Adolescenti e ChatGPT, il pedagogista: “Servono delle limitazioni”

Il tema dei rischi legati all'utilizzo dell'intelligenza artificiale da parte degli adolescenti resta al centro del dibattito pubblico. La questione è finita anche sotto la lente d'ingrandimento del Garante per la Privacy che, nel corso della relazione annuale al Parlamento, ha riportato le emergenze e soprattutto i “pericoli intollerabili” dell'uso dei chatbot di IA da parte dei più giovani, in ambito scolastico e non. Come ha riferito il presidente dell'Autorità Garante per la Privacy, Pasquale Stanzione, emergono “rischi notevoli” dal rapporto “quasi osmotico” dei minori con le “neotecnologie”. Un problema che è possibile arginare mettendo in atto il “rispetto degli obblighi di age verification e, soprattutto, una comune alleanza delle istituzioni e delle comunità educanti per la promozione della consapevolezza digitale dei minori”, ha sottolineato Stanzione. Sul tema si sono confrontati, durante il programma di approfondimento Timeline di Sky TG24, Guido Scorza, componente del collegio del Garante per la protezione dei dati personali, e Daniele Novara, pedagogista. Il rapporto tra adolescenti e intelligenza artificiale Secondo Daniele Novara, oggi si registrano, da un lato, “una velocità impressionante nel cambiamento”, in particolare nello sviluppo delle nuove tecnologie, e dall'altro “una lentezza delle istituzioni” nel mettere in pratica soluzioni ad hoc. “Mentre la tecnologia corre, le istituzioni vanno a passo di lumaca. E chi ne fa le spese sono i più fragili, ossia i più piccoli, i bambini, le bambine, i ragazzi, le ragazze. Con un 25% di adolescenti ritirati o comunque isolati in casa, è ovvio che le istituzioni, la politica dovrebbero cercare di essere più rapidi nelle decisioni. Non possiamo aspettare che tutti i tecnici del mondo, compresi anche i filosofi, abbiano finalmente deposto le armi delle loro discussioni e trovato l'arcano”, spiega il pedagogista. Anche Guido Scorza si è espresso sulla questione, sottolineando l'urgenza di un intervento tempestivo a fronte della rapidità con cui le nuove tecnologie si evolvono. “Le cose vanno veloci. Sessantadue anni perché 50 milioni di persone avessero una macchina, sessant'anni perché avessero un telefono a casa, sette anni perché cinquanta milioni di persone si collegassero a internet, due mesi - e soltanto due mesi - perché ChatGPT, la punta dell'iceberg dell'intelligenza artificiale e dell'universo degli algoritmi, conquistasse 100 milioni di utenti. Onestamente sì, forse troppo veloci per il ritmo dei regolatori, per il ritmo dei decisori pubblici. Ma qualcosa bisogna fare”, spiega il componente del collegio del Garante per la Privacy. I soggetti fragili sono “i minori: un utente su tre nella dimensione digitale è un bambino”, rimarca Scorza. “Quello che non si sta facendo è tenere fuori quella parte dei minori troppo piccola per accedere ai servizi digitali tutti, da una dimensione che semplicemente non è disegnata per loro. In tutti i parchi divertimenti da sempre esistono delle attrazioni per tutti ed esistono delle attrazioni soltanto per chi è alto almeno 99 centimetri, per chi è alto almeno un metro. Se chi è più basso di quell'altezza sale sul trenino delle montagne russe le cui cinture di sicurezza sono progettate per trattenere al sedile un bambino di almeno 90 centimetri il rischio è in agguato”, precisa. Secondo Scorza la prima azione da mettere in atto è “fare in modo che i più piccoli restino fuori da servizi digitali e da piattaforme che per loro non sono disegnati”. A tal proposito è opportuno “verificare l'età degli utenti prima di metterli davanti ad un chatbot, prima di metterli davanti ad un'intelligenza artificiale, prima di farli entrare in un social network. Questa è la sfida immediata che dobbiamo affrontare oggi”. Gli studenti e l'uso di ChatGPT Il 75% degli studenti italiani si serve di ChatGPT per le attività legate alla scuola, tra cui i compiti. “Il problema è nessuno ha spiegato al ragazzino che ChatGPT non è stato progettato e non è stato