Sentenza Impagnatiello, noi traditi o confortati dalle regole

Prego, scomodati ché parliamo di ballottaggi. Devi infatti sapere, lettore scomodo, che il pezzo di questa settimana è rimasto sospeso fino all’ultimo: avrei potuto fare due possibili riflessioni, nessuna delle quali scalava in queste ore le mie altitudini interne guadagnandosi la meta. Non riuscivo a convincermi a quale argomento attribuire priorità, conferire primato: danzavano intrecciati, seducendomi entrambi. L’uno sarebbe stato il suicidio di Matteo Formenti, il bagnino che pochi giorni fa si è tolto la vita. Poco prima, un bambino di quattro anni era annegato nella piscina ove prestava servizio - per quanto si stia appurando che l’uomo non fosse a bordo vasca al momento della tragedia, bensì impegnato in opere di manutenzione. Quale tema è più scomodo dei gesti anticonservativi, lettore scomodo? Credo nessuno. È un’ombra di ognuno che si allunga e si ritrae in base all’ora, al momento, alla luce. È un pensiero che difficilmente qualcuno non ha pensato almeno una volta nella vita - non necessariamente come un programma, bensì come un’opzione: lo è. Esiste il suicidio infantile. Sì, esiste. I gesti anticonservativi sono la seconda causa di morte nella popolazione generale degli adolescenti di tutto il mondo. Lascia sgomenti, con un vuoto scavato da domande che non riceveranno mai risposta e che rimestano le viscere di coloro che restano. Un tema necessario, da conoscere per trattare con l’adeguato garbo intellettuale e generare pensiero e cultura opportunamente preventivi e non neganti. Ma di suicidio - a mia sensibilità - è lecito parlare muovendosi dentro al campo largo della teoria, mantenendo al contrario giudizio e cautela se si tratta di parlare di un suicida. Ché di morte ogni vita si procura la sua e sarebbe bene andarci piano con chi non può più spiegarsi. Considerando oltretutto il carattere recente dell’episodio, le indagini non solo in corso ma appena aperte e il poco che si sa, temo avrei sentito il disagio di una fine drammatica che si fa pretesto. Scomoda sì, ma senza amore mai. Così, a costo di propagare nelle narici dei lettori più assidui un certo odore di ripetizione, ho considerato di ragionare insieme sulla condanna Impagnatiello - come pochi mesi fa facemmo nel caso della sentenza Turetta. Il nome vi suonerà senz’altro familiare: Alessandro Impagnatiello nel 2023 uccide a Senago la compagna Giulia Tramontano, al settimo mese di gravidanza, e il figlio di entrambi che portava in grembo. La donna aveva scoperto che da tempo Impagnatiello conduceva una doppia vita sentimentale, avendo in parallelo una relazione con una collega di lavoro. Non si trattava soltanto di un’avventura sessuale, bensì di una donna con la quale progettava un impegno e viveva ponendosi come se la convivente fosse un disturbo, un corpo estraneo, una minus verso la quale provare pena, frustrazione, vincoli soffocanti. Ora: questa non è la volta nella quale vi parlo del fatto che studiando il caso mi sia venuto il dubbio che questo duplice omicidio potrebbe non corrispondere pienamente alle caratteristiche tipiche del reato di femminicidio , questa piuttosto è la volta nella quale parliamo della conferma dell’ergastolo, con esclusione dell’aggravante della premeditazione. Come fu per Turetta , la notizia messa a disposizione online ha sollevato commenti, reazioni, sdegno, chiamata alle armi, invocazioni della pena di morte e chi più ne ha, più ne metta. Ora come allora, ho pensato che sarebbe utile farsi confortare da un contributo competente e di senso per il quale attingo al sapere dell’avvocato Annalisa Bernava . Ebbene, tra cose dette a caso mossi dalla pancia e cose da sapere , occupandoci da queste parti delle seconde, ti direi che Bernava mi ha insegnato che: intanto, le motivazioni della sentenza non sono ancora state