Nel mese di gennaio a livello mondiale è stato raggiunto il livello più alto dal 1990, anno un cui è iniziata la misurazione dei costi. L’unico prezzo a restare invariato resta quello della carne. E nei prossimi mesi si prevede un ulteriore aumento
I prezzi alimentari mondiali a gennaio sono saliti ancora a livello record: il Food Prix Index della Fao ha segnato una nuova impennata raggiungendo un livello più alto di quello del 2008, quando l'aumento dei costi delle derrate provocò caos in decine di Paesi. A lanciare l'allarme è la Fao che sottolinea come l'indice, in crescita per il settimo mese consecutivo, abbia raggiunto il livello più alto (sia in termini reali sia nominali) dal 1990, da quando cioè la Fao ha iniziato la misurazione dei costi. Dati che fanno riflettere alla luce delle proteste che stanno dilagando nel Nord Africa (guarda lo speciale): dall’Algeria alla Tunisia fino all’Egitto.
L'indice -che misura ogni mese le variazioni dei prezzi di un paniere composto da cereali, zucchero, semi oleosi, carne e latticini- si è attestato sui 230,7 punti a gennaio contro i 223,1 dello scorso dicembre (+3,4%; nel 2008 il picco fu di 224,1). L'unico prezzo a restare invariato è quello della carne. "I nuovi dati mostrano chiaramente che la pressione al rialzo dei prezzi alimentari a livello mondiale non è in diminuzione", ha spiegato l'economista della Fao Abdolreza Abbassian snocciolando i nuovi dati. "E nei prossimi mesi i prezzi resteranno ancora così alti. A preoccupare è soprattutto la situazione di quei Paesi a basso reddito potrebbero avere problemi a trovare fondi per importare i prodotti alimentari e quella delle famiglie povere che spendono già una larga fetta del loro reddito in cibo". L'unico elemento "incoraggiante", ha aggiunto, "per quanto riguarda un certo numero di Paesi in cui, grazie a un buon raccolto, i prezzi interni di alcuni prodotti alimentari sono restati bassi rispetto a quelli del mercato mondiale".
Uno sguardo più attento all'interno del paniere Fao mostra come l'Indice sui prezzi dei cereali abbia raggiunto i 245 punti nel mese di gennaio: il 3% in più rispetto a dicembre e il più alto da luglio 2008, ma ancora al di sotto di 11 punti percentuali sul picco dell'aprile dello stesso anno. La crescita di gennaio riflette i continui aumenti dei prezzi internazionali del grano e del mais, mentre il prezzo del riso è sceso leggermente poiché il periodo coincide con la raccolta nei principali Paesi esportatori. Sul fronte dei semi oleosi, l'indice Fao è cresciuto del 5,6%: è arrivato a quota 278 punti e ha sfiorato il livello record di giugno 2008.
Cresce anche l'indice dei latticini, che a gennaio ha raggiunto la media dei 221 punti (+6,2% rispetto a dicembre), ma che è ancora di 17 punti percentuali sotto il picco di novembre 2007. La continua domanda globale di prodotti lattiero-caseari, sullo sfondo del declino stagionale della produzione nell'emisfero sud, ha mantenuto i prezzi alti. Anche per lo zucchero, l'indice Fao registra un aumento: +5,4 per cento rispetto a dicembre 2010 e 240 punti. I costi restano alti, spiega l'agenzia Onu, per la scarsità dell'offerta a livello mondiale. A contrastare questa tendenza generale c'è la carne, che a gennaio si è mantenuta intorno ai 166 punti. In Europa i prezzi sono scesi per via della perdita di fiducia dei consumatori dopo lo scandalo dei mangimi contaminati, ma il dato è stato compensato da un lieve aumento dei costi delle esportazioni da Brasile e Stati Uniti.
L'indice -che misura ogni mese le variazioni dei prezzi di un paniere composto da cereali, zucchero, semi oleosi, carne e latticini- si è attestato sui 230,7 punti a gennaio contro i 223,1 dello scorso dicembre (+3,4%; nel 2008 il picco fu di 224,1). L'unico prezzo a restare invariato è quello della carne. "I nuovi dati mostrano chiaramente che la pressione al rialzo dei prezzi alimentari a livello mondiale non è in diminuzione", ha spiegato l'economista della Fao Abdolreza Abbassian snocciolando i nuovi dati. "E nei prossimi mesi i prezzi resteranno ancora così alti. A preoccupare è soprattutto la situazione di quei Paesi a basso reddito potrebbero avere problemi a trovare fondi per importare i prodotti alimentari e quella delle famiglie povere che spendono già una larga fetta del loro reddito in cibo". L'unico elemento "incoraggiante", ha aggiunto, "per quanto riguarda un certo numero di Paesi in cui, grazie a un buon raccolto, i prezzi interni di alcuni prodotti alimentari sono restati bassi rispetto a quelli del mercato mondiale".
Uno sguardo più attento all'interno del paniere Fao mostra come l'Indice sui prezzi dei cereali abbia raggiunto i 245 punti nel mese di gennaio: il 3% in più rispetto a dicembre e il più alto da luglio 2008, ma ancora al di sotto di 11 punti percentuali sul picco dell'aprile dello stesso anno. La crescita di gennaio riflette i continui aumenti dei prezzi internazionali del grano e del mais, mentre il prezzo del riso è sceso leggermente poiché il periodo coincide con la raccolta nei principali Paesi esportatori. Sul fronte dei semi oleosi, l'indice Fao è cresciuto del 5,6%: è arrivato a quota 278 punti e ha sfiorato il livello record di giugno 2008.
Cresce anche l'indice dei latticini, che a gennaio ha raggiunto la media dei 221 punti (+6,2% rispetto a dicembre), ma che è ancora di 17 punti percentuali sotto il picco di novembre 2007. La continua domanda globale di prodotti lattiero-caseari, sullo sfondo del declino stagionale della produzione nell'emisfero sud, ha mantenuto i prezzi alti. Anche per lo zucchero, l'indice Fao registra un aumento: +5,4 per cento rispetto a dicembre 2010 e 240 punti. I costi restano alti, spiega l'agenzia Onu, per la scarsità dell'offerta a livello mondiale. A contrastare questa tendenza generale c'è la carne, che a gennaio si è mantenuta intorno ai 166 punti. In Europa i prezzi sono scesi per via della perdita di fiducia dei consumatori dopo lo scandalo dei mangimi contaminati, ma il dato è stato compensato da un lieve aumento dei costi delle esportazioni da Brasile e Stati Uniti.