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Piazza Loggia 50 anni dopo, Milani: il dovere della memoria e quella domanda che mi salvò

Cronaca

Diletta Giuffrida

Alle 10,12 del 28 maggio 1974 durante una manifestazione contro il terrorismo neofascista in piazza della Loggia, a Brescia, esplode una bomba che fa 8 morti e 102 feriti. L’ordigno era stato piazzato in un cestino dei rifiuti. La memoria storica di quel giorno è Manlio Milani, sopravvissuto a quella bomba che uccise la moglie davanti ai suoi occhi

 

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Sono passati 50 anni dalla strage di Piazza della Loggia, a Brescia, quando alle 10,12 del 28 maggio 1974 durante una manifestazione contro il terrorismo neofascista esplose una bomba che fece 8 morti e 102 feriti. L’ordigno, composto da gelignite e dinamite, era stato piazzato all’interno di un cestino dei rifiuti. Per quella strage nel 2017 la Cassazione ha condannato all’ergastolo Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. A Brescia intanto sono appena iniziati due nuovi processi a carico dei presunti esecutori materiali, ormai ultrasettantenni. La memoria storica di quel giorno è Manlio Milani, sopravvissuto a quella bomba che uccise la moglie, Livia Bottardi Milani, davanti ai suoi occhi. Aveva 32 anni.

 

Lo incontriamo a Brescia poco prima che sia inaugurata la mostra “Siamo testimoni, non perché c’eravamo ma perché non abbiamo mai smesso di esserci” nella sede della Casa della Memoria, a palazzo Martinengo delle Palle. Manlio Milani, sopravvissuto alla strage di piazza della Loggia e presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, è indaffaratissimo come sempre e si muove veloce tra gli scatoloni dell’allestimento dell’esposizione. Non abbiamo molto tempo, la sua tabella di marcia tra interviste, convegni e impegni vari è serrata. Quando finalmente però si siede, il tempo rallenta fino quasi a fermarsi. E in un attimo lui torna a quella mattina di 50 anni fa che gli cambiò la vita tracciando una linea netta tra il prima e il dopo. E in un attimo inizia il suo racconto.

La manifestazione antifascista

“Avevamo deciso – racconta - di andare alla manifestazione quel 28 maggio 1974 perché qualche giorno prima, tra il 18 e il 19 maggio, alle 3 di notte un giovane neofascista di 20 anni era morto perché gli era esplosa tra le gambe la bomba che stava trasportando sul suo motorino e che gli sarebbe dovuta servire per un attentato. E’ da questo episodio che in realtà nasce la manifestazione organizzata dal comitato permanente unitario antifascista che si componeva di tutti i partiti dell'epoca, le istituzioni democratiche, alcune associazioni come le Acli e le organizzazioni sindacali che dichiareranno lo sciopero generale a livello provinciale e non solo cittadino.  Il senso era molto preciso, è una sorta di appello che il comitato antifascista fa a tutta la città e a tutta la provincia: basta con questa violenza”.

La sera prima della strage

La memoria torna alla sera prima della strage: “La sera prima della manifestazione io, mia moglie e un gruppo di amici con i quali spesso ci trovavamo – alcuni dei quali moriranno in piazza della Loggia mentre altri rimarranno feriti – discutevamo dell’importanza di partecipare, eravamo contenti di andare a quella manifestazione. Certo il clima era molto pesante per tutta una serie di attentati di varia natura che avevano caratterizzato la vita bresciana, ma non pensavamo potesse succedere qualcosa in quell’occasione. Quella sera ci salutammo dandoci appuntamento al giorno dopo in piazza della Loggia”.

