In un libro il dolore di Monica, madre avvelenata dal figlio

“Sa qual è la verità? La verità è che con i figli ci vuole una gran fortuna, perché spesso i segnali non ci sono, non è affatto detto che ci siano”. Chissà per quanto tempo Monica Marchioni ha ripercorso quei mesi prima del 15 aprile 2021 alla ricerca di un segnale inequivocabile. La sua sopravvivenza è passata anche attraverso l’elaborazione del senso di colpa, quel dito che lei stessa ammette di aver puntato in passato su altri genitori illudendosi di trovare così una genesi degli errori dei figli. Poi è successo che l’orrore è entrato in casa sua, nella sua famiglia, dove non mancavano né possibilità né amore. La storia di Monica è diventata un libro “Era mio figlio” scritto a quattro mani con la giornalista Cristina Battista per Edizioni Minerva con l’obiettivo di non far sentire sole altre famiglie che stanno vivendo drammi potenzialmente simili a quello vissuto da lei e di provare a rispondere alla domanda “Cosa sappiamo davvero dei nostri figli?” anche se la risposta che si da – “Poco” - è da far tremare i polsi. La sua parte di proventi derivanti dalla vendita del libro li devolverà in beneficenza in favore di due associazioni che si occupano di animali. “Oggi Monica è una donna che si è tolta una corazza, non sono morta quella notte, ma ho cambiato pelle per sopravvivere” racconta collegata da una bella casa del bolognese. Maglione bianco, occhiali neri che spiccano sul viso chiaro e curato, i cappelli biondi. Monica Marchioni è una donna molto elegante, di un’eleganza innata, dosa le parole con cura quando parla, sembra a suo agio. Mi mette a mio agio. Eppure racconta l’inenarrabile. “Sto facendo ancora i miei percorsi psichiatrici e psicologici, prendo ancora farmaci anche se diversi da prima, sono consapevole di essere sopravvissuta a una cosa terribile. Non so se dirle se sto peggio di prima, è un male diverso, queste sono cose impossibili da cancellare”. Impossibili. Una famiglia normale Inizia dal principio il suo racconto. “La nostra era una famiglia normale, come ce ne sono tante, non era la famiglia del Mulino Bianco, non era nemmeno una famiglia disfunzionale. Era una famiglia con i suoi alti e bassi, le litigate, l’amore, ma era una bella famiglia, di questo sono sicura. E sono sicura che anche quello che era ed è rimasto mio figlio – se qualcuno un giorno riuscirà a parlare con lui – lo ammetterebbe”. Monica parla di quella che era la sua famiglia da sopravvissuta, suo marito Lollo, l’amore della sua vita incontrato in età avanzata, non c’è più. Se n’è andato quella sera del 15 aprile 2021 dopo aver mangiato l’intero piatto di penne al salmone per non far dispiacere Leon – che si era offerto di cucinare per loro - nonostante il nitrito di sodio avesse reso il sapore di quel piatto di pasta insopportabile. L’ultima immagine che Monica ha di Lollo, è di lui sul divano della loro casa di Casalecchio, in provincia di Bologna, con gli occhi sbarrati, la bocca semiaperta, il busto poggiato sulla chaise-long e le gambe in alto sulla spalliera. Di fatto non c’è più anche suo figlio, Alessandro Leon, per lei Chicco, e forse se n’era andato prima di quel 15 aprile 2021. Cambiamento “Forse qualcuno riderà di me, ma mio figlio era un ragazzo dolcissimo. Era un ragazzo educato, un bravo ragazzo” che prima era stato un bambino affettuoso e molto legato a lei, racconta. Dopo la separazione con il padre, avvenuta pochi mesi dopo la sua nascita, madre e figlio avevano costruito un rapporto solido. Alessandro Leon non aveva dato alcun problema alla sua famiglia fino a un certo punto della sua vita, qualche difficoltà a scuola, prima alle medie poi alle superiori, ma nulla di più. Poi a un tratto aveva iniziato a essere aggressivo, pigro, disinteressato a qualsiasi cosa. “I suoi occhi, i suoi occhi erano cambiati, erano diventati vuoti. A volte erano addirittura cattivi, quegli occhi lunghi e neri che fino a qualche tempo prima erano pieni di vitalità, erano diventati irriconoscibili persino per me. Leon aveva iniziato a fare discorsi strani, a dare un valore eccessivo al danaro, voleva diventare ricco ma non voleva lavorare”. Il cambiamento radicale è avvenuto in pochi mesi, è iniziato nell’autunno del 2020 racconta Monica. “Non c’è una causa scatenante, è come se nella sua testa fosse scattato un click. Quel ragazzo gentile e carino ha iniziato a essere irriverente. Sembrava un’adolescenza ritardata, ma io sapevo che non era l’adolescenza. Lo