Omotransfobia quotidiana: storie di coraggio e di ferite profonde

Da una battuta offensiva a un licenziamento apparentemente senza motivo. Le forme che può prendere l’omotransfobia sono innumerevoli e tutte ugualmente spaventose. Al consultorio Transgenere di Torre del Lago, che ogni anno accoglie migliaia di persone che non si riconoscono nell’identità assegnata loro, incontriamo Genny e Andrea, due ragazzi transgender con tanta voglia di condividere la loro storia. A loro si unisce una donna, madre di una ragazzina di 14 anni che ha iniziato il percorso di transizione nel 2020. Non possiamo divulgare il suo nome per proteggerla dall’ex marito, che non ha accettato il percorso della figlia e continua a tormentarla. Perché l’omotransfobia si annida anche in famiglia. "Non ero io in quel corpo": la storia di Genny, licenziata perché trans Genny è una bellissima ragazza dagli occhi azzurri. Le unghie colorate di viola, il sorriso aperto e uno stile che ricorda una hippy degli anni ’70. Non vuole confidarci il suo vecchio nome, quello “da uomo”, perché è una vita che non le appartiene più. Anche se ha iniziato da poco la sua transizione, vuole lasciarsi alle spalle un passato troppo doloroso. Arriva al consultorio carica di documenti da "far vedere al giornale". Sono gli stessi che ha portato in tribunale e che testimoniano una serie di soprusi subiti sul luogo di lavoro, culminati nel licenziamento di due anni fa. "Ero un operaio impiantista specializzato. L’azienda mi aveva presa come dipendente a partita IVA, per poi assumermi a tempo indeterminato", racconta. "Abitavo un corpo che non mi apparteneva, così ho deciso di intraprendere una transizione di genere. Da quel momento sono iniziati i problemi sul lavoro". Con voce tremante, Genny spiega: "Quando i miei colleghi si sono accorti del mio cambiamento – la barba che non cresceva, i lineamenti più dolci – hanno iniziato a tormentarmi. All’inizio erano scherzi stupidi. Per esempio, mi chiedevano se potevo andare a prendere il blocco delle bolle. Quando ci andavo, trovavo due blocchi: uno con disegnato sopra un genitale femminile, l’altro con uno scarabocchio a forma di genitale maschile. E si divertivano a vedere quale avrei scelto". Poi le cose sono peggiorate. "Il padre del mio capo, per dirne una, aveva preso il vizio di levarsi i pantaloni e mi costringeva a vedere i suoi genitali ogni volta che gli passavo vicino".Le prese in giro e le molestie si sono spostate anche sui social. Sul suo profilo Facebook, Genny aveva iniziato a raccontare il suo cambiamento: pubblicava gli outfit, i trucchi, esprimeva la sua identità. Presto il suo capo ha cominciato a scrivere post esplicitamente rivolti contro di lei. Inneggiava alla deportazione di tutti gli omosessuali, scriveva che "Dio ha creato Adamo ed Eva, non Adamo e Claudio". A quel punto, Genny non ce l’ha più fatta. "Mi sono messa in malattia, pur continuando a lottare per me stessa. Ho cercato di organizzare un incontro con il sindacato, ma prima che potessi fare qualsiasi cosa, è arrivata la lettera di licenziamento". La risoluzione del contratto è stata giustificata dalla necessità dell’azienda di ridurre il personale per motivi economici. "Peccato", chiosa la ragazza, "che dopo di me siano state assunte tre persone". Oggi Genny tenta di far valere le sue ragioni in tribunale e, intanto, si è messa in proprio. "Ho aperto una mia società e ho già un buon numero di clienti. Quello che voglio è creare un luogo di lavoro sicuro, dove anche chi è diverso possa sentirsi accolto. Nessuno deve vivere quello che ho vissuto io, perché togliere il lavoro a una persona oggi equivale a ucciderla". la forza di Andrea, giovane uomo trans rifiutato dalla famiglia Andrea indossa una felpa grigia e un cappello. I suoi lineamenti sono ancora femminili, “purtroppo”, come ci racconta. “Odio il fatto che i tratti da donna non mi abbiano ancora abbandonato. Questo provoca attenzioni indesiderate da parte degli uomini per strada”. Andrea è di origini rumene, ma ha vissuto in Germania con la sua famiglia. “Quando ho deciso di intraprendere la transizione di genere – racconta – l’ho detto subito a mia madre. All’inizio l’ha presa bene, ma poi non l’ha più accettato”. La famiglia ha iniziato a ostacolarlo, fino ad arrivare a vere e proprie minacce e offese. “Le litigate – ricorda – erano all’ordine del giorno. Per mio padre ero uno scherzo della natura, mentre mia madre mi aveva disconosciuto come figlio. Non ho avuto altra scelta se non andarmene”. Così, ad appena vent’anni, Andrea si è trasferito da solo in Italia. “Oggi dormo in strada. Quando mi va bene trovo un posticino nei dormitori pubblici o nelle case rifugio. Ma è tanto difficile. Grazie alla mia fidanzata ho conosciuto il consultorio Transgenere e qui ho potuto continuare il mio percorso, ma ci sono giorni in cui vorrei solo che fosse tutto un incubo”.A causa del suo aspetto, Andrea fatica anche a trovare lavoro. “Sono stato scartato da molte aziende perché cercavano qualcuno dall’aspetto più femminile. Soprattutto con l’avvicinarsi dell’estate, per me sono preclusi i posti da cameriere, gelataio o barista. Mi è stato detto che non sono adatto a stare al pubblico, ma io so cosa sottintende questa frase. Mi vorrebbero più donna, mi vedono brutto o pensano che sia strano. Ma io ho lottato per essere come sono, e non cambio per nessuno”. Il coraggio di un madre sola contro tutti nel sostenere suo figlio Paola, nome di fantasia, è un esempio per quei genitori che accompagnano i propri figli nel percorso di transizione di genere. Suo figlio ha 14 anni e ha iniziato a manifestare la sua volontà di cambiare sesso nel 2020. “Era sempre silenzioso – racconta – e subito dopo mangiato si chiudeva in camera. Quando mi ha detto che si sentiva nel corpo sbagliato, mi sono sentita sollevata. All’inizio avevo pensato al peggio: che fosse stata molestata, che avesse subito qualche sopruso. Invece voleva solo esprimere la sua identità”. I problemi sono iniziati quando Paola e suo figlio hanno comunicato la questione al padre. “All’inizio sembrava accettarlo, ma poi non ha retto. Le discussioni sono diventate sempre più pesanti e ho dovuto chiedere il divorzio”. Paola non ama raccontare quel periodo della sua vita e non può rilasciare dettagli. Lei e suo marito si parlano solo tramite avvocati e sono in corso diversi procedimenti giudiziari. Ciò che però vuole ricordare è il sorriso di suo figlio, quando l’ha accompagnata all’ospedale di Firenze per informarsi sulla transizione FTM. “Aveva finalmente capito chi era e cosa voleva fare. Ciò che i genitori devono capire è che i figli non sono di loro proprietà e il loro dovere è sostenerli nel processo di diventare ciò che sono. Non c’è niente di sbagliato nell’amare una persona dello stesso sesso o nel voler cambiare genere. Niente è innaturale, l’unica cosa contro natura è togliere l’amore a un figlio solo perché, egoisticamente, non ci piace ciò che è”.

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