Cosa succede se a commettere un reato è un minore di 14 anni

Sono poco più che bambini i responsabili della morte di Cecilia De Astis, la 71enne investita nel quartiere Gratosoglio a Milano. Alla guida dell’auto, rubata il giorno prima a un turista francese, c’era un ragazzino di 13 anni. Nel veicolo con lui altri tre amici: due 12enni e l’unica ragazzina di soli 11 anni. Davanti agli agenti che li hanno individuati, i minori hanno ammesso di aver preso tutto il possibile dall’auto targata Francia, di aver trovato le chiavi e di essersi lanciati in una folle corsa terminata in tragedia. Poi, sono scappati via a piedi. Sono nati in Italia da genitori di etnia rom e vivono in un campo nomadi. Hanno 11, 12 e 13 anni ma non sono bambini, “sono preadolescenti”. Lo sottolinea a Sky TG24 Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta Presidente della Fondazione Minotauro, per il quale dando la giusta inquadratura ai giovanissimi colpevoli “si può anche provare a dare un significato diverso al gesto che hanno compiuto. Questa è un’età in cui la sperimentazione anche in gruppo è parte del processo di crescita. È chiaro che quello è un contesto culturale che, con la presenza di alcuni modelli di identificazione e l’assenza di altri, ci porta davanti a un degrado del progetto di sperimentazione, un gesto terribile che finisce con la morte di una persona”. Mancanza di modelli educativi Ragazzini che nascono in determinati contesti crescono senza un modello educativo alternativo. C’è un problema, come sottolinea lo psicoterapeuta Lancini, di maturazione a livello cognitivo-neuronale e a livello affettivo. Ma, spiega, “c’è anche un tema di visibilità importante: questi gesti determinano che l’azione conclamata ti metta al centro del mondo. Noi dobbiamo trovare delle soluzioni affinché questi ragazzini diventino visibili non quando compiono un gesto disperato o un’azione omicida ma dentro la loro crescita positiva. È chiaro che quando non c’è un modello adulto, il gruppo diventa una banda che devìa”. Marina Terragni, Presidente dell’Autorità Garante Infanzia e Adolescenza, parlando a Sky TG24 fa eco all’allarme lanciato dallo psicoterapeuta Lancini focalizzandosi proprio sul tipo di educazione che ragazzini come quelli protagonisti della vicenda di Gratosoglio ricevono in famiglia. “Questi ragazzi hanno fatto una bravata che si è conclusa con una tragedia ma io punterei l’obiettivo anche sul fatto che loro prima erano andati a svuotare la macchina che poi hanno rubato e usato. Dal punto di vista del percorso di questi ragazzi - sottolinea Terragni - probabilmente è più significativo questo primo passaggio perché vuol dire che sono stati cresciuti per fare quella cosa: svuotare bagagliai, scippare in metropolitana”. Fallimento educativo Nel momento in cui dei bambini di neanche 14 anni invece che trovarsi per giocare insieme fanno banda per commettere reati, per la dottoressa Terragni assistiamo al “fallimento di due agenzie educative: la primissima è la famiglia che non è sostituibile, la seconda è la scuola”. Di fronte a questo fallimento è necessario trovare un modo affinché i bambini abbiano l’opportunità di vivere una vita diversa rispetto a quella che gli si prospetta. Le soluzioni sono due: la prima è “che una famiglia li accolga in affidamento o addirittura in adozione, cosa non facile perché - sottolinea la Presidente dell'Autorità Garante - sono già grandicelli e si portano un tale carico di comportamenti antisociali che difficilmente le famiglie accettano; la seconda sono le case famiglia. Se vogliamo salvare la vita di quei quattro bambini non possono continuare a stare lì, non è un ambiente in cui possono crescere”. Non imputabili sotto i 14 anni Le loro sorti sono ora al vaglio della Procura dei minori di Milano perché, in quanto più piccoli dei 14 anni, non sono imputabili. Ma cosa succede dunque quando a commettere un reato, dal più piccolo al più grave, è un ragazzino che non ha ancora compiuto il 14esimo anno? “Bisogna lavorare dentro una dimensione di grande complessità”, spiega il Presidente della Fondazione Minotauro Matteo Lancini. “La giustizia minorile italiana è una tra le più avanzate del mondo: capisco che colpisca che dei ragazzi che hanno commesso un omicidio, perché di questo si tratta, non vengano messi in carcere l’indomani ma bisogna tenere in considerazione che la legge monitora la situazione specifica in base alla maturazione cognitiva, affettiva e relazionale e punta a fare in modo che ci sia una riabilitaizone e un ruolo rieducativo. Ma - sottolinea lo psicoterapeuta - il fatto che non siano imputabili non significa che non faranno niente, anzi ci saranno degli interventi enormi”. I possibili provvedimenti L’allontanamento dai genitori e l’affidamento in comunità sono i due provvedimenti che, probabilmente, i magistrati minorili chiederanno al Tribunale dei minori. L’opinione di Marina Terragni in merito è netta: “Una famiglia che ospiti uno o due di questi bambini sarebbe la soluzione ideale. Purtroppo non dobbiamo far finta di non vedere le difficoltà che una soluzione del genere prospetterebbe, quindi le comunità e le case famiglia possono impostare un programma con questi bambini e possibilmente anche con i genitori”. Attualmente, la posizione più grave è quella del 13enne che guidava l'automobile che ha investito e ucciso Cecilia De Astis ma i magistrati dovranno valutare caso per caso la condotta e la responsabilità di ognuno dei ragazzini coinvolti. Una situazione complessa che, spiega Matteo Lancini, “vede coinvolte una cultura specifica, più persone, pensare a un allontanamento è complicato e di comunità disponibili ce ne sono sempre poche. Il tempo che il Tribunale dei minori si riserverà per decidere è quello necessario a prendere dei provvedimenti per l’interesse superiore dei minori che in questo momento vanno messi al centro”.

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Claudia Torrisi