sentivo, una madre lo sa. In quel periodo mi ero rivolta anche a uno psichiatra perché aiutasse Leon con la sua ipocondria, aveva fatto in tempo a vederlo appena 5 volte prima di quella cena”. Nel frattempo lei aveva iniziato ad avere paura di suo figlio, aveva iniziato a chiudersi a chiave in camera la sera mentre suo marito un po’ la scherniva dicendole che era certamente una fase quella che stava vivendo il ragazzo e che sarebbe passata. “Più avanti diversi professionisti mi hanno spiegato che alcune persone nascono con un’anomalia genetica che può non manifestarsi subito, è possibile che Leon abbia slatentizzato una forma di malattia mentale che però finora nessuno ha diagnosticato in modo preciso”. Il bisogno di provare a cercare una ragione, di cercare risposte è un istinto naturale, anche questo in qualche modo un istinto di sopravvivenza. “Io una risposta non me la sono ancora data del tutto. Credo però che lui abbia agito perché voleva la nostra eredità, lui voleva di più e qui mi perdoni ma non posso evitare di legare a questo discorso i modelli che oggi vengono veicolati dai social, da alcuni influencer, anche da un certo tipo di musica... Io non sono una moralista mi creda, ma in molti ambiti oggi non c’è più alcun equilibrio”. Il dubbio che possano aver influito la droga o le cattive compagnie viene inevitabilmente alla mente ascoltando il racconto di quel maledetto 15 aprile. “Aveva una fascinazione per la trasgressione, ma le cattive compagnie non c’entrano, e non c’entra anche la droga. Aveva sì iniziato a frequentare alcuni ragazzi della periferia di Bologna che non mi piacevano, piccoli spacciatori, piccoli rapinatori che facevano soldi facili, ma non attribuisco a queste frequentazioni ciò che è accaduto. E anche la droga non credo c’entri nulla. Dopo qualche canna al liceo, che avevo scoperto perché lo controllavo anche con il gps - lo avevamo tutti e tre - mi aveva confessato di aver provato la coca una volta e non gli era piaciuto perché aveva perso il controllo e non gli piaceva perdere il controllo, voleva sempre essere lucido. Quindi sono sicura che anche le droghe non c’entrino nulla”. Specchio dell’anima Si sofferma molte volte a parlare degli occhi di suo figlio Monica. Paradossalmente il cambiamento più repentino e a lei visibile. “A gennaio 2021 ho iniziato a vedere un cambiamento drastico nei suoi occhi. Erano lunghi e neri, come sempre, ma erano vuoti. Non erano gli occhi di un matto, no, erano agghiaccianti, quasi diabolici. Ricordo in modo nitido una mattina in cui appena sveglio, era venuto in cucina, la testa quasi dentro al frigo. Gli dico: - Ehi Chicco, non si saluta? Buongiorno! Non mi rispondi? – Andavo sempre con i piedi di piombo perché non potevo prevedere la sua reazione negli ultimi mesi. Lui tira fuori la testa dal frigo e mi dice solo – Ciao! – Con un tono e due occhi che mi hanno fatto venire i brividi. Quella mattina chiamai Lollo e gli chiesi di tornare subito a casa. Avevo paura, avevo paura di mio figlio e di quegli occhi irriconoscibili”. Stasera cucino io Anche la sera del 15 aprile 2021 Alessandro Leon aveva occhi irriconoscibili. “Io ho visto il male nei suoi occhi quella sera, non erano umani, avevano qualcosa di demoniaco”. La sera che segna il prima e il dopo della vita di Monica e che racconta nel suo libro, aveva cucinato il ragazzo. Un piatto di penne al salmone condite con un potente veleno, il nitrito di sodio. L’omicidio era pianificato da tempo, Leon si era documentato su internet circa gli effetti di quel veleno. Nonostante il sapore della pasta che il 19enne aveva motivato con un errore di sale, Lollo l’aveva mangiata tutta per non farlo dispiacere. Lei invece si era fermata a due forchettate, troppo difficile mandarla giù. E così si era salvata. Sopravvivendo anche a un bicchiere di acqua, anche quello pieno di veleno, che il figlio le aveva portato provando a obbligarla a bere, e ai successivi 40 minuti di lotta con quel ragazzo a cui aveva dato la vita e che ora stava provando a toglierla a lei. “Non era furioso” mentre provava a toglierle il respiro. Aveva provato a fermarlo, a difendersi. “Chicco sono la mamma, cosa stai facendo? Fermati ti prego!” – gli aveva urlato. “Ma lui continuava imperterrito, senza rabbia, senza furia. Aveva solo una gran forza e un viso diabolico”. Senza rabbia e senza furia, anche mentre pronunciava quella frase “Mamma, ma com’è che non muori? Come fai a essere ancora viva?”