sviluppato per dire la verità, ma semplicemente per mettere in fila delle frasi verosimili”, spiega ancora Scorza. “Se incrociamo questo scenario assolutamente incontestabile con il dato che l'Istat ci ha fornito qualche settimana fa, dicendo che più del 50% della popolazione italiana è analfabeta digitale e quindi non è in possesso delle competenze digitali, di base io credo che ci siano tutti gli ingredienti della tempesta perfetta”, ribadisce. L'intelligenza artificiale diventa, secondo Scorza, “come un monopattino in una città pericolosa come Roma: se chi sale sopra quel monopattino non conosce l'ABC dell'equilibrio sul monopattino è pericolosissimo, per sé e per gli altri. Noi stiamo lasciando che dei ragazzini si mettano alla guida di un monopattino elettrico senza avere la minima conoscenza di quali siano le regole di base dell'equilibrio dell'accelerazione e della frenata. Questo va scongiurato”. Non si tratta di “criminalizzare l'intelligenza artificiale in sé”, ma di “criminalizzare l'idea che uno strumento così tanto potente possa stare nelle mani di chi non lo conosce”, aggiunge Scorza rimarcando che “è inutile fare appello ai genitori perché i genitori certamente devono svolgere la loro funzione genitoriale anche nella dimensione digitale, ma stanno dentro quel 50% della popolazione italiana che è analfabeta digitale” e, per questo, “è difficile pensare che possano da soli vincere la scommessa”. Il ruolo dei genitori In questo scenario, quindi, qual è il ruolo dei genitori? Quali accorgimenti possono mettere in pratica per proteggere i figli minorenni? “Il giochino di dare la colpa, la responsabilità ai genitori è un giochino di marketing”, afferma Novara. “Noi dobbiamo come al solito chiederci: 'Ma è legittimo tutto questo?'. Che beneficio può avere un bambino di otto o nove anni, un ragazzino di dodici? C'è assolutamente un problema di età”, aggiunge. Il prossimo passo, secondo il pedagogista, è “porre delle limitazioni. Oggi come oggi, in questo mondo, per i minori le limitazioni sono puramente teoriche, puramente esortative. Vogliamo provare a fare come abbiamo fatto col tabacco? Vogliamo provare a fare come abbiamo fatto con l'alcol? Vogliamo provare a fare come abbiamo fatto col casco per i motociclisti, con la cintura di sicurezza? La società è un organismo che mette delle regole per tutelare chi vive dentro i suoi confini”. La fiducia nell'intelligenza artificiale L'intelligenza artificiale può rappresentare uno strumento vantaggioso anche dal punto di vista lavorativo. Ma il 66% dei lavoratori dipendenti considera le risposte dell'IA sempre vere e inattaccabili. “Il problema che abbiamo davanti è naturalmente universale, come universale è l'impatto dell'intelligenza artificiale sulla società. Riguarda i più piccoli più fragili, ma riguarda anche gli adulti”, afferma Scorza. Il problema è “legato al fatto che uno strumento potente si ritrova nelle mani di chi non ne conosce le potenzialità, di chi non ne conosce i rischi. Chi mette a disposizione quello strumento non ha avvertito la responsabilità sociale di far precedere la messa a disposizione dello strumento di un'adeguata campagna di educazione, e anzi ha fatto di tutto per regalare l'illusione che l'utilizzo di quello strumento sia straordinariamente semplice”, replica. Prendendo in considerazione, in particolare, il caso di ChatGPT, “il vero nodo della questione è aver preso una tecnologia potentissima, averla rinchiusa dentro l'interfaccia di un'app di messaggistica e aver raccontato al mondo che usare l'intelligenza artificiale potesse essere come mandare un messaggio ad un amico o ad un familiare. Quindi, illuderci che alla semplicità d'uso si accompagnasse una inoffensività del mezzo”, sottolinea ancora il componente del collegio del Garante per la Privacy. “Naturalmente non è così, ma ieri quando dentro casa entrava un qualsiasi elettrodomestico, arrivava accompagnato da un manuale di istruzioni. Oggi quando ti vendono uno smartphone o quando ti lanciano sul mercato una nuova piattaforma o un nuovo servizio, le istruzioni non