Fine vita, Cappato: "Aiutare qualcuno a non soffrire più è un gesto umano"

Marco Cappato è la persona che, negli ultimi vent’anni, ha reso pubblico il dibattito sul fine vita in Italia. Lo ha fatto esponendosi in prima persona, affrontando processi, rischiando condanne e lottando contro un sistema culturale che vedeva nel diritto a scegliere come morire la negazione della vita. Ex eurodeputato radicale, oggi tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e presidente di Humans, ha trasformato un’istanza personale in una campagna politica fatta di azioni pubbliche, disobbedienza civile e lotte legali. Da Piergiorgio Welby a Dj Fabo Piergiorgio Welby ha segnato l’inizio di tutto, nel 2006. “Mi contattò perché non ce la faceva più a vivere attaccato al respiratore. Chiedeva aiuto per ottenere il diritto a scegliere come morire”. Quella richiesta, inizialmente personale, diventa in fretta un caso politico. Cappato convince Welby a rendere pubblica la sua voce, e quando il Presidente Napolitano risponde al suo appello, il caso esplode. La legge italiana, pur vietando l’eutanasia, consente la sospensione delle terapie sotto sedazione. Ma nessuno vuole assumersi la responsabilità di accompagnare Welby nella sua scelta, fin quando Mario Riccio, un anestesista dell’ospedale di Cremona, si offre di farlo. “Welby morì con dignità, dopo aver salutato uno per uno amici e familiari. Fu una svolta anche per me, sul piano umano e politico”. Da quel momento Cappato diventa il volto della battaglia sul fine vita. Lo sarà anche dieci anni dopo, nel caso di Fabiano Antoniani, conosciuto con il nome dj Fabo, accompagnato da lui in Svizzera per accedere al suicidio assistito. “Ero pronto, ed ero pronto grazie all’esperienza con Piergiorgio Welby. Con Fabo è stato un gesto di amicizia. Mi colpì la sua leggerezza, la capacità di essere del tutto in sé anche nell’immediatezza della morte. Scherzò anche, poco prima, su uno yogurt che aveva appena mangiato. La sua è stata una scelta pienamente consapevole, fatta per amore verso la vita e la sua bellezza, non per disperazione”. Il boicottaggio silenzioso Ma se la società sembra aver metabolizzato il tema, le istituzioni italiane restano ferme. “La democrazia qui funziona male. Una minoranza organizzata riesce a bloccare tutto, anche quando l’opinione pubblica è favorevole”. Per Cappato, non è questione solo di ideologia religiosa: è una strategia politica che punta a evitare il dibattito per non perdere consensi. E anche quando la Corte Costituzionale impone al Parlamento di legiferare – come in questo caso – la reazione è minima. “La risposta è sempre lo stesso boicottaggio silenzioso: si approvano leggi senza poi farle conoscere, come per il testamento biologico. L’unico governo che ha fatto un passo in avanti è stato quello Renzi, con la legge sulle disposizioni anticipate di trattamento. La gente non sa di avere diritti, i medici non vengono formati, le richieste vengono rallentate”. La legalizzazione dell’accesso al suicidio assistito, osserva, non rappresenta la fine di un percorso, ma l’inizio di un nuovo modello di confronto. “Dobbiamo distinguere chi chiede di morire ma può essere aiutato a vivere, da chi ha diritto a vedersi riconosciuta quella scelta. Ma questo può avvenire solo nella legalità, non nella clandestinità”. È una posizione che si discosta tanto da chi invoca la libertà assoluta, come succede di fatto in alcuni paesi europei, quanto da chi vuole impedire ogni forma di autodeterminazione. Il segnale della Toscana Cappato immagina una legge semplice: mantenere i criteri della Consulta – lucidità, patologia irreversibile, sofferenza insopportabile – eliminando quello che richiede il supporto vitale, spesso discriminatorio per malati oncologici terminali. La dipendenza da supporti vitali, secondo Cappato, è un criterio troppo stringente. Inoltre, il tesoriere dell’Associazione Coscioni vorrebbe consentire anche la possibilità, oggi vietata, che un medico possa praticare direttamente il trattamento, se richiesto. La resistenza maggiore oggi, spiega, non è tanto nei tribunali – dove pure è indagato in sette procedimenti per casi di aiuto al suicidio – ma nelle pieghe dell’amministrazione. “Federico Carboni, la prima persona ad aver ottenuto il suicidio assistito in Italia, ha aspettato due anni per una visita medica. Nessuno voleva assumersene la responsabilità”. Nel frattempo, qualcosa si muove in alcune Regioni, come la Toscana, che ha approvato una legge di iniziativa popolare promossa proprio dall’Associazione Coscioni, per rendere effettiva l’assistenza alla morte volontaria. “È un segnale forte, che ha messo in allarme chi sperava che il diritto, riconosciuto dalla Corte, restasse sulla carta”. Dignità e serenità Per Cappato, oggi il cuore della battaglia è la democrazia. “Non parlo solo del diritto a morire, ma della possibilità per i cittadini di intervenire nelle decisioni che li riguardano. La disobbedienza civile è uno strumento per riattivare la democrazia. Senza non avremmo ottenuto nulla”. La sua è una militanza che nasce da una reazione morale. “Per me, imporre a una persona una condizione di sofferenza contro la sua volontà è una violenza. Non è un gesto eroico. È come vedere qualcuno picchiato per strada e decidere di intervenire. Se poi lo Stato riconosce che c’era un diritto, bene. Altrimenti, la responsabilità resta mia”. Nel suo racconto, tornano spesso due parole: dignità e serenità. Non ci sono toni drammatici o enfasi. “Aiutare qualcuno a non soffrire più è un gesto umano. Non ho mai provato angoscia. Al contrario, la rimozione della morte genera più paura. Avere accompagnato persone nella loro scelta mi ha insegnato che morire fa parte del vivere”.

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