Tornare a casa di notte, senza aver paura. Grazie a una videochiamata

Camminare a passo sostenuto, con le chiavi strette in una mano e il cellulare nell’altra. Ogni tanto guardarsi le spalle, sperando di riuscire a raggiungere il portone di casa senza essere aggredite. Per chi è donna e cammina la sera da sola, soprattutto in zone poco centrali e affollate, questa è la normalità. Una "normalità" fatta di paura, allerta e speranza. Secondo l’ultimo rapporto Univ-Censis del 2025 il 67,3% delle donne ha paura quando torna a casa di sera o di notte. E non è solo un timore: il 25,6% delle intervistate ha raccontato di aver subito almeno una molestia sessuale, il 23,1% uno scippo o un borseggio e il 29,5% è stata seguita da uno sconosciuto. Mentre il 38% di loro ha rinunciato a uscire di casa per paura che potesse succederle qualcosa di grave. Quello della sicurezza in strada è un tema che riguarda tutte, ma che non viene percepito dalle istituzioni come un’emergenza: le soluzioni non si cercano, e la paura delle donne sembra non essere mai abbastanza, finché non diventa cronaca. “Sono a casa”, il messaggio di rito che le nostre amiche o sorelle ci chiedono di non dimenticare una volta chiuso il portone. Tornare a casa di notte, soprattutto nelle grandi città, è un terno al lotto. Perché non resta che affidarsi alla fortuna. Il progetto Viola Walk Home Per rispondere a questo vuoto nel 2022 è nata Viola Walk Home, un’app attiva 24 ore su 24, 7 giorni su 7, attraverso la quale si può avviare una videochiamata gratuita tramite Instagram: a rispondere un’operatrice dall’altra parte dello schermo che tiene compagnia a chi chiama mentre torna a casa. E lancia un allarme se necessario, allertando le forze dell'ordine. La ceo di Viola è Laura De Dilectis, psicologa clinica e creatrice dell'associazione non profit per la sicurezza in strada e contro la violenza di genere DonneXStrada. Un progetto nato dopo il rapimento, lo stupro e l’omicidio della 33enne Sarah Everard avvenuto a Londra nel marzo 2021 per mano di un agente della Polizia Metropolitana di Londra. Un caso che nel Regno Unito ha acceso un forte dibattito sulla paura delle donne. Mentre nel nostro Paese "la sicurezza in strada nel nostro Paese è un tema di serie B: non c’è urgenza né volontà di occuparsene", dice De Dilectis a SkyTG24 Insider. "Quello che si nota a livello istituzionale – a partire dai municipi fino ad arrivare ai governi – è che c’è sempre qualcosa di più urgente. Ma anche questo tema merita attenzione: si tratta della nostra vita, della nostra quotidianità". Quante richieste avete ricevuto fino a oggi? E chi si rivolge a Viola? In questi anni abbiamo contato tra le 13 e le 14 mila chiamate. Il 90% da parte di donne italiane, spesso anche trapiantate all’estero. La nostra app è sempre stata per tutte e tutti, uomini compresi. Ma ci chiamano quasi esclusivamente donne. Qualcuno appartiene alla comunità LGBTQ+ ma si tratta di un dato minuscolo, che si aggira attorno all’1%. Da gennaio 2026 l'app presenterà alcune novità. Quali? Fino a poche settimane fa con Viola eravamo presenti in sette Paesi europei, dal nuovo anno invece abbiamo scelto di concentrarci solo su Italia, Francia e Belgio. Con un servizio in italiano e in inglese. L'altra grande novità è che a rispondere alle richieste non saranno più le volontarie – attualmente 150 – su cui si reggeva Viola, ma operatrici retribuite. Per permettere questo cambio di passo l’app non sarà più gratuita: dopo tre mesi di prova diventerà premium. La maggior parte delle richieste arrivano da grandi città o metropoli? Non abbiamo grandi differenziazioni di città o di paesi, ci chiamano un po’ da tutta Italia. Ma sicuramente siamo più conosciute a Roma e Milano. Oltre a essere Ceo, è anche un’utente? Certamente. Vivo a Parigi in una zona periferica poco frequentata di sera e molto poco illuminata. Penso di essere l’utente perfetta perché abito in una metropoli, ho vissuto in quattro Paesi europei e non guido, quindi per spostarmi utilizzo da sempre i mezzi pubblici o mi muovo a piedi. Sono il caso esemplare di cosa significa camminare da sola di notte in luoghi che non conosci. La nascita di Viola è nata quindi anche da un'esigenza personale. Da psicologa credo