Dieci anni di economia italiana: poca crescita e più debito

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Manca la spinta agli investimenti, sia pubblici, sia privati. I conti pubblici hanno perso la loro occasione in questi primi anni del decennio. L'analisi

Un paese che da 10 anni ha smarrito la via della crescita e ha consentito che il debito pubblico aumentasse nonostante gli alti livelli di partenza. Non è la descrizione del Giappone, ma dell'economia italiana che dal paese asiatico ha mutuato il connubio tra economia incapace di svilupparsi e debito elevato. Con l'aggravante che, mentre il debito giapponese è sostanzialmente in mani nazionali, quello italiano, ormai 10 punti di Pil sopra quello del 2000, è per quasi il 45% in mano a investitori esteri.
Oltre 800 miliardi di euro che espongono l'Italia alla possibilità di un attacco, più o meno giustificato che sia, sugli inquieti mercati finanziari. Né, ad attenuante, vale la più classica delle giustificazioni italiane: la perenne instabilità dei governi che non consente politiche di ampio respiro.

I primi 10 anni del nuovo secolo, a dispetto degli ultimi mesi, si caratterizzano per il quadro politico più stabile della storia della Repubblica italiana. Per tre quarti del periodo timoniere del governo è stato Berlusconi, mentre Tremonti dava la linea in materia di politica economica.
I risultati sono deludenti: in tema di economia reale in questi 10 anni l'Italia condivide con la Germania la palma di paese con minor crescita, né può vantare la ripresa spumeggiante che l'economia tedesca ha mostrato negli ultimi mesi.
Ma cosa non ha funzionato nonostante il vantaggio della stabilità politica?

L'Italia, entrando nell'unione monetaria europea, ha dovuto mettere da parte la carta della svalutazione che aveva drogato la capacità di esportare delle imprese italiane. E, di fronte al venir meno di questo strumento, non sono state poste le basi per dare competitività al sistema. "Sono mancati gli investimenti, quelli pubblici, ma anche quelli privati: mentre negli anni novanta l'industria ha investito per introdurre automazione al posto del lavoro, dall'entrata nell'euro questa tendenza si è interrotta e non è stata sostituita da altre" commenta l'economista Marcello de Cecco. All'industria privata italiana, già dagli anni Novanta fuori da molti settori chiave, è mancata la capacità di fare un salto tecnologico e di produttività, trattenuta dai suoi connotati di impresa familiare e tradizionale. Dal settore pubblico, d'altro canto, è mancata la spinta a creare un tessuto favorevole agli investimenti, nazionali e dall'estero.

La lista dei disincentivi vede in prima linea la carenza di infrastrutture, che nell'ambito tecnologico ci vedono ormai alle spalle di alcuni paesi emergenti, e un impianto giuridico che espone il potenziale investitore ad attese pluriennali in vista del verdetto definitivo. L'intoccabilità delle corporazioni - rispetto alle quali il solo Bersani in versione ministro può vantare mosse concrete - è poi un ulteriore elemento di rigidità che rende il settore dei servizi poco concorrenziale e oneroso. Nessuno di questi temi, peraltro, sembra essere al centro dell'attenzione del governo che, messa da parte la sua ipotesi di rilancio dell'economia attraverso un deciso ribasso della pressione fiscale, non ha all'ordine del giorno scelte di politica industriale forti. Nonostante l'arrivo di un +1% per il Pil 2010 che ben sintetizza un decennio di quasi stagnazione.

In tema di conti pubblici, il Tremonti 2, quello della legislatura in corso molto attento ai conti pubblici e a fronteggiare l'effetto della crisi finanziaria, è molto diverso dal Tremonti 1 - periodo 2001-2006 - che, in qualità di presidente di turno dell'Eurogruppo, spalleggiava Francia e Germania nel respingere le richieste di sanzioni della Commissione per sforamento nei conti. Ed è di quegli anni - quelli del primo Tremonti - l'occasione perduta per arrivare a fine decennio con un debito più in ordine e qualche risorsa in più per dare fiato a un'economia asfittica.
Nel 2005, come frutto di quella scelta, il debito/Pil, dopo 10 anni di discesa che lo avevano portato dal 122 al 104%, ha ripreso a crescere, trend che a oggi si è interrotto solo nel 2007, unico anno pieno di mandato di Padoa-Schioppa all'Economia.
"E' un circolo vizioso da cui è molto difficile uscire. Nell'ultima parte degli anni novanta erano state create le condizioni per mettere a posto i conti. Poi dal 2001 al 2006 il governo Berlusconi ha attuato la sua piattaforma elettorale, come si fa anche in altri paesi, ma noi abbiamo un debito a cui dobbiamo tenere testa" ricorda l'economista Marcello de Cecco.
Un debito che tra quest'anno e il prossimo tornerà ad affacciarsi al 120% del Pil. "Abbiamo disfatto la tela di Penelope tessuta per 15 anni" conclude da Ref Fedele de Novellis.

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