Non solo .com: le imprese potranno utilizzare anche il loro nome come parte finale dell'indirizzo web. È potenzialmente iniziata l'era del .qualsiasicosa. Un cambiamento radicale che presenta però dei rischi per la sicurezza e per il business. Ecco perché
di Gabriele De Palma
La liberalizzazione dei suffissi degli indirizzi internet (tecnicamente domini di primo livello generici o gTLD con la sigla inglese) è stata annunciata come la più grande rivoluzione dai tempi dell'approvazione del più famoso di tutti, il .com. All'epoca, era il 1985, vennero resi disponibili sette suffissi, che restano i più usati in rete: net, gov, org (arpa – il primo in assoluto – mil, per le organizzazioni militari ed edu per quelle dell'istruzione non ebbero la fortuna dei loro compagni).
Da allora se ne sono aggiunti altri nel 2001, nel 2005 e nel 2006 per un totale di 22 gTDL e 250 suffissi nazionali. Dopo ventisei anni di piccole e combattutissime aperture – su tutte emblematica è stata la battaglia per il dominio del porno (.xxx) e ancora attuale quella per i siti gay (.gay) – quasi all'improvviso arriva la libertà assoluta. O meglio regolata da alcuni criteri da rispettare per ottenere la registrazione di un dominio di primo livello. È potenzialmente iniziata l'era del .qualsiasicosa. La motivazione di questa nuova era è il crescente numero di utenti, lingue, dispositivi e siti presenti sul web. Per dirla con il Direttore Icann Peter Dengate Thrush: "Per favorire la creatività e l'ispirazione delle generazioni a venire". Ma non poche sembrano le ragioni commerciali e non tutto è destinato a filare liscio.
Guarda il board Icann che vota la liberalizzazione dei gTDL
Sicurezza - In Rete infatti non mancano le voci critiche di questa rivoluzione decisa con una votazione a maggioranza schiacciante (13 favorevoli, due astenuti e un contrario) dei membri dell'Icann. E le preoccupazioni sono di natura diversa. La più urgente, ben descritta da Alan Drewsen sul blog di Forbes, riguarda la sicurezza dei nuovi gTDL: la loro moltiplicazione potrebbe agevolare gli attacchi informatici.
L'Icann infatti ha decretato che non solo qualsiasi sequenza di lettere possa diventare dominio di primo livello, ma che lo possa fare in qualsiasi alfabeto noto. Già da tempo alcuni osservatori, come ad esempio Nigel Kendall del Times, hanno fatto notare come ad esempio il cirillico sia una fonte di ambiguità pericolosa, perché presenta alcuni caratteri identici nell'aspetto ma differenti per significato all'alfabeto latino che potrebbero essere sfruttati per creare dei finti url perfettamente identici a quelli autentici (ad esempio eBay), in modo da confondere l'utente e carpirgli informazioni sensibili. Tra le voci più critiche c'è anche Lauren Weinstein, attivista e curatrice di un blog molto seguito e paladina della difesa della neutralità della rete.
Business - Un altro aspetto che non entusiasma molti osservatori è legato alla natura commerciale dell'operazione. In base alle regole della liberalizzazione, potranno infatti registrare un nuovo suffisso solo organizzazioni pubbliche e private con una comprovata storia alle spalle, disposte a pagare i 130mila euro necessari per formulare la proposta e 20mila euro all'anno per la gestione, oltre ovviamente a una serie di procedure e meccanismi per garantire che il nuovo dominio sarà gestito in modo appropriato. I soldi serviranno all'Icann per controllare che le richieste siano corrette e le credenziali del richiedente a posto.
