IL LIBRO DELLA SETTIMANA Massimiliano Felli rielabora la storia del “Poverello di Assisi” partendo da ciò che accadde davvero quarant’anni dopo la sua morte
Questo romanzo ha per protagonista un santo ma in realtà è dedicato all’impostura. Si intitola “Vite apocrife di Francesco d’Assisi”, l’ha scritto Massimiliano Felli ma non è una biografia (Fazi editore, pp. 384, euro 17).
Siamo ad Assisi, appunto, anno domini 1266. Francesco è morto da quarant’anni, il suo nome risuona da tempo di mistica e di leggenda, la sua eredità alletta invece appetiti più concreti. Bonaventura da Bagnoregio, fine diplomatico e da quasi un decennio ministro generale dell’Ordine, si rende conto che deve correre ai ripari per evitare che quel lascito, che non è solo spirituale, possa finire fuori dai binari dell’ortodossia e sfuggire al suo controllo. La vita di Francesco, spiega ai padri capitolari riuniti insieme a lui, è diventata ostaggio di “leggende e racconti d’ogni tipo”, alla stregua dei personaggi d’una novella buffonesca o cavalleresca”.
La caccia a Leone
La soluzione è quindi inevitabile: occorre far sì che l’opera che ha scritto lui, Bonaventura, di suo pugno diventi la versione, unica e ufficiale, con cui ricordare Francesco. Per questo, spiega sempre il ministro, bisognerà bruciare documenti e testimonianze sulla vita del Poverello e dare la caccia all’ultimo sopravvissuto fra i diretti seguaci, “il vecchissimo frate Leone, da tutti ritenuto depositario della purezza primigenia del Francescanesimo”. Il suo radicalismo e le sue versioni deliranti – assicura Bonaventura – rischiano di compromettere l’ordine.
A mettersi sulle tracce di Leone è il segretario del ministro, un copista che si chiama fra’ Deodato e che sin dalle prima parole del discorso del suo magister non si fa persuaso di quel piano. Deodato salverà così dalla distruzione i manoscritti e inizierà un lungo viaggio per trovare l’apostata e farsi raccontare la sua storia.
L’impostura e la fragilità delle versioni ufficiali
Da questo espediente prende spunto il romanzo di Massimiliano Felli che per tramite delle parole di Leone decide di raccontare la vita "apocrifa" di Francesco. Una vita che, ovviamente, trattandosi di un romanzo, si discosta dal vero, ma che ha due singolari pregi.
Il primo è la scrittura: ricca, polimorfa e soprattutto diversa, diversissima dal timbro omologato dei romanzi contemporanei. Il secondo è l’intreccio narrativo: il viaggio di fra’ Deodato si alterna sapientemente con bozzetti di personaggi realmente esistiti e soprattutto con dialoghi avvincenti e verosimili. E alla fine il romanzo restituisce ciò che si propone di essere: una storia sulla fragilità delle versioni ufficiali e sull’impostura.
Con una terza e decisiva qualità: quella cioè di non teorizzare ed esibire nulla, ma di affidare al racconto e ai suoi personaggi l’inevitabile fragilità delle versioni ufficiali.