Quello che non siamo, quello che non vogliamo

È per l’entusiasmo e l’urgenza di avere uno spazio in cui condividere quello che penso e che sento mentre il mondo succede: certo. Ma anche per un bisogno vitale di precisione e puntualità- una volta mi fu paventata la diagnosi di sindrome anancastica, che sarebbe, appunto, una condizione psicologica caratterizzata da una preoccupazione eccessiva per l’ordine e il perfezionismo, a discapito della flessibilità e dell’improvvisazione. Fatto sta che sono abituata a scrivere e mandare a chi di dovere i miei pezzi sempre con largo anticipo rispetto al tempo di consegna che mi viene dato. Non a caso, ieri pomeriggio, alla vigilia di oggi, venerdì, giorno in cui, una volta alla settimana o ogni due, va online ChiaraMente, Marianna Bruschi, la soave, ma anche lei puntualissima, chi-di-dovere che si occupa di questo spazio mi manda una mail: Chiara, tu non scrivi e io mi preoccupo! <3 Le rispondo alla fine di una giornata particolarmente pesante: ho accompagnato mia figlia a scuola sotto il diluvio, poi il cane dal veterinario perché l’ha punto un tafano, poi ho provato a mettermi sul nuovo romanzo, la gola ha preso a bruciarmi, sono dovuta scappare all’appuntamento per il rinnovo della carta d’identità, mi sono precipitata a prendere mia figlia alle due, perché dopo tre mesi di vacanze il tempo pieno comincerà comunque solo alla terza settimana di ripresa, l’ho portata da un’amichetta, ho insegnato quattro ore di fila alla mia Scuola di Scritture Creative, l’ho recuperata, speravo si addormentasse come al solito subito, invece aveva troppa voglia di raccontarmi nel dettaglio che cosa aveva fatto con l’amichetta - mi sono misurata la febbre, trentotto e tre. Riassumo tutto questo a Marianna, aggiungendo che la baby sitter, anche lei dopo tre mesi di vacanza, sentiva il bisogno di un’altra settimana al mare e tornerà domenica, e che, insomma: sono giorni pazzi, sono costretta a saltare il turno. Ma poi, spento il telefono, spento il computer, ci rifletto: sono sempre, giorni pazzi, quelli di una madre single che lavora in una grande, collassata città. E allora perché? Perché nessuna notizia, negli ultimi giorni, mi ha stimolato l’entusiasmo di condividere quello che penso e che sento, di ricamare un’interpretazione? Non sono più anancastica, sto guarendo? La risposta mi si è intrecciata ai sogni che non ricordo e stamattina si è svegliata prima di me: non era la mia voce, a parlarmi alla testa e al cuore. Era quella di Montale. “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato. Ah l’uomo che se ne va sicuro agli altri ed a se stesso amico e l’ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro! Non domandarci la formula che mondi possa aprirti sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.” Il tempo pieno che non comincia, la baby sitter che non torna, i tafani, i rinnovi dei documenti sono solo scuse: la verità è che quest’ennesima settimana di notizie tremende e angoscia mi ha paralizzata. La verità e che mi ritrovo senza l’urgenza di una qualche visione personale, sgonfia, mentre riesco a parlare, anche fra me e me, solo al plurale. Per dire, appunto “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Troppo addolorata e impotente per aggiungere altro. Sento anche attorno a me, mi pare di poterli toccare, teste e cuori altrettanto sgonfi, addolorati, impotenti. Che allora questo spazio, oggi, ci dia almeno l’occasione di condividere il loro silenzio. Io intanto mando a Marianna il mio.

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Quello che non siamo, quello che non vogliamo

Chiara Gamberale