 

La bomba

“La mattina della manifestazione – prosegue Milani - esco dal lavoro alle 9, quando inizia lo sciopero, passo da casa, mia moglie era un'insegnate quindi era a casa tutto il giorno, e insieme andiamo in piazza della Loggia. Ricordo che piovigginava, quindi la attraversiamo un po' di corsa, vediamo i nostri amici attorno a quella colonna sotto al porticato - erano proprio davanti al cestino dei rifiuti con dentro la bomba - e ci avviciniamo a loro. Quando siamo a pochissimi metri, tre o quattro circa, interviene il caso. Un amico mi chiede un'informazione e io mi fermo un attimo mentre mia moglie prosegue. Passano pochi secondi e ricomincio a camminare per avvicinarmi a loro, ci guardiamo un po' tutti come per salutarci e in quel momento c’è l’esplosione. La cosa che ricordo in modo più nitido è il silenzio che segue, è un silenzio totalizzante ci sentiamo tutti paralizzati. E’ un attimo, non so quanto dura, ma è un attimo interminabile. Poi a un certo punto c'è una sorta di risveglio. La mia reazione però è di rifiuto della realtà che vedevo, penso immediatamente due cose: la prima che quella non è una bomba, ma un petardo che si usa durante il carnevale. Poi mi guardo intorno, quella colonna che prima non vedevo mi appare in tutta la sua tragicità e lo spazio in terra è pieno di cadaveri. Penso che lì c’era mia moglie e mi precipito all'interno di questo gruppi di corpi tutti lacerati. La trovo, ma mi getto lì dentro con un pensiero: speriamo che a lei non sia successo niente, se è successo agli altri mi dispiace per loro. Eppure gli altri erano gli amici con i quali la sera prima avevamo cenato. Questo pensiero mi ha tormentato per molto tempo, ma perché ho fatto un pensiero di questa natura? perché ho pensato soltanto a me e non alla vita dei miei amici? perché ho pensato di rifiutare il dolore? Vivrò per moltissimo tempo con un senso di colpa, ma è stata anche una grande lezione quel pensiero, perché mi ha fatto capire una cosa fondamentale: troppo spesso rifiutiamo di vivere e di cogliere la realtà storica dentro la quale viviamo, pensiamo sempre che le cose negative debbano succedere a qualcun'altro e poi invece succede che capitano a noi. E allora quando capitano a te a maggior ragione ti rendi conto di essere parte di una realtà complessa”.

La foto della strage

Il racconto di Milani passa anche per un’immagine diventata in qualche modo un simbolo della strage: “Tra le tante di quel giorno c’è una fotografia che mi ritrae mentre sorreggo la testa di mia moglie squarciata, mentre mi illudo che sia ancora viva, mentre chiedo aiuto. In quella immagine c'è tutta l'esperienza del dolore e il senso della perdita che sentirò gradualmente nel tempo, quella distruzione che diventa contemporaneamente presenza e assenza, presenza perché lei resta dentro di me e assenza perché la violenza ti toglie la parola, perché non riesci più a esprimerti perché chi c'erano con te non c'è più. Riguardando oggi quella foto non posso fare a meno di ricordare tutto il percorso che ho fatto e che mi ha portato a capire il vero valore della vita che non può mai essere abbandonato, a fronte di qualsiasi cosa, il rispetto della vita degli altri, ma anche il rispetto e il valore della tua vita, guai ad abbandonarti a te stesso, la daresti vinta ai portatori di morte. Ecco io credo che quel giorno in primo luogo ho capito il grande valore della vita che non può essere disperso e che in questo caso è diventato storia”.

 

Manlio Milani mentre soccorre la moglie in Piazza della Loggia - Credit: Casa della memoria di Brescia

