Ammazzare stanca di Daniele Vicari, tra cinema pop e tradizione

“Ammazzare stanca” di Daniele Vicari, al cinema con 01 Distribution, ci ricorda una cosa. E cioè che spesso film meritevoli, film che hanno qualcosa da dire e che, soprattutto, trovano un modo per dirlo, un modo nuovo, inedito e interessante, non ricevono l’attenzione che, al contrario, dovrebbero ricevere. E questo per una serie di motivi. Da una parte, la disattenzione cronica, oramai quasi sistemica, del cinema italiano; dall’altra, l’overdose di titoli e proposte nella programmazione quotidiana delle sale. “Ammazzare stanca” è basato sull’omonimo libro di Antonio Zagari, ed è, di fatto, un racconto biografico sulla crescita e sull’educazione di un ‘ndranghetista nell’Italia del nord degli anni Settanta, quando rapine e rapimenti erano all’ordine del giorno e la droga era ancora una cosa nuova. Un racconto solido e ritmato Vicari costruisce un racconto solido, ritmato, che attraversa abbastanza rapidamente la vita di un uomo che, senza volerlo, si ritrova costretto dalla famiglia – da suo padre, in realtà – a fare l’assassino per la mafia calabrese. Gabriel Montesi, che interpreta il protagonista di “Ammazzare stanca”, riesce a calarsi perfettamente in ogni situazione: all’inizio del film, quando interpreta una versione più giovane del suo personaggio, e alla fine, quando è messo con le spalle al muro e deve fare quella che per lui, non per gli altri, non per sua moglie e suo figlio, è la cosa più giusta. Vicari non si risparmia mai. Non nasconde la violenza e non nasconde nemmeno il sesso. Il suo è un racconto credibile perché feroce. Personaggi e società che cambiano I personaggi cambiano insieme al mondo che li circonda, a questa Italia che si fa sempre più piccolo borghese, coperta di cemento e nascosta dal fumo delle fabbriche, con imprenditori che fanno la bella vita e operai che faticano a far quadrare i conti. La ‘ndrangheta si trova al centro di tante cose: di questa società che muta, che vive di eccessi e di lussi che non si può permettere, e delle famiglie criminali che si sono spostate al nord. I siciliani, i napoletani, e così via. Chi controlla chi e chi ha l’ultima parola. Nel cast, a parte Montesi, ci sono tantissimi altri attori che meritano di essere citati: Vinicio Marchioni, Selene Caramazza, Andrea Fuorto, Thomas Trabacchi, Francesco La Mantia, Pier Giorgio Bellocchio e Rocco Papaleo. E potremmo continuare. Le diverse anime del film Marchioni, Caramazza e Papaleo, in particolare, riescono a incarnare tre anime differenti del film di Vicari. Marchioni interpreta il padre del protagonista; è violento e vede solo la santità della sua causa: servire la ‘ndrangheta. Papaleo, invece, interpreta il boss, quello che tutti rispettano e di cui tutti hanno paura, che però non è cieco alle novità e ai mutamenti della società. È sempre pronto a cogliere le opportunità che gli vengono offerte. Infine c’è Caramazza, che interpreta la compagna dell’Antonio di Montesi. E rappresenta, se possibile, l’aspetto più delicato e innocente del film. Non perché, banalmente, si tratta di un personaggio femminile. Ma perché viene da un altro mondo, un mondo che è stato solo sfiorato dalla piccola criminalità. Studia, si impegna per laurearsi e ama davvero, ama seriamente, Antonio. Non si fa problemi per la sua vita. Anche se, a un certo punto, lo mette davanti a una scelta. Decidi chi vuoi essere, gli dice. In una scena, nonostante sia appena diventata madre, sembra una bambina. Un cast di prim'ordine Caramazza, che si era già fatta notare in “The Bad Guy”, è una dei talenti più interessanti del cinema e della televisione italiana. E c’è da dire anche questo su “Ammazzare stanca”: Vicari ha messo insieme un cast di prim’ordine, con interpreti di spessore ed esperienza, ma pure con attori più giovani e meno navigati, e comunque capaci di offrirsi completamente al film e alla sua storia. “Ammazzare stanca” si muove su una linea sottilissima. Da un lato, ci sono i momenti più estremi e pop, con un montaggio ritmato, violenza, sangue e sequenze più concitate. Dall’altro, invece, c’è una costruzione del racconto più classica, quasi tradizionale, che ricorda sempre quello che è l’obiettivo principale del film. E cioè mettere in scena la storia di un ‘ndranghetista che ammazza per vivere, che poi si pente, che deve confrontarsi costantemente con la violenza, quella fuori casa ma soprattutto quella dentro casa; che a un certo punto finisce in galera e che nella scrittura trova un’ancora di salvezza. Anzi, di più: trova un modo per rimanere sé stesso, per ricordarsi chi poteva essere e chi, ancora, può diventare.

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Ammazzare stanca di Daniele Vicari, tra cinema pop e tradizione

Gianmaria Tammaro