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Pronto soccorso in crisi tra carenza di personale, aggressioni e boom di accessi

Cronaca

Emanuela Ambrosino

Aumentano gli accessi, si dilatano i tempi di attesa e continua la fuga dei medici dalle specialità di emergenza urgenza. Per sopperire alle carenze, sempre più aziende sono costrette a fare ricorso ai cosiddetti gettonisti, medici che coprono i turni con stipendi spesso di tre volte più alti degli operatori pubblici. Al via "Sanità malata", una serie di approfondimenti di Sky TG24. Ogni giorno i servizi dei nostri inviati e i dati nazionali 

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La crisi dei pronto soccorso. Aumentano gli accessi, si dilatano i tempi di attesa e continua la fuga dei medici dalle specialità di emergenza urgenza. Per sopperire alle carenze sempre più aziende sono costrette a fare ricorso ai cosiddetti gettonisti, medici che coprono i turni con stipendi spesso di tre volte più alti degli operatori pubblici. Tra le prime azioni del nuovo governo il ministro della Salute Orazio Schillaci aveva annunciato misure per porre fine al fenomeno dei medici a gettone e per cercare di fermare la fuga dei medici dai pronto soccorso. Ma cosa comporta tutto questo per i pazienti? Abbiamo raccolto alcuni racconti (LO SPECIALE DI SKY TG24).

Elena arriva nel pronto soccorso dell’ospedale San Leopoldo Mandic di Merate mercoledì mattina. Ha un dolore alla gamba da alcuni giorni, ma nelle ultime ore è peggiorato. È un cosiddetto codice verde, e così aspetta tre ore circa nella sala di attesa prima di essere visitata. La incontriamo subito dopo il triage e il suo racconto è quello di tanti cittadini come lei “orfani” del proprio medico di famiglia. “Il nostro medico è andato in pensione prima dell’estate, da allora abbiamo cercato qualcuno che avesse uno studio a poca distanza da casa. Sono passati parecchi mesi e siamo ancora senza riferimenti. Quando ho iniziato ad avvertire il dolore alla gamba non sapevo a chi rivolgermi. Mi rendo conto che potrebbe essere un semplice dolore muscolare ma nella notte avevo fitte lancinanti e così mio marito ha chiamato la guardia medica che ci ha detto di venire in pronto soccorso e così abbiamo fatto, anche se sono consapevole che le attese saranno lunghe. Non avevo alternative. Per una visita ortopedica privata avrei speso troppo.” Elena è uno dei 7 pazienti in attesa alle 10 del mattino. Alle 12 sono il doppio con una attesa di almeno 8 ore. Insieme a lei arriva un signore che ha un fastidio all’occhio a cui viene assegnato un codice bianco. I codici gialli sono due e passano avanti. Uno è un signore con dolore al torace. Lo seguiamo dopo il triage. A visitarlo un medico in pensione che lavora per una cooperativa. Non è più un medico interno ma copre alcuni turni ogni settimana. “Sono un cardiologo in pensione che ha lavorato per 40 qui. So che il pronto soccorso è in difficoltà e cosi ho deciso di tornare, ma la situazione sta peggiorando sempre di più con il passare dei mesi. Senza noi gettonisti alcuni pronto soccorso chiuderebbero”.

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Foto di Emanuela Ambrosino

Al Manzoni di Lecco, nonostante la azienda sanitaria territoriale sia la stessa, la situazione è molto diversa. Qui i medici sono tutti interni ma i pazienti che affollano il pronto soccorso alle 13 sono quasi 70 e aumentano con il passare delle ore. Mario ha 84 anni, vive da solo, ha avuto dolori al petto e ha chiamato l’ambulanza. È arrivato qui con un infarto in corso alle 18 del martedì pomeriggio, alle 14 del giorno dopo è ancora in una delle salette per le osservazioni del pronto soccorso. “Mi hanno salvato la vita ma sono sulla barella da ore, digiuno”. Il primario Luciano D’angelo, cerca di rassicurarlo ma come sempre accade il cosiddetto boarding, il tempo di attesa per il ricovero, è elevato. La media in Italia è di tre giorni. Tre giorni in barella in attesa di un posto in reparto. Più aumenta il boarding più è alto il rischio per un paziente anziano e fragile.

L’ospedale Santo Spirito è a pochi passi da San Pietro. Qui arriva chi abita in centro ma anche tanti turisti. Tra questi c’è Raffaella, ha 70 anni ed è a Roma con un gruppo della sua parrocchia. Fa caldo, l’attesa a San Pietro è lunga. Dalla piazza Raffaella si ritrova in pronto soccorso su una barella. È sola. Le spiegano che è svenuta e che ha battuto la testa. Dovrà aspettare, il rischio è una commozione cerebrale. Raffaella aspetta, non può alzarsi, non può usare il cellulare che si è scaricato. Passano 10 ore, poi 11. Raffaella è digiuna, ha mal di testa, chiede un panino o un antidolorifico. “I medici erano indaffarati, correvano da una barella a un’altra. Gli infermieri gentilissimi mi hanno spiegato che era stata una giornata complicata più del solito ma che sono sempre sotto organico e che senza una visita non potevo alzarmi o mangiare. A differenza di altri cittadini che scrivono contro la sanità, io mi appello al governo affinché aiuti la sanità. C’è bisogno di medici che lavorino in pronto soccorso”.