Dentro il ghosting: perché fuggiamo senza dare spiegazioni?

“Le cose andavano a gonfie vele, parlavamo di tutto, ci raccontavamo le nostre giornate. Poi all'improvviso lui è sparito”. Alice, 26 anni, è una delle tante vittime di un fenomeno sempre più tristemente diffuso: il ghosting. Il termine, che deriva dall'inglese “ghost” , indica l'atto interrompere ogni forma di comunicazione con una persona, senza fornire spiegazioni: ci si allontana drasticamente, si evita il contatto, ci si dissolve nel nulla. Esattamente come farebbe un fantasma. “All'inizio mi riempiva di attenzioni e parole dolci, sembrava davvero interessata a costruire qualcosa di serio, poi non si è più fatta viva e mi ha bloccato su tutti i social”, ha raccontato Giulio, 31 anni. Nello specifico, il ghosting, che riguarda “non solo le relazioni sentimentali, ma anche quelle amicali e lavorative”, si verifica con “una sparizione a seguito di una apparizione”, spiega Francesca Romana Tiberi, psicosessuologa attiva anche sui social come divulgatrice della salute mentale e sessuale. “Una persona entra nella nostra vita, crea una connessione profonda, instaura una quotidianità e una ritualità e poi, di punto in bianco, se ne va”, chiarisce l'esperta. Secondo una ricerca condotta da Unobravo, il centro medico di psicologia online, il 46% degli italiani afferma di essere stato ghostato. La percentuale aumenta ulteriormente tra coloro che si dichiarano attivi nelle frequentazioni, con un 60% dei single che riferiscono di aver vissuto almeno un’esperienza di questo tipo. “Ci siamo frequentati per due mesi, siamo usciti a cena fuori, abbiamo fatto passeggiate al parco. Da un giorno all'altro, lui ha smesso di rispondere ai miei messaggi. Da un giorno all'altro, io non esistevo più”, ha raccontato ancora Alice. Perché il ghoster ghosta? Che cosa c'è dietro questo fenomeno? Perché alcune persone scelgono di sparire senza motivo lasciando gli altri in un limbo di incertezza, ambiguità e smarrimento? “Sostanzialmente perché non vogliono provare disagio”, spiega Alli Spotts-De Lazzer, psicoterapeuta statunitense e autrice di diversi paper sul tema. “Molte volte i ghoster non sanno cosa dire, hanno paura di essere rifiutati o temono di essere lasciati per primi. Nella maggior parte dei casi, si tratta di persone piuttosto vulnerabili e insicure”, sottolinea. Secondo Spotts-De Lazzer, tra i motivi che si celano dietro il ghosting c'è anche il “gioco di potere”: “Ci sono soggetti che spariscono per essere inseguiti, portando le vittime a pensare costantemente a loro”. I motivi sono spesso legati anche alla “vergogna di passare a uno step successivo della relazione” o “all'incapacità di gestire una chiusura”, evidenzia Tiberi. “Alcuni ghostano perché si accorgono che non c'è più coinvolgimento emotivo ma non sono in grado di comunicare apertamente la loro decisione, altri lo fanno per paura di soffrire”, aggiunge. In tutti i casi, però, chi ghosta mostra “una difficoltà nella comunicazione, nel senso di responsabilità, nella capacità di rispondere dei propri comportamenti” perché “indipendentemente dalla motivazione, ghostare è un darsela a gambe senza coraggio, una totale mancanza di gestione di un disagio”. I numeri del ghosting in Italia Il “rifiuto silenzioso” sembra essere più comune tra le nuove generazioni. Secondo i dati di Unobravo, il 75% dei giovani tra i 18 e i 24 anni sono stati vittime di ghosting. Percentuale che scende, di poco, al 70% tra chi ha un'età compresa tra i 25 e i 34 anni. Numeri che, secondo la piattaforma di psicologi online, evidenziano una tendenza diffusa soprattutto “nelle fasce più attive sulle piattaforme di online dating, dove la comunicazione è spesso più superficiale e la possibilità di sparire più semplice”. La pratica di “sparire senza