Insomma le richieste sembrano riservate quasi esclusivamente alle multinazionali, le uniche in grado di presentare le garanzie del caso, e alle grandi organizzazioni e i gruppi di interesse, magari in consorzio. Una rivoluzione distante dalle piccole e medie imprese e dagli utenti privati, da chi la rete la naviga e la alimenta. Inizia forse l'epoca dei marchi che diventano suffissi degli url. Canon pare abbia già iniziato a raccogliere i documenti necessari, altri grandi brand seguiranno a breve anche solo per occupare uno spazio che sarebbe rischioso lasciare vacante, e anche l'Unicef si è detta molto interessata. Il board dell'Icann stima in un migliaio le richieste che arriveranno a partire dal 12 gennaio 2012 e fino al termine della prima finestra per l'accettazione dei nuovi nomi, il 12 aprile. Poi dal 2013 i nuovi gTDL saranno attivi. Per esempio sarà possibile navigare non più solo il sito “www.canon.com” ma anche il più semplice “www.canon” o ancora più breve “canon” (il www non è necessario per un url).
Utilità - L'ultimo problema dei nuovi domini è rappresentato dalla probabile indifferenza generalizzata degli utenti. Se esistesse ancora il settimanale satirico Cuore, probabilmente la notizia della liberalizzazione verrebbe inserita nella rubrica “e chi se ne frega”, o almeno così la pensa l'editorialista di PCMag, Mark Hachman che prevede che la fine della storia dei nuovi domini sarà semplicemente quella avvenuta a molti loro predecessori. Chi saprebbe infatti elencare i 22 gTDL attualmente in uso? La storia del web, sebbene breve, è già stata chiara su questo punto: a parte .com, .org e .net per gli altri non c'è stato molto spazio e soprattutto nessuna attenzione da parte del pubblico. L'esempio che fa Hachman è quello del suffisso .museum, introdotto nel 2001 non ha riscosso alcun successo, nemmeno presso le istituzioni museali più importanti del pianeta. Analoga sorte per il momento hanno incontrato i vari aero, coop, pro, jobs e travel. A parte i tre domini di primo livello più usati, gli altri vengono acquistati nella maggior parte dei casi per tutelare il proprio marchio, ma non hanno nessuna funzione specifica. E questo per un motivo tecnico semplicissimo: quasi nessuno digita l'indirizzo del sito desiderato nella barra dell'url del browser, è più breve digitare quel che si cerca nella griglia di un motore di ricerca e poi cliccare sul risultato pertinente. Che questo poi finisca in .com, .it o .qualsiasi poco importa.
La liberalizzazione dei suffissi degli indirizzi internet (tecnicamente domini di primo livello generici o gTLD con la sigla inglese) è stata annunciata come la più grande rivoluzione dai tempi dell'approvazione del più famoso di tutti, il .com. All'epoca, era il 1985, vennero resi disponibili sette suffissi, che restano i più usati in rete: net, gov, org (arpa – il primo in assoluto – mil, per le organizzazioni militari ed edu per quelle dell'istruzione non ebbero la fortuna dei loro compagni).
Da allora se ne sono aggiunti altri nel 2001, nel 2005 e nel 2006 per un totale di 22 gTDL e 250 suffissi nazionali. Dopo ventisei anni di piccole e combattutissime aperture – su tutte emblematica è stata la battaglia per il dominio del porno (.xxx) e ancora attuale quella per i siti gay (.gay) – quasi all'improvviso arriva la libertà assoluta. O meglio regolata da alcuni criteri da rispettare per ottenere la registrazione di un dominio di primo livello. È potenzialmente iniziata l'era del .qualsiasicosa. La motivazione di questa nuova era è il crescente numero di utenti, lingue, dispositivi e siti presenti sul web. Per dirla con il Direttore Icann Peter Dengate Thrush: "Per favorire la creatività e l'ispirazione delle generazioni a venire". Ma non poche sembrano le ragioni commerciali e non tutto è destinato a filare liscio.
Guarda il board Icann che vota la liberalizzazione dei gTDL
Sicurezza - In Rete infatti non mancano le voci critiche di questa rivoluzione decisa con una votazione a maggioranza schiacciante (13 favorevoli, due astenuti e un contrario) dei membri dell'Icann. E le preoccupazioni sono di natura diversa. La più urgente, ben descritta da Alan Drewsen sul blog di Forbes, riguarda la sicurezza dei nuovi gTDL: la loro moltiplicazione potrebbe agevolare gli attacchi informatici.
