Parità e inclusione nel lavoro, a che punto siamo? La parola agli uomini

Come vivono oggi gli uomini il mondo del lavoro? Qual è la loro percezione su stereotipi, discriminazioni ed equità negli ambienti professionali? Quando si parla di questioni di genere spesso ci si concentra solo sul genere femminile, ma per intraprendere un dibattito collettivo è importante ampliare lo sguardo anche sul maschile: è questo l'obiettivo della Survey L.U.I. – Lavoro, Uomini, Inclusione, realizzata da Fondazione Libellula con il supporto scientifico dell’Università Cattolica - che ha raccolto le voci di oltre 2 mila uomini in Italia per indagare il loro punto di vista, con l’intento di contribuire a superare stereotipi e squilibri di genere che impediscono relazioni paritarie. I risultati della survey – presentati questa mattina alla Cattolica di Milano - hanno fotografato una realtà fatta di contraddizioni: poca consapevolezza dei privilegi, ma anche nuovi segnali di cambiamento. Abbiamo analizzato i dati più rilevanti emersi dalla ricerca insieme a Mara Ghidorzi, gender expert di Fondazione Libellula. “Alla nostra indagine hanno partecipato 2137 uomini lavoratori tra i 16 e i 60 anni, rispondendo a un questionario che ci sta aiutando a capire cosa pensano gli uomini che lavorano in contesti aziendali su temi come la parità di genere, le molestie sul lavoro, la disparità salariale e la genitorialità”. Una radiografia necessaria perché “se abbiamo molti dati sull’universo femminile, che purtroppo troppo spesso incontra storie di violenza o discriminazioni, del genere maschile non sappiamo quasi nulla: è come se nei contesti aziendali non esistesse. Per molto tempo è stato nascosto”. Quanti uomini si sentono coinvolti nel contrasto alla violenza di genere “Fra queste pagine ci sono dati incoraggianti e altri preoccupanti”, dice Ghidorzi. Partendo dai primi, è emerso che il 90,5% degli intervistati pensa che una maggiore equità nei generi - a casa e sul lavoro - sia un vantaggio per tutti e tutte. “E questo è un segnale positivo, perché finalmente le questioni di genere non sono viste come questioni riguardanti le sole donne, ma come un fenomeno che coinvolge tutta la società. La conferma che la parità non è una concessione, ma una conquista collettiva”. Un altro dato incoraggiante, che mostra una crescita di consapevolezza, è che il 77% degli uomini si sente coinvolto nel contrasto alla violenza di genere. Una percentuale molto alta, accompagnata però da un dato negativo: “Questo numero crolla al 53% nella fascia che riguarda la generazione Z, quella più giovane”, spiega l’esperta. “A sorpresa, stiamo parlando di ragazzi di 28-29 anni, che nell’immaginario collettivo sono più sensibili ai temi di genere dei 50-60enni: questo dato ci dice invece che il cambiamento deve essere accompagnato, e non dobbiamo dare nulla per scontato. Nelle scuole sarebbero necessari percorsi di educazione su questi temi”. Il femminicidio Cecchettin ha aperto un dibattito Ma cosa significa, più concretamente, sentirsi “coinvolti nel dibattito?”. Ghidorzi spiega che il coinvolgimento è strettamente collegato a una maggiore consapevolezza sul fatto che la violenza di genere riguarda tutti. “Molti uomini hanno capito che anche se non sono quelli che agiscono la violenza in prima persona, c'è un tema culturale che interroga anche loro. Il salto di qualità è riuscire a passare da: ‘Non sono stato io, non tutti gli uomini sono violenti’ a ‘cosa posso fare io in quanto uomo’?”. Un cambio di passo che si è innescato dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin nel novembre 2023. “Quel caso ha rappresentato uno spartiacque: un femminicidio avvenuto nella tranquilla media-borghesia veneta di quella che sembrava una famiglia modello ha scosso le coscienze e ci ha fatto capire che la violenza è trasversale, e che quello che è successo a Giulia poteva accadere ovunque”, dice l’esperta. “Finalmente è stato evidente che il profilo del femminicida non corrisponde a un mostro, né a un pazzo né a un deviato. E a tenere vivo il dibattito c’è stato, e continua a esserci, il fortissimo lavoro comunicativo portato avanti dal padre Gino”. Lavoro di cura e congedo parentale: a che punto siamo? Un altro dato interessante emerso dalla survey “che immortala una fotografia su una fase di cambiamento in atto, anche se lento” è quello relativo al mondo della cura e alla genitorialità. Solo il 34,6% dei padri ha utilizzato tutto il congedo parentale: significa che due uomini su tre vi hanno rinunciato. Un dato che racconta quanto ancora la cura dei figli sia percepita come responsabilità materna, e quanto sia urgente promuovere una genitorialità più equa. “Il carico di cura è ancora sproporzionato sul femminile”, spiega l’esperta. Ma anche in questo caso