spiegazioni” colpisce indistintamente donne e uomini, seppure con una maggiore frequenza tra le donne: il rapporto di Unobravo parla di un 62% di donne ghostate, contro un 59% di uomini. E ancora una volta, i ghoster sono soprattutto giovani. L’81% degli italiani tra i 18 e i 24 anni ammette di aver adottato questa pratica, seguito dal 71% tra i 25 e i 34 anni. L'effetto del ghosting sulle vittime “Mi sono chiesto tante volte se avessi detto o fatto qualcosa di sbagliato, continuavo a chiedermi perché se ne fosse andata, ma non riuscivo a trovare delle risposte. Mi sono sentito inadeguato, fuori posto e ho iniziato a dubitare di me stesso e del mio valore”, ha raccontato ancora Giulio. Le sensazioni che accomunano le vittime di ghosting sono le stesse: dolore, frustrazione, impotenza. Ognuno vive e affronta un'esperienza diversa, ma l'impatto che questa esercita su chi la subisce è uguale, per tutte e tutti. Secondo Tiberi, le persone che vengono ghostate soffrono, “esattamente come quando viene loro procurata una ferita fisica”. “Il rifiuto sociale, il rifiuto da parte dell'altro genera in noi un dolore somatico, per cui il nostro cervello si attiva come se stessimo ricevendo uno schiaffo”, aggiunge la psicosessuologa. Quel dolore è reale e “non va mai sminuito” perché "il nostro cervello non distingue se una bastonata è arrivata con un bastone, con una parola o con un silenzio: il dolore è sempre dolore”. Ma cosa succede quando il dolore si somma? Cosa accade nella mente di una persona che sperimenta il ghosting più di una volta? Per Tiberi, potrebbe verificarsi una “situazione di burnout emozionale”, cioè “si va in esaurimento di energie affettive”. E così, ogni volta che ci interfacciamo con un nuovo partner, “invece di partire con la carica a 100, partiamo con una carica emotiva e relazionale a 60, proprio a causa di quei ghosting precedenti”. E cosa significa, nello specifico? “Vuol dire che se tu non mi telefoni per due giorni, che magari è un lasso di tempo assolutamente consono, io in memoria dei ghosting precedenti percepisco quei due giorni come quattro, e vado subito in allerta”, spiega. Questo genera nell'altro “timore o fuga”. Per questo, secondo la psicosessuologa, è molto importante che “chi viene ghostato lavori su se stesso affinché chi arriva dopo il ghostatore non paghi le spese del ghostatore stesso”. Per Tiberi, è necessario comprendere che “l'esperienza insegna ma non deve segnare”. Secondo Spotts-De Lazzer, spesso reagiamo al ghosting nello stesso modo in cui reagiamo a un lutto. Quindi, "attraversiamo le fasi di negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione". I dati sulle vittime di ghosting Come evidenzia ancora il report di Unobravo, il ghosting ha avuto un impatto negativo sull'autostima di chi lo ha subito nel 35% dei casi. Il 46% degli italiani riferisce di aver avuto difficoltà a fidarsi di un nuovo partner dopo aver vissuto questo tipo di esperienza: a essere più colpite sono le donne . La tendenza si inverte se si considera solo la categoria dei single: il 59% degli uomini ghostati dichiara di non riuscire più fidarsi all'interno delle relazioni sentimentali, contro il 45% delle donne. Chi ghosta prova mai senso di colpa? Le persone che interrompono bruscamente il dialogo con altre “talvolta provano un senso di colpa”, chiariscono le esperte. Ciò è dimostrato dal fatto che, quando si ritrovano faccia a faccia con la persona da cui si sono allontanati – magari per un casuale incontro al supermercato, in farmacia, al bar – i ghoster “mettono in atto comportamenti che raccontano un senso di vergogna, una consapevolezza di aver agito in modo scorretto: evitano lo sguardo e fuggono”, specifica Tiberi. Il senso di colpa emerge anche quando questi soggetti “tornano attivi sui social, quando