Mafie, la Dia: "I nuovi affari: appalti e fondi pubblici come il Pnrr"

Il contrasto alle mafie è una guerra che non conosce purtroppo ancora la parola fine. Cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra ancora in piena e fiorentissima attività nonostante i colpi inferti quotidianamente loro dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. Il primato della 'ndrangheta Dalla relazione annuale fatta dalla Direzione investigativa antimafia emerge come sia la ‘ndrangheta a primeggiare su tutte le altre organizzazioni criminali. La mafia calabrese, negli ultimi decenni, ha iniziato a ricoprire un ruolo sempre più di primo piano grazie alle immense disponibilità economiche di cui dispone. Soldi, miliardi di euro, che arrivano dal narcotraffico. Il porto di Gioia tauro continua ancora a rappresentare la porta di ingresso per fiumi di cocaina dal Sudamerica. Droga che poi arriva in tutta Europa creando flussi finanziari da capogiro. Soldi che poi devono essere reinvestiti e riciclati in attività apparentemente lecite. Attività – si legge ancora nella relazione annuale della Dia – che per lo più si trovano nel centro e nord Italia. Il clan dei calabresi compra locali, ristoranti e attività commerciali da Roma a Milano per ripulire i soldi del narcotraffico. Un flusso continuo di denaro. Nell’ultimo anno sono almeno 48 le attività commerciali che le indagini hanno ricondotto alla ‘ndrangheta nel nord Italia. Un dato che fa comprendere, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la capacità della criminalità di infiltrarsi in qualsiasi tessuto sociale apparentemente insospettabile. E la capacità di infiltrazione va di pari passo alla capacità di mutare i settori di interesse. Le grandi opere: sono questi adesso gli obiettivi principali della criminalità organizzata. I riflettori sono puntati sulla possibile realizzazione di quello che rappresenta, da decenni, la maxi-opera per eccellenza ovvero il ponte sullo stretto di Messina. Gli appalti fanno gola Le mafie, stando alle indagini e alle indicazioni che arrivano dalle procure del sud Italia, sono in fibrillazione. Gli appalti fanno gola e le cifre di cui si parla sono astronomiche. È purtroppo inevitabile l’interesse criminale, ma la Dia- ha assicurato il direttore Michele Carbone – ha la guardia ben alta sugli appalti. Giovanni Falcone diceva che per colpire la mafia bisogna colpire i soldi e i patrimoni. E, nel 2024, sono tanti i colpi che sono stati inflitti in questo senso. Sono stati confiscati, e quindi passati definitivamente allo Stato, beni per un valore superiore ai 159 milioni di euro mentre sono stati sequestrati beni per 93 milioni. Le confische riguardano principalmente beni riconducibili a esponenti di cosa nostra, poi alla camorra e infine alla ‘ndrangheta e alla mafia foggiana. I sequestri invece hanno colpito maggiormente esponenti della camorra. Cosa nostra senza un vero leader Mentre ‘ndrangheta e camorra, secondo la relazione della Dia, hanno un loro assetto solido, cosa nostra è alla ricerca di un leader. Dopo l’arresto di quello che era ritenuto l’ultimo padrino, Matteo Messina Denaro, la mafia siciliana non avrebbe apparentemente una guida. I clan e le famiglie continuano a gestire i loro affari ma senza una figura apicale di riferimento. Gli assetti – si legge ancora nella relazione della Dia – sono a geometria variabile. Anche per via delle differenze tra le famiglie mafiose della Sicilia occidentale e di quella orientale. Morosini: "Fanno gola i fondi del Pnrr" “La nuova vocazione delle mafie – dice Piergiorgio Morosini, presidente del tribunale di Palermo – è quella di entrare in comitati di affari e provare ad accaparrarsi appalti per gestire i fondi pubblici. I fondi del Pnrr, in particolare, fanno gola alle cosche mafiose. Ma il loro modus operandi è cambiato. Si tratta di una mafia sommersa che cerca di avvicinare imprenditori corruttibili e funzionari pubblici che possono mettersi a disposizione. E il mafioso deve fare da “garante” tra le varie anime in gioco. Tutte questo – aggiunge Morosini – oltre a doverci far riflettere deve anche farci capire che deve cambiare il modo di fare le indagini. Di fronte alle minacce, ai danneggiamenti, e ai colpi di pistola si poteva intervenire giudiziariamente in diversi modi. Si potevano indagare i presunti colpevoli utilizzando reati specifici. Adesso, pur ottenendo gli stessi risultati, i boss cambiano il modus operandi. Deve dunque, necessariamente, cambiare anche il nostro modo di poter intervenire, di fare indagini e di classificare i reati”. I boss comandano anche dal carcere Un altro tema da approfondire, per Morosini, è quello delle carceri. “Le più recenti indagini qui in Sicilia e a Palermo in particolare – dice il presidente del tribunale – ci ha fatto capire ancor di più che le carceri e le sezioni di massima sicurezza non sono impenetrabili come si pensava. I boss continuano a comandare anche da dietro le sbarre. Hanno a disposizione telefoni cellulari e, oltre a dare ordini, impartiscono anche le punizioni da dare. Da una recente inchiesta è venuto fuori come un boss abbia organizzato dal carcere una spedizione punitiva e abbia assistito alla stessa in diretta guardandola grazie a una videochiamata”.

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