che tutto quello che facciamo nella vita sia in qualche modo personale. Non avrei potuto occuparmi di un tema che non mi riguardava. A un certo punto ho capito è che non volevo più subire la paura, così ho pensato di studiare una possibilità per me e per le altre donne. Qual è la forza di Viola? Lo strumento della videochiamata è dirompente? Ti racconto un aneddoto. Un mese fa stavo tornando a casa dopo la mezzanotte, al buio, con la musica nelle cuffie. La strada era deserta. Un uomo inizia a infastidirmi, poi mi accorgo che mi stava seguendo: si avvicina e mi chiede se fossi fidanzata o sposata. Attorno a me non c’era nessun locale aperto, nessun luogo in cui potessi rifugiarmi. Allora ho aperto Viola e avviato la videochiamata. Tra l'altro la volontaria che mi ha risposto apparteneva alle forze dell'ordine. A quel punto ho voltato la telecamera del mio smartphone e ho mostrato a quell’uomo che era ripreso. Se ne è andato immediatamente. Ha avuto paura? Questa volta sì. Anche perché mi trovavo quasi a casa e temevo che quell’uomo potesse scoprire dove abitassi. Io uso spesso Viola, ma solitamente più per farmi tenere compagnia durante i miei tragitti a piedi da sola. Invece in quel caso ho avuto paura. Ma appena lui si è visto nello schermo è fuggito. Una videochiamata con una persona è un testimone oculare. La potenza di Viola è questa. Vive tra Roma e Parigi. Dove si sente più sicura per strada? In entrambe le città mi muovo a piedi, quindi le mie abitudini sono le stesse. La differenza è che Parigi ha 14 linee di metropolitana, e la metro stessa mette a disposizione un numero apposito da contattare in caso di molestia o aggressione. E le linee sono più controllate, ci sono dei pulsanti dedicati per chiedere aiuto. A Roma invece c’è completa desolazione. Capita spesso di dover aspettare mezzore da sola perché i mezzi non passano. Sono stata importunata più volte a Roma. Ma il dato è sempre relativo all’esperienza personale. Credo che Parigi sia più pericolosa, ma dipende sempre dalle zone in cui ti muovi. Non nego che la sera preferisco non uscire o non fare tardi perché abito in una zona periferica, buia e più faticosa da raggiungere. Purtroppo noi donne regoliamo spesso la nostra vita in base a questo. Eppure di sicurezza urbana non si parla spesso. Purtroppo è così: tutte sappiamo che è un problema ma nessuno fa niente. Pensa che a un evento a cui ho partecipato una questora mi ha detto è molto più grave la violenza domestica della sicurezza in strada. Come risponde? A parte che una non esclude l'altra. E non è normale che le donne non escano la sera perché hanno paura. Questo è un problema di natura socio-economica: molte donne sono costrette ad autoescludersi dalla socialità perché non si sentono sicure nella loro città. Che cosa sono i "punti Viola"? Degli spazi sicuri creati da DonneXStrada. Sono dei locali commerciali aperti al pubblico formati dal punto di vista legale e psicologico. In Italia sono 850. L’idea alla base è semplice: "Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto". Molto spesso le donne non si avvicinano ai centri antiviolenza per chiedere aiuto, è difficile intercettarle. Allora ci siamo chieste: come facciamo ad andare noi verso di loro? Una donna va dal parrucchiere, al bar, in banca. E può confidarsi in quei luoghi di fiducia. Nei punti Viola il cittadino può reindirizzare una segnalazione a chi di dovere. Significa dare gli strumenti affinché ognuno possa fare la sua parte senza aspettare inteventi dall'alto. Che ruolo dovrebbe avere invece la politica? Sarebbe importante che il governo si impegnasse seriamente del benessere socio-economico dei cittadini e delle cittadine con interventi a lungo termine. Non basta inaugurare le panchine rosse il 25 Novembre. Noi possiamo continuare a creare soluzioni da sole, Viola è una start up di successo e impatto, ma è pur sempre un’azienda privata. Lo Stato deve fare la sua parte, e dovrebbe farla ascoltando ricercatori e ricercatrici, tecnici e tecniche e associazioni che si occupano di questioni di genere. Penso che comprendere l’impatto socio-economico di questo gap spingerebbe le amministrazioni e occuparsene.

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Giulia Mengolini