rese pubbliche. L’avvocato per aiutarci a capirci qualcosa parte quindi dalle definizioni: in giurisprudenza, la premeditazione consiste nella pianificazione accurata e dettagliata del crimine, dai mezzi per commetterlo, alla valutazione dei pro e dei contro, ad una eventuale ripetizione di tentativi precedentemente falliti lungo un lasso di tempo considerevole tra l’ideazione e il compimento del reato. Altro dalla premeditazione è invece la preordinazione, ossia l’organizzazione dei mezzi per commettere il crimine in un momento prossimo alla sua realizzazione, in assenza di una programmazione dettagliata dello stesso. La prima è una aggravante tipica del reato di omicidio. La seconda, per il codice penale non è un aggravante. L’avvocato Bernava quindi, ricordandoci che dovremo rimandare la comprensione del dispositivo emesso dalla Corte solo una volta disponibili le motivazioni della sentenza e quindi il ragionamento giuridico retrostante, ipotizza che i giudici possano avere distinto tra premeditazione e preordinazione: siccome è documentato che Impagnatiello da mesi somministrasse a Tramontano veleno per topi nel tentativo di farle perdere il bambino , è possibile che si sia ritenuta premeditata esclusivamente la volontà di provocare l’aborto del bambino del quale Giulia Tramontano era incinta, ma non anche il suo omicidio. Ora: comprendo lo sconvolgimento. Davvero. So abbastanza dell’animo umano da tenere in altissima considerazione il dolore contraddittorio, frustrante persino ingiusto causato dal senso di mancata giustizia - e so che psicologicamente è soggettivo. Dipende da noi, da chi siamo, da cosa ci è accaduto, da chi ci ha già ucciso nella vita, da chi abbiamo ucciso, da quanto siamo vendicativi, razionali o emotivi. Ma la legge non funziona così: è normata proprio perché si tenti di assottigliare al minimo il rischio di umanità che interviene nelle camere di consiglio. Si fonda su una ratio che persegue il diritto di ricevere un giusto processo e di venire puniti per ciò che si è fatto. Detto in termini squisitamente psicologici - non fraintendetemi: al netto delle volte nelle quali la giustizia non corrisponde alla giustezza, forse anziché scandalizzarci dovremmo considerare la possibilità di essere confortati da un codice che di fatto regola le pene poggiandosi su basi che possiamo non capire, non condividere, trovare deboli per noi… ma che ci sono e dovrebbero essere tenute in mente come un fatto a tutela dei cittadini. Tutti. … è notte fonda. Di poche ore fa è la notizia che Riccardo Chiaroni, che sterminò a coltellate la sua famiglia composta da madre, padre e fratello minore, è stato condannato a vent’anni di reclusione. Ritenuto capace di intendere e di volere, il Gup ha accolto la richiesta del Pubblico Ministero di condanna al massimo della pena, scontata di un terzo per avere scelto il rito abbreviato. L’avvocato Bernava in tarda serata mi aveva scritto di andare a leggere i commenti social sotto alla notizia. “Solo 20?!” “Perché non l’ergastolo?!” “Cioè questo ha ucciso tre persone e avrà ancora tutta la vita davanti, una volta uscito???” “Sì vabbè per come va in Italia questo tra meno della metà è fuori”, e via dicendo. . Lo scrivo ora perché mi pare che le due notizie si parlino, cosa che direi restituendoti l’immagine di una dentatura aguzza, scoperta sotto le labbra arricciate a segnalare la minaccia, l’attacco imminente; la bava alla bocca, la tensione nella mandibola che già scricchiola all’idea di triturare qualcosa. Messaggi di violenza contro i violenti, che ci rendono a nostra volta colpevoli di ignoranza, disregolazione emotiva, rivendicazione e mancato senso delle cose - dal fine cui la norma tende, al fatto che tenda al rispetto della vita anche di Caino, l’assassino di Abele.

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Stefania Andreoli