esistono più. Sembra tutto straordinariamente intuitivo”, chiosa Scorza. Algoritmi e stereotipi di genere Emerge anche un'altra questione. I dati utilizzati per allenare le intelligenze artificiali rischiano spesso di ampliare gli stereotipi già esistenti, andando a indebolire una parte della società. Per esempio, le donne. “Questo è un problema nel problema, perché riponiamo una fiducia cieca nell'algoritmo: è il cosiddetto automation bias, cioè la macchina ne sa più di me”, riferisce Scorza. “Ci illudiamo che quella risposta sia corretta, persino più corretta, di quella che darebbe una società nel suo complesso viziata storicamente da una serie di discriminazioni. Mentre quell'algoritmo ha fatto suo e ha amplificato all'ennesima potenza tutto ciò che c'è di buono, come di sbagliato, nella società nella quale viviamo stratificandolo nel corso del tempo. E quindi di fatto il bias, la discriminazione presente nella nostra società, nell'algoritmo diventa sistema, in cui l'eccezione a valle di una serie di battaglie ultrasecolari al di là della società degli algoritmi rischia di diventare la regola”, aggiunge. E rimarca: “L'algoritmo ti dice che l'infermiera è donna e che il dottore è uomo, e tu rischi di convincerti che sia davvero così e che più frequentemente una donna debba fare l'infermiera e non il medico, e un uomo debba fare il medico e non l'infermiere. Questo è un problema enorme, anche perché tutti quanti ci informeremo progressivamente sempre di più attraverso gli algoritmi di intelligenza artificiale generativa e purtroppo sempre di meno attraverso quella pluralità di fonti qualificate”. Informazione e cittadini Nei giorni scorsi il presidente dell'Agcom, Giacomo Lasorella, ha introdotto la relazione annuale sulle modalità attraverso le quali si informano i cittadini italiani. “La televisione non è più, stando ai numeri, il mezzo d'informazione principale per gli italiani. Solo il 46% della popolazione adulta si informa oggi con la televisione”, ha dichiarato Lasorella sottolineando che “poco più di un italiano su due utilizza la rete” per informarsi. In un contesto – come quello contemporaneo – in cui siamo quotidianamente bombardati da immagini e notizie sul web, come si possono proteggere i minori? “Oggi come oggi, su tantissime piattaforme prevalgono le falsità, piuttosto che le notizie rigorose e attendibili”, sottolinea Novara. “Il campo educativo è un campo veramente soffocato dalle notizie false e dopo il Covid la situazione è anche peggiorata. Facciamo veramente fatica anche noi scienziati a collocarci. Come può un genitore riuscire a distinguere fra quella che è un'informazione corretta e utile da quella che è semplicemente un'informazione che punta ai like?”, aggiunge. La strada da percorrere, secondo Novara, è “tutelarci e resistere”. “Più che di alfabetizzazione digitale, parlerei di resistenza digitale perché questa è la nuova frontiera se vogliamo salvaguardare anche la nostra identità, la nostra anima. Smettiamo di incrementare tutto questo con il sistema dei like perché è un sistema devastante”, suggerisce il pedagogista. “Dobbiamo veramente resistere perché le piattaforme giuste e corrette, i siti che fanno servizio esistono”, conclude. Le possibili soluzioni Quali sono quindi le soluzioni? Che cosa possiamo e dobbiamo chiedere alle istituzioni? Secondo Scorza serve “dichiarare guerra all'analfabetismo digitale, esattamente come nel secondo dopoguerra si fece con l'analfabetismo funzionale. Perché il problema è esattamente lo stesso: serve che le persone sappiano usare le tecnologie. Poi strada spianata alla tecnologia per gli adulti e per i bambini, ma soltanto dopo che abbiamo tutti - allo stesso modo - recuperato un'adeguata consapevolezza, un'adeguata capacità di usare questi mezzi”. Per Novara, urge una “regolamentazione” perché “non possiamo permettere che le regole che valgono per i cinquantenni valgano anche per i bambini di sei, otto, nove, dieci anni. Questo non solo è assurdo e grottesco, ma anche pericoloso”.

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