni di efficienza, efficacia ed economicità”. Dunque, nonostante i proclami dell'allora ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta sloggiare l'opacità dai templi della burocrazia si rivela impresa assai complessa. E alla fine viene il dubbio che siano le stesse armi impiegate ad essere inadeguate. Lo dice, tra le righe, anche il rapporto quando invita il legislatore a “riflettere” sulla “efficacia di norme molto generali, come quelle citate, che vengono applicate con difficoltà se non declinate in norme di dettaglio”.