L'Icann infatti ha decretato che non solo qualsiasi sequenza di lettere possa diventare dominio di primo livello, ma che lo possa fare in qualsiasi alfabeto noto. Già da tempo alcuni osservatori, come ad esempio Nigel Kendall del Times, hanno fatto notare come ad esempio il cirillico sia una fonte di ambiguità pericolosa, perché presenta alcuni caratteri identici nell'aspetto ma differenti per significato all'alfabeto latino che potrebbero essere sfruttati per creare dei finti url perfettamente identici a quelli autentici (ad esempio eBay), in modo da confondere l'utente e carpirgli informazioni sensibili. Tra le voci più critiche c'è anche Lauren Weinstein, attivista e curatrice di un blog molto seguito e paladina della difesa della neutralità della rete.
Business - Un altro aspetto che non entusiasma molti osservatori è legato alla natura commerciale dell'operazione. In base alle regole della liberalizzazione, potranno infatti registrare un nuovo suffisso solo organizzazioni pubbliche e private con una comprovata storia alle spalle, disposte a pagare i 130mila euro necessari per formulare la proposta e 20mila euro all'anno per la gestione, oltre ovviamente a una serie di procedure e meccanismi per garantire che il nuovo dominio sarà gestito in modo appropriato. I soldi serviranno all'Icann per controllare che le richieste siano corrette e le credenziali del richiedente a posto.
Insomma le richieste sembrano riservate quasi esclusivamente alle multinazionali, le uniche in grado di presentare le garanzie del caso, e alle grandi organizzazioni e i gruppi di interesse, magari in consorzio. Una rivoluzione distante dalle piccole e medie imprese e dagli utenti privati, da chi la rete la naviga e la alimenta. Inizia forse l'epoca dei marchi che diventano suffissi degli url. Canon pare abbia già iniziato a raccogliere i documenti necessari, altri grandi brand seguiranno a breve anche solo per occupare uno spazio che sarebbe rischioso lasciare vacante, e anche l'Unicef si è detta molto interessata. Il board dell'Icann stima in un migliaio le richieste che arriveranno a partire dal 12 gennaio 2012 e fino al termine della prima finestra per l'accettazione dei nuovi nomi, il 12 aprile. Poi dal 2013 i nuovi gTDL saranno attivi. Per esempio sarà possibile navigare non più solo il sito “www.canon.com” ma anche il più semplice “www.canon” o ancora più breve “canon” (il www non è necessario per un url).
Utilità - L'ultimo problema dei nuovi domini è rappresentato dalla probabile indifferenza generalizzata degli utenti. Se esistesse ancora il settimanale satirico Cuore, probabilmente la notizia della liberalizzazione verrebbe inserita nella rubrica “e chi se ne frega”, o almeno così la pensa l'editorialista di PCMag, Mark Hachman che prevede che la fine della storia dei nuovi domini sarà semplicemente quella avvenuta a molti loro predecessori. Chi saprebbe infatti elencare i 22 gTDL attualmente in uso? La storia del web, sebbene breve, è già stata chiara su questo punto: a parte .com, .org e .net per gli altri non c'è stato molto spazio e soprattutto nessuna attenzione da parte del pubblico. L'esempio che fa Hachman è quello del suffisso .museum, introdotto nel 2001 non ha riscosso alcun successo, nemmeno presso le istituzioni museali più importanti del pianeta. Analoga sorte per il momento hanno incontrato i vari aero, coop, pro, jobs e travel. A parte i tre domini di primo livello più usati, gli altri vengono acquistati nella maggior parte dei casi per tutelare il proprio marchio, ma non hanno nessuna funzione specifica. E questo per un motivo tecnico semplicissimo: quasi nessuno digita l'indirizzo del sito desiderato nella barra dell'url del browser, è più breve digitare quel che si cerca nella griglia di un motore di ricerca e poi cliccare sul risultato pertinente. Che questo poi finisca in .com, .it o .qualsiasi poco importa.