Salvato dal caso

Mi sono spesso interrogato su questa casualità, sul caso – prosegue Milani, in una sorta di flusso di coscienza -  sul perché io sono ancora qui e loro no. Perché pur essendo a distanza di soli tre metri altri amici erano stati colpiti e io no? Ecco io mi do questa spiegazione: il caso è occasionale, è successo così potevo essere io potevano essere altri. In questa storia però va precisata una cosa, quella bomba colpisce a caso ma colpisce persone che avevano scelto quella mattina di essere in piazza della Loggia, che avevano scelto di manifestare contro il terrorismo neofascista, qui c'è una profonda diversità rispetto alle stragi precedenti o rispetto a quelle che seguiranno, perché qui si colpisce con la consapevolezza di colpire il nemico, questa è l'origine della violenza. Io sono convinto che il caso mi abbia detto: tu sarai il testimone che dovrà raccontare, ma non dovrai limitarti solo a raccontare quello che hai visto, dovrai rientrare anche tu nella storia e cercare di rispondere alla domanda: perché è accaduto? Credo che il caso abbia contribuito ad affermare il valore della vita, obbligandomi a cercare di capire le ragioni per cui quel che è accaduto è accaduto”.

Casa della Memoria di Brescia

Dopo la bomba

Quello stesso pomeriggio andando via dall'obitorio, ritornai in piazza della Loggia perché avevo bisogno di tornare su quel luogo che avevamo raggiunto alla mattina con felicità e consapevoli della nostra scelta di esserci. Avevo bisogno di capire come la mia vita in quel momento era totalmente cambiata, avevo bisogno di andare lì per poter dire: anche io ho avuto un prima, quella bomba sì l'ha distrutto, ma quell'assenza diventerà il fardello che mi porterò appresso. Quando arrivai in piazza della Loggia la piazza era piena di persone, era una piazza che iniziava già a ritrovarsi e anche io avevo bisogno in una certa misura di ritrovarla. In quel momento quella piazza era come se mi dicesse: tu sei stato colpito più pesantemente di molti di noi, però ricordati che quella bomba in primo luogo ha colpito tutti quindi il tuo dolore viene dopo le ragioni e i perché dell'obiettivo della strage, e l'obiettivo era scardinare il sistema democratico del nostro paese. La risposta che darà Brescia a quella violenza sarà profondamente democratica: alla violenza non si può e non si deve rispondere con la violenza, ma con la forza della democrazia. Attraverso quei primi giorni e l'immediata scelta di farmi carico di diventare testimone di quella storia posso dire, a distanza di molti anni, che credo quella sia stata la scelta che mi ha salvato”

 

Casa della Memoria di Brescia

I processi e la sentenza del 2017

Il primo processo inizia nel 1979 e si conclude sei anni dopo con una sentenza definitiva di assoluzione per tutti gli imputati. Di processi ne seguiranno altri undici. Nel 2008 vengono rinviati a giudizio i sei imputati principali: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi. Vengono assolti tutti per insufficienza di prove. La Cassazione nel 2014 annulla le assoluzioni e impone un nuovo processo d’appello che porterà all’ultima sentenza del 2017, un nuovo spartiacque per Manlio Milani.

“Ho avuto molti momenti di scoramento, anche di perdita di fiducia nella vita stessa. Ho avuto momenti in cui mi sono detto ‘basta’, sono stanco di queste cose, però poi mi sembrava di tradire, di rassegnarmi a non ricominciare a vivere.  E invece io volevo continuare a vivere anche per chi non c’era più. Dopo molti anni il 20 giugno 2017 accade qualcosa. Finalmente la Corte di Cassazione per la prima volta certifica con una sentenza definitiva la responsabilità di due persone che vengono condannate all’ergastolo: Carlo Maria Maggi, il mandante della strage, responsabile di Ordine Nuove Veneto, e Maurizio Tramonte, militante della stessa organizzazione neofascista, vicino ai Servizi Segreti che concorre all’organizzazione di quella strage.  Quando tornai da Roma, dopo quella sentenza, andai subito in piazza della Loggia, ritornai come 43 anni prima in quel luogo ma quella volta, per la prima volta, in modo completamente diverso. Rividi tutto il film di quella mattina, tutto il percorso, rilessi tutti quei nomi sulla lapide e finalmente dissi ‘ecco adesso abbiamo la sentenza che certifica il valore della nostra presenza e le ragioni per cui eravamo in piazza’, ora posso finalmente salutarvi e distaccarmi da voi”.

