Nati in Italia senza cittadinanza: cosa cambia con il Sì al referendum

C’è una platea nascosta di persone senza cittadinanza italiana, spesso con background migratorio, che sarebbe coinvolta dalla vittoria del “Sì” al quinto quesito referendario del prossimo 8 e 9 giugno, quello che chiede di dimezzare, da 10 a 5, gli anni di residenza regolare necessari per richiedere la cittadinanza italiana. È la platea dei minori stranieri, che non potrebbero fare direttamente richiesta per il passaporto italiano, ma che lo otterrebbero a cascata – tramite ius sanguinis – dai propri genitori, una volta accettata la loro richiesta in prefettura. Sono studenti delle scuole italiane , spesso nati nel nostro Paese , che parlano perfettamente la lingua ma che, per come è impostata oggi la legge sulla cittadinanza, non sono in grado di fare autonomamente richiesta per il passaporto italiano prima dei 18 anni, quando il loro destino non sarà più legato a quello dei genitori. Nel frattempo, però, senza cittadinanza hanno meno opportunità dei loro compagni italiani. “Non possono fare gite scolastiche senza dover passare da altri canali all’aeroporto – spiega Antonella Inverno, responsabile Ricerca di Save the Children – Devono chiedere visti per spostarsi che, a volte, vengono negati e capita che perdano giorni e giorni di scuola in fila davanti alla Questura per il rinnovo del permesso di soggiorno. La cittadinanza garantirebbe tutti i loro diritti”. Quante vite cambierebbero In realtà, secondo le stime del Centro studi e ricerche Idos, i primissimi beneficiari sarebbero circa 284mila persone, solo una parte dei minori senza cittadinanza residenti in Italia. Solo 284mila, infatti, sono i figli e le figlie di persone che già soddisfano i requisiti normativi e che, se passasse il referendum, potrebbero immediatamente fare richiesta di cittadinanza. Ma senza ottenerla subito, come ipotizza Save the Children: “Ci sono da considerare i tempi tecnici e burocratici – spiega Inverno – Spesso le persone sono costrette ad aspettare anche diversi anni prima di vedersi riconosciuto questo diritto. E succede perché le Prefetture sono ingolfate: conosciamo i ritardi e la complessità della burocrazia italiana anche noi. Ecco, per gli stranieri sono ancora più ampi, nonostante la legge imponga un limite di due anni, estendibili a un terzo, per concludere ogni procedimento”. Allo stesso modo, l’eventuale vittoria del “Sì” migliorerebbe le condizioni di vita anche delle centinaia di migliaia di ragazzi che non potrebbero immediatamente fare richiesta di cittadinanza. “Le loro prospettiive cambierebbero comunque molto”, sostiene Inverno. E lo farebbero o al raggiungimento dei 18 anni, quando basteranno loro 5 anni di residenza regolare per chiedere il passaporto, o nel momento in cui saranno i loro genitori a ottenere i requisiti prima che i figli diventino maggiorenni. Diritti negati L’accesso al Sistema sanitario nazionale e all’Istruzione non è negato, in ogni caso, ai minori senza cittadinanza. Ma le differenze di trattamento con i compagni italiani, pur nascoste, restano numerose. “I primi sono problemi legati al permesso di soggiorno e al suo rinnovo – spiega la responsabile di Save the Children – Sono molte le denunce di docenti che hanno accompagnato in Questura i propri studenti, costretti a stare ore o giorni interi in coda perdendo la scuola”. Poi, ci sono gli ostacoli che rallentano il percorso di formazione: “Sono i più quotidiani – continua Inverno – come praticare uno sport a livello agonistico, che è difficilissimo senza cittadinanza. L’iscrizione alle gare nazionali, ma anche locali, è complicata quando non puoi essere un tesserato di molte leghe”. Infine, ci sono le questioni legate al senso di appartenenza: “Viene messo in discussione quando la comunità non offre i diritti – continua la ricercatrice – Si tratta di ragazzi e ragazze che sperimentano una diversità di trattamento rispetto ai loro coetanei. Una diversità che, però, viene imposta dall’alto perché, in ogni aula, ho visto con i miei occhi che questi muri sono abbattuti dalle amicizie e dal senso di gruppo classe, che è messo in discussione solo dalle istituzioni. È inaccettabile”. A scuola, in particolare, l’ottenimento della cittadinanza potrebbe avere un impatto anche sul rendimento. È stato ipotizzato e studiato in Germania, dove la soglia di residenza per la richiesta della cittadinanza è già fissata a 5 anni, e dove un gruppo di ricercatori da tre diversi atenei ha rilevato che l’introduzione di politiche più permissive per l’ottenimento del passaporto avrebbe migliorato anche il grado di formazione di quelli che, solo fino a pochi anni prima, erano studenti stranieri. L’ottenimento della cittadinanza avrebbe, in particolare, suscitato tre reazioni: avrebbe indotto i genitori immigrati a iscrivere più spesso i propri figli alla scuola materna; lo stesso sarebbe successo alla scuola primaria; infine, molte famiglie avrebbero modificato i propri stili di vita per consentire ai figli una migliore educazione secondaria e avere accesso alle università. Minori stranieri non accompagnati Ma in Italia si trovano anche molti minori stranieri arrivati senza genitori o famiglia. Non accompagnati, in gergo tecnico. Al 30 giugno 2024, erano 20.206. Vivono in comunità o case riconosciute dal Sistema di accoglienza e integrazione nazionale , studiano l’italiano e spesso si formano in scuole professionalizzanti per trovare un impiego. Eppure, anche quando il percorso dà i frutti sperati, da maggiorenni continuano a risiedere in Italia per anni – o decenni – prima di ottenere la cittadinanza. “Avere la cittadinanza significa essere considerato. Basta pensare ai controlli che ti fanno quando sei fuori in città: anche presentando il permesso di soggiorno, le forze dell’ordine ti analizzano molto più dei tuoi compagni. Non si comportano come con un italiano”. A parlare, in perfetto italiano, è Pierre , 17enne proveniente dal Camerun che vive in una comunità educativa milanese, studia l’italiano, si forma in una scuola professionalizzante e recita. Il suo sogno – confessa – sarebbe il teatro. “I miei genitori in Camerun vorrebbero che io facessi l’avvocato penalista o il calciatore, ma ho sempre voluto fare l’attore e spero di riuscire a farlo in Italia”. Per lui, come per le altre decine di migliaia di minori stranieri non accompagnati che vivono in Italia, la vittoria del “Sì” al referendum cambierebbe le cose solo dopo i 18 anni, quando si dimezzerebbero gli anni di residenza necessari per la richiesta. “Ho già chiesto alla mia professoressa a scuola come ottenere la cittadinanza prima di diventare maggiorenne. Mi ha detto che è possibile, ma non ho capito come. Così, adesso spero che gli italiani votino “Sì” e che capiscano che noi stranieri non siamo pericolosi come veniamo spesso dipinti”. Un “Sì” che è sinonimo per Pierre, e per tutti i suoi coetanei, di aiuto quotidiano: “Vorrei essere italiano perché qua ho molti progetti. La cittadinanza conta molto quando provi ad aprire un’azienda o quando ti presenti a chiedere lavoro a un datore. Oppure ancora quando lavori ma non puoi permetterti una casa, perché nessuno te l’affitta se non sei italiano. Ce ne sono molti di stranieri in queste condizioni: siamo qua per avere un bel futuro e saremmo grati se il Paese ci desse questa possibilità. Ci prenderemmo cura di questa responsabilità”.

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