mettono like ai post o alle storie: possono effettivamente sentirsi in difetto, ma mantengono comunque il controllo”, sottolinea Spotts-De Lazzer. In altri casi, ghostatori e ghostatrici semplicemente si sentono “sollevati per non aver dovuto affrontare il disagio”. E così, “il loro benessere supera il senso di colpa”. Il ghosting come forma di ribellione E perché invece alcuni ghoster non si sentono in colpa? In questo caso, secondo la psicosessuologa Tiberi, si tratta di soggetti che spariscono come forma di “disubbidienza e ribellione”: “un po' come il bambino che se ne va sbattendo la porta e finge di non sentire la mamma che lo chiama, il ghosting è una ribellione a qualcosa che lo stesso ghoster ha creato”. L'interruzione di ogni comunicazione è, però, “una forma di comunicazione essa stessa”, spiega ancora l'esperta citando lo psicologo Paul Watzlawick, secondo cui “non si può non comunicare”. “Da psicosessuologa, quando mi trovo davanti a pazienti che sono stati ghostati, invito sempre a riflettere sul fatto che il silenzio è già una risposta. Quello che noi possiamo fare è lavorare e chiederci: 'Ma io voglio davvero stare con una persona che risponde alle relazioni in questo modo?'”, aggiunge. Il ghosting e la “cattiva educazione” Secondo Tiberi, il ghosting è correlato anche a una cattiva educazione. “Fin da piccoli ci insegnano a dire buongiorno e buonasera, a ringraziare gli altri quando ci fanno un favore. Il ghosting è l'esatto contrario delle buone maniere”. “Ai miei pazienti dico sempre: cercate di spostare il ghosting sul piano dell'educazione e chiedetevi se vorreste mai avere a che fare con una persona deliberatamente maleducata che, per esempio, getta una carta per terra o che risponde male al cameriere in un ristorante”, spiega. Le persone che spariscono senza dare una motivazione sono “molto simili a quelle che prendono un appuntamento e, se non riescono a presentarsi, non disdicono e non avvisano”. Il ghostatore è un soggetto che “si stufa a essere responsabile delle emozioni dell'altro”. L'hoovering e il “ritorno dopo mesi” del ghoster “Le chat con la mia migliore amica erano diventate sempre più fredde. Non ho mai capito perché mi ha ghostata, ma questa sua assenza mi ha ferita profondamente”, ha raccontato Beatrice, 28 anni. “Dopo sei mesi è tornata scrivendomi un semplice 'ciao, come stai?', come se non fosse successo niente”, ha aggiunto. Capita spesso che ghostatori e ghostatrici tornino sui loro passi. Per la psicosessuologa Tiberi, non lo fanno per “pentimento”, ma per una "forma di controllo”. Questo comportamento rientra nel cosiddetto hoovering, una tattica manipolativa che si verifica quando “il ghoster tenta di risucchiare la vittima attraverso messaggi sporadici, like sui social, commenti: questo non è un vero ritorno, ma è un colpetto all'amo per verificare che il pesce abbocchi ancora”. Secondo la psicosessuologa, è in questa fase che la persona ghostata deve “lavorare su se stessa e chiedersi 'perché sto dando così tanta importanza a una persona che mi cerca solo a intermittenza?'”. Davanti al ritorno del ghoster siamo spesso portati a "pensare che ci sia nuovamente interesse e connessione, ma non è sempre così”, rimarca la psicoterapeuta Spotts-De Lazzer. Alcuni tornano indietro effettivamente per "riprovarci", ma molti altri lo fanno per "verificare che ci sia ancora attrazione, per mantenere una sorta di potere o perché amano la scarica di dopamina che provano quando l'altra persona risponde ai messaggi”, ribadisce l'esperta. Di fronte a queste situazioni, la tendenza comune è quella di provare in tutti i modi a individuare un senso, affinché il quadro finale abbia un significato più o meno razionale. Ma, secondo Spotts-De Lazzer, “non serve” perché “non possiamo sapere i motivi per cui una