Oltre la pena

Eppure anche la più dura delle pene non è sufficiente a rimarginare le ferite. Lo dice chiaramente Milani quando parla di quella necessità di cercare risposte che il processo non poteva dare. “E’ chiaro che la sentenza della Cassazione ci ha dato una verità giuridica accanto a quella storica, però è chiaro anche che quel processo ha dei limiti, il processo è un processo al reato – e non può che essere così perché deve condannare o assolvere - ma non risponde alle domande più profonde: perché chi ha messo la bomba lo ha fatto? perché non si è fermato un attimo prima? possibile che non sapesse valutare le conseguenze di quel gesto? A queste domande il processo non può rispondere, io avrei voluto rivolgerle direttamente ai responsabili, non l’ho potuto fare per 43 anni perché non avevo nessun colpevole di fronte a me. Poi quando ai colpevoli è stato dato un nome ci ho provato. Carlo Maria Maggi non l'ho potuto incontrare perché è morto non molti mesi dopo la condanna all’ergastolo, avrei voluto incontrare Maurizio Tramonte ma lui rifiutò e io rispettai la sua scelta. Arrivai fino in Giappone per incontrare quello che allora era l’imputato Delfo Zorzi, diventato cittadino giapponese, volevo dirgli solo una cosa: venga in Italia, si sottoponga al processo. Lui non è mai venuto in Italia e io mantengo tutti i dubbi sulla sua non colpevolezza”. 

I processi in corso: gli esecutori

Nel 2024 davanti al tribunale di Brescia e a quello dei minori sono inziati due processi ai presunti esecutori materiali di quella strage. Milani, come negli ultimi 50 anni, non ha perso un'udienza. “A sette anni dall’ultima sentenza, ci troviamo ora di fronte a un altro passaggio importante - ci dice -  l’avvio su un’unica istruttoria di due processi perché uno dei due imputati ai tempi della strage era minorenne e dunque dovrà essere giudicato dal tribunale dei minorenni sebbene oggi abbia 70 anni. Si tratta dei due presunti esecutori materiali della strage (ndr Roberto Zorzi e Marco Toffaloni) che nel frattempo hanno cambiato nome e sono diventati uno cittadino svizzero e uno cittadino americano. Entrambi erano appartenenti alla stessa organizzazione eversiva della destra neofascista che ha agito nell'ambito veronese. Anche questo è un tassello importante perché cercherà di riempire quel buco che ancora resta, perché noi non sappiamo ancora oggi chi ha messo materialmente la bomba in quel cestino. Speriamo che questi processi ci daranno la risposta”.

 

Cosa resta

“Di quella strage, e di quegli anni più in generale – conclude Milani - oggi deve restare la memoria, ma non solo. La memoria anzitutto di chi non c’è più, di tutte le vittime del terrorismo, di ogni colore politico e di ogni tempo, perché come ci insegna Calvino ‘Nella morte tutte le persone sono uguali, è nella storia che si dividono’. Noi oggi abbiamo bisogno di una memoria pubblica che sia riconosciuta.  Io che ho vissuto quegli anni oggi resto molto male quando sento dire ‘noi commemoriamo il nostro morto’, no noi non possiamo ricordare solo il nostro morto perché questo significa negare la dimensione dell'altro, significa riprodurre ancora una volta la logica della contrapposizione che non può che portare ad altre forme di violenza. Come quella che ho vissuto io quella mattina di 50 anni fa”.

Casa della Memoria di Brescia

Le vittime della strage di piazza della Loggia

1 - Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni
2 - Livia Bottardi Milani, 32 anni
3 - Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni
4 - Euplo Natali, 69 anni 
5 - Luigi Pinto, 25 anni 
6 - Bartolomeo Talenti, 56 anni 
7 - Alberto Trebeschi, 37 anni 
8 - Vittorio Zambarda, 60 anni