Non solo successi. Ora il colosso di Mountain View deve fare i conti con i passi falsi. Da Nexus One, il telefonino ritirato dal mercato, a Knol (l’anti-Wikipedia): ecco tutti i prodotti di BigG che non ce l’hanno mai fatta
di Nicola Bruno
Era stato presentato come un SuperPhone, superiore ai concorrenti per prestazioni e programmi disponibili. Ma a meno di sei mesi dal lancio è stato improvvisamente ritirato dal negozio online. Il motivo? Agli utenti non è piaciuto, inutile quindi continuare con la produzione.
Il flop di Nexus One rappresenta un duro colpo per un’azienda abituata a mettere in fila un successo dietro l’altro. Scatenando ogni volta aspettative altissime nella stampa e tra gli appassionati di tecnologia, come forse solo Apple sa fare.
Se lo sbarco di Google nella telefonia mobile non è stato dei più fortunati (anche se, va sottolineato, il sistema operativo per smartphone Android continua ad andare a gonfie vele), non si tratta certo della prima volta che il colosso di Mountain View si trova a fare i conti prodotti ritirati e servizi che non ottengono il successo sperato.
Ricordate il lancio di Knol, l’enciclopedia collaborativa che avrebbe dovuto rappresentare una seria minaccia per Wikipedia? Qualcuno ne ha sentito più parlare? Anche qui erano bastati meno di sei mesi per capire che Wikipedia non era affatto in pericolo. La scelta di Mountain View di puntare tutto sull’autorevolezza dei singoli autori (e non sulle masse di utenti) non sembra aver ripagato in termini di numeri e qualità dei contributi.
E che dire di Lively? Presentato in piena euforia da mondi virtuali come il killer di Second Life ha avuto ben presto i giorni contati. All’epoca Google parlò di un semplice esperimento, ma è triste vedere quel “Goodbye” che ora campeggia sull’home-page del servizio. Anche perché tutti gli avatar in 3D e gli ambienti creati dagli utenti sono per sempre spariti dalla faccia del web.
La lista degli anti-(prodotti di successo altrui) è lunga. E così pure gli inevitabili flop: non sempre basta riprendere un’idea di successo, metterci il marchio Google e sperare in un boom. Si veda Answers, il servizio di domande e risposte generate dagli utenti che voleva contrastare l’inarrestabile Yahoo! Answers. Chiuso dopo cinque anni di scarsa partecipazione.
Stesso destino per Base, il negozio online che doveva servire a bloccare l’ascesa di eBay: è stato sospeso e rimpiazzato da un nuovo spazio.
Ci sono poi tutta una serie di servizi ancora attivi, ma del tutto marginali nell’economia del colosso di Mountain View. E’ il caso di Google Talk e il più recente Google Voice, che non sono mai diventati l’anti-Skype come detto all’inizio.
O ancora Checkout: non ce l’ha ancora fatta a rimpiazzare il più diffuso PayPal per i pagamenti online. Lo stesso vale per la suite di produttività aziendale Google Docs: per quanto apprezzata, non ha di certo soppiantato il pacchetto Office di Microsoft.
Insomma, sembrano finiti i tempi in cui l’azienda di Brin e Page era circondata da un’aurea di infallibilità, quando il lancio di ogni nuovo prodotto era temuto dai concorrenti e atteso con impazienza dagli utenti. Ma forse questo fa parte del Dna di un’azienda che ha fatto della beta perenne un marchio di fabbrica. E della cultura del rischio statunitense un mantra ricorrente: se non sbagli e non fallisci, non potrai mai battere i concorrenti.
Era stato presentato come un SuperPhone, superiore ai concorrenti per prestazioni e programmi disponibili. Ma a meno di sei mesi dal lancio è stato improvvisamente ritirato dal negozio online. Il motivo? Agli utenti non è piaciuto, inutile quindi continuare con la produzione.
Il flop di Nexus One rappresenta un duro colpo per un’azienda abituata a mettere in fila un successo dietro l’altro. Scatenando ogni volta aspettative altissime nella stampa e tra gli appassionati di tecnologia, come forse solo Apple sa fare.
Se lo sbarco di Google nella telefonia mobile non è stato dei più fortunati (anche se, va sottolineato, il sistema operativo per smartphone Android continua ad andare a gonfie vele), non si tratta certo della prima volta che il colosso di Mountain View si trova a fare i conti prodotti ritirati e servizi che non ottengono il successo sperato.
Ricordate il lancio di Knol, l’enciclopedia collaborativa che avrebbe dovuto rappresentare una seria minaccia per Wikipedia? Qualcuno ne ha sentito più parlare? Anche qui erano bastati meno di sei mesi per capire che Wikipedia non era affatto in pericolo. La scelta di Mountain View di puntare tutto sull’autorevolezza dei singoli autori (e non sulle masse di utenti) non sembra aver ripagato in termini di numeri e qualità dei contributi.
E che dire di Lively? Presentato in piena euforia da mondi virtuali come il killer di Second Life ha avuto ben presto i giorni contati. All’epoca Google parlò di un semplice esperimento, ma è triste vedere quel “Goodbye” che ora campeggia sull’home-page del servizio. Anche perché tutti gli avatar in 3D e gli ambienti creati dagli utenti sono per sempre spariti dalla faccia del web.
La lista degli anti-(prodotti di successo altrui) è lunga. E così pure gli inevitabili flop: non sempre basta riprendere un’idea di successo, metterci il marchio Google e sperare in un boom. Si veda Answers, il servizio di domande e risposte generate dagli utenti che voleva contrastare l’inarrestabile Yahoo! Answers. Chiuso dopo cinque anni di scarsa partecipazione.
Stesso destino per Base, il negozio online che doveva servire a bloccare l’ascesa di eBay: è stato sospeso e rimpiazzato da un nuovo spazio.
Ci sono poi tutta una serie di servizi ancora attivi, ma del tutto marginali nell’economia del colosso di Mountain View. E’ il caso di Google Talk e il più recente Google Voice, che non sono mai diventati l’anti-Skype come detto all’inizio.
O ancora Checkout: non ce l’ha ancora fatta a rimpiazzare il più diffuso PayPal per i pagamenti online. Lo stesso vale per la suite di produttività aziendale Google Docs: per quanto apprezzata, non ha di certo soppiantato il pacchetto Office di Microsoft.
Insomma, sembrano finiti i tempi in cui l’azienda di Brin e Page era circondata da un’aurea di infallibilità, quando il lancio di ogni nuovo prodotto era temuto dai concorrenti e atteso con impazienza dagli utenti. Ma forse questo fa parte del Dna di un’azienda che ha fatto della beta perenne un marchio di fabbrica. E della cultura del rischio statunitense un mantra ricorrente: se non sbagli e non fallisci, non potrai mai battere i concorrenti.