è importante porre lo sguardo sulle differenze generazionali: “Il dato relativo all’utilizzo del congedo sale moltissimo – dal 34 al 56% - nella fascia di uomini tra i 30 e i 40 anni raccontandoci che ‘i nuovi padri che vogliono finalmente godersi la paternità e assumersene la responsabilità”. Un altro dato da attenzionare rispetto al tema della cura – questa volta meno incoraggiante - è che meno di due uomini su 10 si sentono costretti a sacrificare la propria carriera per prendersi cura della famiglia: una percentuale che invece tra le donne supera il 43%, evidenziando un significativo divario di genere. Per un uomo su 3 la partità è già stata raggiunta C’è poi un dato "preoccupante" meno specifico. Alla domanda dell’indagine: “Secondo lei, la parità di genere è stata raggiunta?” quasi un uomo su tre ha risposto in modo affermativo. Ed è impressionante constatare che invece tra le donne, solo il 6,5% la pensa allo stesso modo. “Questo scollamento tra percezione e realtà rende difficile riconoscere le disuguaglianze ancora presenti”, sottolinea Fondazione Libellula. Mentre nel 2024 il Global Gender Gap Report del World Economic Forum ha affermato che ci vorranno ancora 134 anni per raggiungere la parità di genere a livello globale. “Questa maggioranza di uomini che pensa che la parità sia stata raggiunta ci fa capire che ci sono tante zone d’ombra che ancora resistono. Ma che non oscurano i passi in avanti”. Il genere influenza le opportunità di figli e figlie? Il 53,3% degli uomini intervistati ha poi affermato di pensare il genere possa influenzare le opportunità di figli e figlie, mentre le donne lo affermano nell’80% dei casi. Un divario che mostra quanto spesso il privilegio maschile resti invisibile a chi lo vive, e quanto sia importante riconoscere le barriere che le bambine e le ragazze affrontano fin da piccole”. Sarebbe importante che lo sguardo dei padri diventasse più consapevole: “Spesso è ancora difficile rendersi conto degli stereotipi e dei condizionamenti esterni che portano i ragazzi ad avvicinarsi alle materie STEM mentre la maggior parte delle bambine sceglie materie umanistiche. I genitori dovrebbero iniziare a chiedersi come questi stereotipi possano influenzare il loro percorso lavorativo”. Discriminazioni e ambiente tossico: parlarne è difficile E poi c’è il tema legato a molestie e discriminazioni sul luogo di lavoro. Un dato significativo, spiega Ghidorzi, è quello relativo alle molestie per il proprio orientamento sessuale: “Questa è l'unica forma di discriminazione che colpisce più gli uomini che le donne”. Il 5,3% degli intervistati ha dichiarato di averle subite. Il fenomeno è più diffuso tra i freelance, nei contesti piccoli e informali, tra i più giovani e gli over 60. La rigidità di certi modelli di mascolinità continua a generare esclusione, soprattutto per chi non rientra in standard imposti dalla società. “I maschi sono da sempre portati a mostrare la propria virilità, ma non a mostrare la vulnerabilità taciuta nelle discussioni legate alle tematiche di genere”. Ma se vogliamo davvero “recuperare il maschile” dobbiamo aprire una conversazione anche su discriminazione e molestie, osserva Fondazione Libellula. In modo che nessun uomo si senta il solo. Anche sulla tossicità degli ambienti di lavoro i dati sono alti: quasi un intervistato su quattro ha cambiato lavoro a causa di molestie, discriminazioni o un ambiente tossico: “È il segnale che anche gli uomini possono essere colpiti da dinamiche lavorative malsane, e che serve una cultura della sicurezza e del rispetto condivisa, per tutti e tutte”. Un cammino è iniziato Cosa ne sarà di questi dati? Tutti i numeri raccolti dalla survey serviranno per impostare un lavoro di formazione sulle aziende. "Queste sono per noi informazioni preziosissime per poter parlare con le aziende e impostare con loro un lavoro culturale e formativo", spiega l'esperta. "Questa ricerca non rappresenta una fotografia esaustiva degli uomini italiani , ma è una buona base di partenza: in assenza di dati e i numeri non si può spiegare la realtà". E il punto di vista maschile non è quasi mai considerato quando si parla di tematiche di genere, conclude Ghidorzi, ma per portare avanti un dibattito che coinvolga uomini e donne insieme "c'è bisogno di sapere a che punto sono, di che cosa hanno bisogno e cosa ancora manca". Ricordando che l'obiettivo comune non è portare avanti una battaglia tra i sessi, ma al contrario costruire una collaborazione, un'alleanza. "Stiamo vivendo un cambiamento, e come tutte le fasi di evoluzione ci sono elementi positivi ed elementi di resistenza. La buona notizia è che anche se la strada è ancora lunga, il cammino è finalmente iniziato".

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Giulia Mengolini