. Doppiamente vittima La confessione di Alessandro Leon arriva due anni dopo l’omicidio di Loreno Grimandi e il tentato omicidio della mamma. Nel corso di tutto il processo di primo grado, sostenuto anche dal padre biologico, aveva raccontato che a uccidere il patrigno era stata la madre che avrebbe voluto uccidere anche lui. Un castello di bugie che crolla davanti ai giudici della corte d’Assise d’Appello che lo condanna a 30 anni di reclusione. Pena poi divenuta definitiva dopo la rinuncia al ricorso in Cassazione. “Il giorno che ho saputo della sua confessione ero nello studio della mia psicoterapeuta e sono svenuta. Troppo forte il dolore. Ho pianto ancora tutte le lacrime che non credevo più di avere, non so da dove le ho tirate fuori. Quel giorno ho ringraziato Lollo, mio marito. Dopo due anni di bugie in cui sono stata vittima due volte, prima di un tentato omicidio, poi della gogna, delle menzogne, finalmente mi ero liberata da un ulteriore peso insopportabile”. La madre che resta È troppo difficile pensare come si possa sopravvivere a un dolore così forte, ma Monica Marchioni è la dimostrazione che è possibile. Ad essere sopravvissuta a quel dolore non c’è solo la donna, ma anche la mamma. “Io sì, mi sento ancora mamma, anche se è la parte di me che mi fa soffrire di più. Guardo le mie amiche con i loro figli che crescono, io invece adesso non ho più nessuno. Se penso a mio figlio mi chiedo se stia soffrendo il caldo in quella cella, mentre io magari a casa ho il condizionatore, penso all’ora d’aria, penso che lo spostano di cella e di compagni e spero che nessuno gli faccia del male”. Non c’è alcun dubbio è la madre che parla. “Il mio cuore è distrutto, questa madre che sento di essere ancora pesa terribilmente sulla vittima che è in me e che a volte le si rivolge dicendole – Ma cosa vuoi? Ma vai via, peggio per lui, che lì dentro ci rimanga per sempre perché a noi ha tolto tutto, a me e a mio marito ha tolto tutto. Io sono viva ma non vivo più”. Perdono Non si sono ancora incontrati Monica e suo figlio “ma prima o poi succederà”. “L’ho visto solo una volta in aula, lo portavano via le guardie, aveva le manette ai polsi, è un’esperienza che non auguro a nessuna madre, nemmeno al mio peggior nemico. Ho incrociato il suo sguardo quell’unica volta, ma il suo sguardo era vuoto, era ancora vuoto, come se avesse gli occhi velati. Quel giorno mi hanno dovuta tenere stretta, con me c’era la mia dottoressa, le chiedevo per favore me lo faccia abbracciare, me lo faccia abbracciare. Il mio istinto mi diceva di andargli incontro, di abbracciarlo, anche se so che non merita più l’abbraccio di una madre, ma si può smettere di essere madre? Si può smettere?”. Quello è stato uno dei momenti in cui racconta che avrebbe voluto sparire da questo mondo. “Dopo averlo visto sono andata in bagno e ho chiesto alla mia dottoressa di aiutarmi a morire, l’ho supplicata di darmi qualcosa che spegnesse il mio dolore, la mia vita che non è più vita”. Non è stata l’unica volta in cui Monica avrebbe voluto farla finita, se non lo ha fatto è stato grazie a Lollo che sente sempre vicino a lei. Con Alessandro Leon, dopo la sua confessione, si sono solo scritti, otto lettere finora “La prima era datata 15 aprile, il tenore però era quello di una letterina di un bambino che chiedeva scusa come se avesse combinato una marachella. Io gli ho risposto con una lettera molto lunga in cui veniva fuori tutta la mia rabbia, la mia disperazione”. L’ultima risale a inizio dicembre 2024 “il tono delle lettere piano piano è cambiato, è diventato più concreto, ma non so a che livello di consapevolezza sia arrivato. Quello che sento – o che forse è la paura a farmi sentire - è che forse la consapevolezza è arrivata nella sua mente, ma non è ancora arrivata nel suo cuore. Chi lo incontra in carcere mi dice che è un ragazzo molto educato, posato, fa fatica a credere a ciò che ha fatto”. Monica ha sempre chiesto notizie di lui, anche se non vuole che gli si riferisca. “L’unica cosa che desidero è che non finisca male, che non venga picchiato o peggio. Non voglio saperlo sofferente. Quando sarà possibile gli chiederò la verità, non perché l’ha fatto, ma come ha potuto uccidere due esseri umani che lo amavano”. Alla domanda se lo abbia perdonato Monica risponde dopo una breve pausa “Se per perdono intende assenza di odio… io odio per lui non ne ho mai avuto, ma è una domanda a cui faccio ancora troppa fatica a rispondere”.

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