Chi sono gli attivisti a bordo delle barche della Global Sumud Flotilla
CronacaCooperanti, giornalisti, medici, religiosi, insegnanti. Una buona fetta della società civile è rappresentata dalle oltre 800 persone provenienti da 44 paesi che su 70 barche tenteranno di forzare il blocco navale israeliano e portare aiuti, cibo e farmaci, alla popolazione di Gaza stremata dalla fame e decimata dalle bombe. Una operazione internazionale umanitaria non violenta che non ha precedenti nella storia.
Le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla approdate in Sicilia da Genova e da vari porti europei sono ormeggiate tra cantieri navali e porti turistici. Gli equipaggi attendono indicazioni su tempi e modalità della partenza guardando al meteo e aspettando un miglioramento delle condizioni del mare e del vento, per unirsi alle altre navi in partenza o già in navigazione da Spagna, Tunisia e Grecia. Una flotta di 70 imbarcazioni con a bordo oltre 800 persone provenienti da 44 paesi per una operazione umanitaria, internazionale, pacifica, senza precedenti. L’obiettivo è superare il blocco navale israeliano e raggiungere Gaza per portare aiuti umanitari alla popolazione stremata da bombe e fame.
“Faremo la storia, quale sia l’esito di questa missione” mi dice Abdellahi Ahmed Cheikh, reporter di Al Araby, nato in Mauritania ma cittadino britannico, che ha deciso di imbarcarsi con la Flotilla. “Il motivo per cui ho scelto di unirmi alla missione è il genocidio a Gaza. Bambini, neonati, uomini, donne, civili muoiono di fame ogni giorno e dobbiamo fare qualcosa per fermare tutto questo. Sappiamo che forse non riusciremo a raggiungere Gaza ma almeno dobbiamo provarci. Lo faccio anche per i miei figli che mi chiedono in lacrime cosa noi facciamo per aiutare la gente di Gaza. Come esseri umani chiediamo l’apertura di questi corridoi umanitari e che il blocco venga rimosso. Visto che i governi non fanno nulla come esseri umani noi cerchiamo di fare qualcosa”.
Faccio a lui la stessa, ovvia, domanda, che rivolgo a tutti gli attivisti che fanno parte della missione e che incontro nei porti di Catania e Siracusa dove ci si prepara a partire, ovvero se ha paura viste le intenzioni dichiarate da Israele, di trattare gli attivisti che tenteranno di forzare il blocco come terroristi, di sequestrare i beni che portano e confiscare le navi.
“L’esercito israeliano fronteggerà qualcosa senza precedenti. Sarà impossibile fermare 70 barche e noi cercheremo di fermare quella macchina della morte che Israele ha messo in moto. Sappiamo che è pericoloso, che potremmo essere uccisi o feriti, abbiamo paura ma non possiamo restare seduti a guardare senza fare nulla”.
Secondo una nuova analisi dell'Integrated Food Security Phase Classification oltre mezzo milione di persone a Gaza soffrono di fame diffusa, indigenza e morti evitabili. Si prevede che nelle prossime settimane le condizioni di carestia si estenderanno dal Governatorato di Gaza ai Governatorati di Deir Al Balah e Khan Younis. FAO, UNICEF, WFP e OMS hanno collettivamente e costantemente sottolineato l'estrema urgenza di una risposta umanitaria immediata e su larga scala, dato l'aumento dei decessi legati alla fame, il rapido peggioramento dei livelli di malnutrizione acuta e il crollo dei livelli di consumo alimentare, con centinaia di migliaia di persone che trascorrono giorni senza nulla da mangiare.
A bordo della più grande flotta umanitaria mai allestita c’è un pezzo variegato di società civile. Ci sono persone di tutte le età, c’è una donna che ha 80 anni. Ci sono giornalisti, sacerdoti, insegnanti, medici, politici, esperti di navigazione e ragazzi che non sono mai saliti su una barca. E ci sono operatori umanitari come Boris Vitlacil, nato a Sarajevo, che come cooperante ha prestato aiuto e assistenza in alcuni tra i più drammatici scenari di guerra e miseria estrema nel mondo. “Il sistema internazionale ha fallito nel prevenire il genocidio e nel portare aiuti alla popolazione a causa di un Governo, quello israeliano, che non permette alle organizzazioni umanitarie di intervenire, che decide quanto cibo deve entrare ed è cibo che non è mai sufficiente e così ogni giorno muoiono di fame e dissenteria, motivi che noi potremmo risolvere come operatori umanitari. Non è mai successo nella storia recente che una simile carestia venga provocata da un governo".
"E’ assurdo" dice Boris "che una flotilla umanitaria non armata sia considerata come una associazione terroristica. Forse fa paura a chi ha interesse che questa guerra continui perché possano continuare a fare i loro interessi. Il mondo ha perso la bussola. Ogni giorno vengono uccisi giornalisti, ogni giorno vengono uccisi bambini, gli aiuti internazionali sono bloccati e credo che questa flotilla possa restituire la bussola all’umanità e mostrare cosa si deve fare quando c’è un genocidio in corso”.
Preoccupati ma non intimoriti, determinati ad affrontare una missione che dicono non è solo finalizzata a portare cibo e farmaci ma anche attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sul genocidio in corso. "Vogliamo fare qualcosa per salvare l’umanità che si sta autodistruggendo" mi dice l'irlandese Guy Darrer. Sulla stessa barca c’è Kristina, attivista svizzera. "Non possiamo assistere a questo sterminio senza fare nulla. E non siamo terroristi, andiamo in pace”.
Intenzioni e obiettivi condivisi da Emergency che ha deciso di unirsi alla Flotilla con la Life support, nave di ricerca e soccorso migranti impegnata di solito nel Mediterraneo centrale. Con a bordo 29 persone tra equipaggio, operatori umanitari e personale medico, Emergency svolgerà il ruolo di osservatore e alle altre imbarcazioni offrirà supporto medico e logistico.
Anabel Montes Mier, la capomissione, mi dice: “Quando i governi non proteggono le persone è obbligo morale della popolazione intervenire in modo pacifico e noi abbiamo il diritto internazionale dalla nostra parte”.
La paura però resta, gli attivisti sanno che i militari israeliani potrebbero fermare le barche della Flotilla umanitaria con ogni mezzo.
Antonio Mazzeo, professore, giornalista, blogger, ha già sperimentato la detenzione nelle carceri israeliane quando a luglio ha tentato insieme con altri attivisti di forzare il blocco e raggiungere Gaza sulla Freedom Flotilla. Lo incontro alla grande manifestazione organizzata a Siracusa per accogliere le barche in arrivo, con migliaia di persone ad applaudire gli equipaggi allo sbarco al porto di Ortigia e ad ascoltare le storie e le testimonianze di chi conosce bene la questione palestinese.
“Israele definisce noi terroristi? E come si può definire un Governo che minaccia, in violazione della Convenzione di Ginevra, di attaccare navi umanitarie che viaggiano in pace, in acque internazionali? Non ho sentito alcun Governo ricordare a Israele che fermare imbarcazioni civili con a bordo aiuti umanitari è un crimine di guerra”.