persona ci ha tagliato fuori dalla sua vita. Sappiamo solo che lo ha fatto. Dunque, alleggeriamoci del peso di capire le ragioni: questo disagio riguarda loro, non noi”. La verità è che “chi ci vuole bene davvero non sparisce”. Il ghosting nella contemporaneità Oggi il rifiuto silenzioso ha un nome, ma la strategia della fuga è sempre esistita. “Il partner che esce a comprare il latte e poi non torna più ne è un esempio”, specifica Tiberi. Il punto è che “la cultura digitale odierna ha incrementato e normalizzato l'evitamento emotivo”, sottolinea Spotts-De Lazzer. Oggi è tutto più veloce: bloccare e cancellare su uno smartphone è un atto istantaneo che, con altrettanta rapidità, ci consente di bloccare e cancellare le persone anche nella nostra vita. “Attraverso l'utilizzo smodato dei social, oggi stiamo perdendo quella connessione faccia a faccia che ci permette di vedere gli effetti che le nostre azioni esercitano sulle altre persone”, afferma la psicoterapeuta californiana. Questo “distanziamento” si è esacerbato soprattutto a seguito della pandemia da Covid-19, che “secondo la ricerca ci ha inevitabilmente portati a perdere alcune delle nostre capacità di interazione”. Nella contemporaneità assistiamo quindi a una “responsabilizzazione minima” perché “con un pulsante c'è la cancellazione dell'altro, con uno scroll c'è il 'non esisti più' e, in questo contesto, anche il ghosting è molto più facile”, rimarca Tiberi. La modalità di comunicazione attraverso i social media ha reso “esponenzialmente più semplice il ghosting": attraverso lo schermo, "semplicemente ti blocco e per me non ci sei più”. Il ruolo dell'educazione infantile Secondo Spotts-De Lazzer, a trasmettere il messaggio che “è meglio non provare disagio” sono “le influenze che abbiamo avuto”. “Pensiamo all'educazione infantile al giorno d'oggi: i genitori tendono all'iperprotezione, a proteggere i bambini dal disagio. Questo però rischia di aumentare la tendenza all'evitamento, rendendo le persone meno capaci di affrontare le emozioni più scomode”. Talvolta è la società stessa a imporci di essere sempre ultraperformanti. Ma “accettare la vulnerabilità significa essere molto forti”, perché è da lì che “possiamo crescere, diventare resilienti, provare empatia, prenderci cura di qualcuno nello stesso modo in cui vorremmo che gli altri si prendessero cura di noi”. Stringere la mano alle nostre debolezze “ci aiuta a essere molto più connessi agli altri”. Possibili soluzioni per educare In che modo possiamo agire per provare a mettere in atto un'inversione di tendenza, disincentivando soprattutto le nuove generazioni dal ricorrere al “rifiuto silenzioso”? Secondo Tiberi, serve “insegnare che si può vivere anche provando disagio, che è più ammirevole comunicare a un'altra persona il nostro disinteresse, piuttosto che evitare l'argomento ed eclissarsi”. È necessario far capire, soprattutto ai giovani, che “la fuga non è una risposta funzionale” e che “buona educazione significa anche ammettere che non proviamo le stesse cose, che non siamo interessati all'altra persona, che vogliamo interrompere la relazione”. Assumersi le proprie responsabilità, secondo la psicosessuologa, protegge anche gli altri dalla “autocolpevolizzazione”: molti davanti al ghosting si chiedono che cosa abbiano fatto di sbagliato da meritare quel trattamento. Spotts-De Lazzer suggerisce di domandarsi sempre: “Come vorrei essere trattato dagli altri?”. Per la psicoterapeuta, la società contemporanea dovrebbe investire maggiormente su “empatia” e "linguaggio dei sentimenti", perché "per migliorare il nostro rapporto con gli altri, dobbiamo prima migliorare il nostro rapporto con noi stessi: che significa comprendere la nostra interiorità”.

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Silvia Donnini