Al Teatro dal Verme il panel sul tema delle carceri e sul concetto di giustizia riparativa rispetto a quello della giustizia tradizionale, con il contatto tra detenuti e vittime. Ospiti di Diletta Giuffrida Angelo Juri Aparo, psicoterapeuta fondatore del Gruppo della Trasgressione, Francesco Cajani, pubblico ministero a Milano, e Paolo Setti Carraro, medico e familiare di vittima di mafia
Il processo di riparazione e reinserimento sociale attraverso il contatto tra detenuti e vittime. A Live In Milano si parla di carceri nel panel dedicato alla giustizia riparativa. Al Teatro Dal Verme, nelle interviste di Diletta Giuffrida, intervengono, Angelo Juri Aparo, psicoterapeuta fondatore del Gruppo della Trasgressione, Francesco Cajani, pubblico ministero a Milano, e Paolo Setti Carraro, medico e familiare di vittima di mafia (SEGUI LA GIORNATA DI LIVE IN MILANO IN DIRETTA).
Il “gruppo della trasgressione”
Angelo Juri Aparo parla della creazione del Gruppo della Trasgressione: “È nato dopo 18 anni che facevo lo psicologo in carcere a San Vittore. I detenuti parlavano con me, lo facevano per avere una relazione utile a ottenere una misura alternativa, Questo mi impediva di capire la vita del detenuto. Il gruppo della trasgressione è nato affinché il detenuto parlasse non con lo psicologo, ma con altri detenuti per dire quello che sente e quello che vive”. E sul tema della scelta per chi, sbagliando, finisce in carcere, Aparo spiega: “Si può scegliere? Lo si può fare se si conosce altro, se si hanno altre possibilità, se si ha scelta. Lo stile deviante non viene scelto. Lo si sceglie all’interno di una atmosfera mentale che in realtà, di per sé, non viene scelta. Più sono ampi gli orizzonti delle emozioni, maggiore sarà la gamma delle scelte. Più si è arrabbiati e rancorosi, più sarà ristretto il cono delle possibili scelte”.
L’incontro tra vittime di mafia e detenuti
Paolo Setti Carraro ha portato la sua testimonianza, in un percorso doloroso in quanto fratello di una vittima della mafia: “Quando un dramma colpisce una famiglia ognuno reagisce in modo diverso. Io apprezzavo le fragilità di mia sorella, questo mi ha portato a una separazione dalla mia famiglia. Una elaborazione del lutto durata 30 anni. Finito il mio lavoro di chirurgo, ho cominciato con altri familiari vittime innocenti di mafia a incontrare psicologi e altri mediatori per tre anni, per raccontare le nostre esperienze. Siamo arrivati a un punto e abbiamo deciso di fare un salto, ognuno con un carico di dolore, per incontrare gli altri, le persone detenute, con il loro personale carico di errori, per tentare di incontrarsi a metà strada. Non abbiamo mai chiesto il crimine - spiega - abbiamo visto persone che hanno preso coscienza dei loro errori, della loro vita. L’emancipazione è reciproca. Entrare in carcere innesca delle emozioni, e lì anche la crescita è reciproca. Significa essere riusciti a lasciare andare il rancore. Significa guardare alla possibilità di restituire alla società dei cittadini. Lo scambio di emozioni e pensieri arricchisce tutti”.
Giustizia tradizionale vs giustizia riparativa
Francesco Cajani, ricordando l’importanza del portare i ragazzi, gli studenti, a conoscere la realtà delle carceri, spiega anche la differenza tra giustizia tradizionale e giustizia riparativa: “Il carcere è utile anche per chi sta fuori, non solo per chi sta dentro. Più di 20 anni fa ho conosciuto il ‘gruppo della trasgressione’. Sono riconoscente a chi mi ha fatto vedere quei posti. Negli incontri nelle scuole, i ragazzi non vedevano “il mostro”, ma vedevano “il nostro”. Il detenuto assume un ruolo parlando con gli studenti – spiega - che differenza c’è tra la giustizia tradizionale e quella riparativa? È lo sguardo. Nella tradizionale c’è una persona condannata per un fatto che sta in carcere. Nella riparativa c’è uno sguardo verso qualcun altro. C’è un lavoro dietro. La riparativa lavora per sottrazione. La giustizia normale aggiunge al dolore inflitto anche quello della pena”.