Se vi piacciono i romanzi rosa, “Il terzo amore” di Scerbanenco è un libro che fa per voi

Cronaca

Filippo Maria Battaglia

Corso Garibaldi nell'immediato dopoguerra (Credits: Fotogramma/ Marco Ravezzani)

IL LIBRO DELLA SETTIMANA La Nave di Teseo ripubblica il primo romanzo in volume dell’inventore di Duca Lamberti. Una storia vintage che racconta una Milano scomparsa ormai da decenni

Giorgio Scerbanenco (la fotostoria) è perlopiù conosciuto come uno dei maestri del noir italiano. È una definizione inevitabile: i quattro romanzi pubblicati nell’ultimo scorcio degli anni Sessanta hanno reso immortale uno dei suoi protagonisti, Duca Lamberti, il medico diventato investigatore dopo essere stato radiato e condannato per aver praticato un’eutanasia.  Prima di quei quattro libri (e di quella felice intuizione letteraria), Scerbanenco ha però scritto molti altri romanzi. Oltre a diversi noir di grandissima riuscita (ripubblicati qualche tempo fa da Sellerio con protagonista Arthur Jelling), racconti a tinte fosche (“Il Centodelitti”, “Milano calibro nove”), storie di fantascienza (“Il Paese senza cielo”). E, soprattutto all’inizio della sua carriera, parecchi romanzi sentimentali. È il caso di “Il terzo amore”, che ora La Nave di Teseo ripubblica a distanza di più di ottant’anni dalla sua comparsa (pp. 270, euro 17). Come ricorda la figlia Cecilia nella prefazione alla nuova edizione, quando il romanzo compare per la prima volta a puntate sulla rivista “Lei”, Scerbanenco ha da poco compiuto ventisette anni. Dopo l’exploit come autore per periodici, è stato assunto in Rizzoli e ha già al suo attivo più di ottanta racconti.

Un grande romanzo rosa

“Il terzo amore” ruota attorno ad uno spartito ben collaudato: una protagonista bionda e sensuale (Elena), madre di un bimbo nato da un’ingenuità giovanile (Giovanni, detto Anni) e costretta a zigzagare attorno a una sfilza di uomini che – a volte con furbizia, a volte con paternalismo, a volte con vigliaccheria – fanno a gara per conquistarla. Nella sua nota, Cecilia Scerbanenco sembra quasi aver pudore nel classificare questo romanzo come rosa, preferendolo presentare come “realista” e “psicologico”. È un pudore decisamente immotivato. Perché “Il terzo amore” è innanzitutto un romanzo sentimentale. Di ottima fattura e di impianto solidissimo, certo, ma pur sempre – e va detto senza alcuno snobismo – un romanzo sentimentale.  Certo: come ogni buon romanzo rosa, è anche un romanzo realista e psicologico, ma ciò che più colpisce è come ci sia già, in filigrana, il tratto inconfondibile dello Scerbanenco più maturo.

Una Milano povera e periferica

La storia di Elena porta con sé il ritratto di una Milano povera e periferica (molto simile a quella che farà da scenario alle indagini di Duca Lamberti), distante anni luce da quella contemporanea; e, insieme ad essa,  la vita di tante piccole comparse: attrici, sartine, operaie, perlopiù costrette per sopravvivere a storie “orribili e lunghe”, che non si devono raccontare “perché non tutte le vite sono così”.

Il "terzo amore" di Scerbanenco

È in queste qualità - che a un lettore distratto possono apparire démodé ma che invece sono irresistibilmente vintage - che sta la forza di questo romanzo. Del resto, a chiarire ogni dubbio sulla natura del “Terzo amore” è lo stesso Scerbanenco quando, poco meno che trentenne, decide di presentare il romanzo così: “Quando avrò cinquant’anni, forse, scriverò a freddo, senza passione, delle caldissime vicende d’amore, e allora lì non sarò romantico. Ma fino a quell’epoca lo sarò e avrò tutto il diritto di chiudermi in un albergo sul lago per scrivere trecento cartelle sulla storia di una donna incontrata alle due di notte in una strada di Milano”. Sembra una giustificazione di un giovane idealista, in realtà è una sincera dichiarazione di poetica. E allora buona lettura, almeno per chi ama il genere.

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