Campi Flegrei, nuovo studio: non magma, ma acqua la causa delle scosse

"Ha presente la moka? Sì, la nostra moka per il caffè. L'abbiamo fatta, l'ha disegnata una mia studentessa e ci tenevo che fosse una moka, perché sono puteolana. Il concetto ci serve per spiegare i Campi Flegrei". Tiziana Vanorio, geofisica, ricercatrice e docente della Stanford University, ci mostra una moka disegnata nello studio pubblicato su Science Advances, realizzato in collaborazione con l'università Federico II di Napoli. Accanto alla moka, espediente che serve per rendere più fruibile una parte della spiegazione, c'è un macchinario che "funziona come lei" e che i ricercatori hanno utilizzato in laboratorio per un esperimento importante sul meccanismo del serbatoio geotermico scoperto nei Campi Flegrei. "I Campi Flegrei - sottolinea la scienziata - sono un vero scherzo della natura". Ma procediamo con ordine, in questa intervista che concede a Sky TG24 Insider. Come e quando nasce questo studio? Il mio interesse per il bradisismo nasce da una motivazione personale e professionale: sono nata a Pozzuoli e ho vissuto l’evacuazione durante la crisi del 1982-84. Oggi, come geofisico, mi occupo di serbatoi energetici nel sottosuolo, e questo mi ha portato ad approfondire il bradisismo, perché la teoria più accreditata non è supportata da tutti i dati scientifici e trascura aspetti fondamentali del sottosuolo dei Campi Flegrei. Qual è la teoria più diffusa sul bradisismo? La teoria più diffusa attribuisce il bradisismo alla risalita di magma o dei suoi gas, ma né la risalita né la presenza di magma nei primi 4 km sono mai state dimostrate in maniera univoca. Un gas, poi, essendo compressibile, non può generare la spinta necessaria per il sollevamento. Inoltre, la teoria del magma non spiega né la discesa del suolo che segue le crisi bradisismiche né i tassi variabili di sollevamento. Insomma, è una teoria che solleva non poche perplessità anche in ambito scientifico internazionale. Qual è il centro della vostra indagine? Il punto di partenza del nostro studio è stato l’analisi dei segnali che si ripetono in ogni crisi bradisismica, che possiamo definire “i sintomi delle crisi”. Ci siamo focalizzati sugli elementi comuni all’ultima crisi del 1982-84, come l’evoluzione della sismicità e le immagini della TAC del sottosuolo. Abbiamo trovato molte analogie, che suggeriscono l’esistenza di un meccanismo comune che viene innescato. L’unica differenza è il tasso di sollevamento, un elemento interessante. Qual è stata la metodologia di studio? Oltre ai segnali e ai metodi di image del sottosuolo come la TAC, abbiamo usato le rocce prelevate dai carotaggi delle perforazioni geotermiche degli anni ’80 e, soprattutto, condotto esperimenti in laboratorio. Il laboratorio è essenziale per chiudere il cerchio: senza di esso, ogni interpretazione del fenomeno o delle immagini che si ottengono resta speculativa. Come dico spesso ai miei studenti, la geofisica è come il vecchio campanello di casa: ti avvisa che qualcuno bussa alla porta, ma non ti dice chi è. Il laboratorio ti permette di “aprire quella porta” e verificare le ipotesi. Come funziona la TAC del sottosuolo? La TAC del sottosuolo funziona un po’ come quella medica: ci mostra cosa c’è dentro la Terra, ma invece dei raggi X si usano le onde sismiche dei terremoti per 'vedere' sotto la superficie. Cosa è emerso? Tre cose principali. Uno: dalle TAC del sottosuolo e dalle analisi dei carotaggi dai pozzi è emersa un'anomalia ricorrente, legata a un serbatoio geotermico in pressione, che avevamo già individuato nel 2005 grazie alla TAC con i dati della crisi dell'82-84. Oggi questo serbatoio è sempre lì, tra i 2 e i 4 km di profondità, ed è confinato sotto una roccia impermeabile, che il mio gruppo ha caratterizzato nel 2015 e che chiamiamo roccia di copertura, in inglese "caprock". Proprio questo confinamento porta il serbatoio ad andare in pressione. Due: i terremoti si approfondiscono nel tempo. Iniziano in superficie, nella roccia di copertura, e diventano via via più profondi. Se ci fosse magma che risale da 7 km, sede della camera magmatica, dovremmo osservare esattamente il contrario: sismicità che parte in profondità e che diventa poi più superficiale. Tre: il tasso di sollevamento dipende dalla velocità con cui il serbatoio si pressurizza e si scarica, attraverso la fuoriuscita di vapore e di acqua, per esempio osservate in maniera particolare nella località Pisciarelli di Agnano . La ricarica, invece, è influenzata dalla velocità di ingresso di fluidi nel sottosuolo, che può includere sia acqua piovana o acqua iniettata nel sottosuolo. Che ruolo ha l'acqua nel fenomeno del bradisismo e in che modo concorre a generarlo? Un sistema geotermico è formato da tre elementi: una sorgente di calore, cioè il magma; un serbatoio, una roccia porosa e permeabile, che fa da contenitore; e un fluido — acqua, vapore e gas magmatici — che lo ricaricano. Talvolta, il serbatoio è coperto da rocce impermeabili che lo confinano, “un coperchio”, la cosiddetta caprock ed è proprio il caso di Pozzuoli. Che ruolo ha la caprock? La caprock è proprio la roccia impermeabile che fa da coperchio al serbatoio, permettendogli così di andare in pressione. Il nostro studio ha dimostrato in laboratorio come questa roccia si sigilla e quanto rapido è il processo, soprattutto alle condizioni di temperatura e pressione tipiche del sottosuolo di Pozzuoli. Tornando all'esempio della moka, ci spiega come ha funzionato l'esperimento in laboratorio? Abbiamo usato un macchinario che, volendo semplificare, funziona proprio come la moka. Il fornello è la camera magmatica, che riscalda il serbatoio, che nella moka è solo acqua, ma nei Campi Flegrei e in ogni serbatoio geotermico è una roccia porosa, come ho spiegato, che assorbe i fluidi. Nel filtro abbiamo messo una roccia fratturata che abbiamo esposto alla stessa temperatura e pressione dei fluidi che troviamo nel serbatoio: la roccia si è cementata diventando impermeabile e il serbatoio è andato in pressione. Questo succede solo se la roccia è sigillata. Qual è l’esito dello studio? Bisogna evitare che il serbatoio vada in pressione. È noto da molti studi fin dagli anni ’70, e dimostrato in maniera chiara in uno studio pubblicato su Science nel 1976, che la pressione dell’acqua nelle rocce genera sismicità. Il nostro studio conferma che proprio questa pressione è un elemento chiave per capire cosa innesca e regola le crisi bradisismiche, dal sollevamento del suolo alla sismicità. Cosa bisognerebbe fare? E chi dovrebbe farlo? Ci sarebbero almeno 4 cose da fare. La prima è censire e monitorare tutti i pozzi presenti nell’area. Dal 2016 il livello della falda è salito, e una quantità non trascurabile d’acqua è fuoriuscita a Pisciarelli: è lecito chiedersi perché. Bisogna domandarsi se, negli ultimi 10-15 anni, i flussi delle acque superficiali siano stati correttamente irregimentati, sfruttando i canali esistenti per convogliarli verso il mare. Già dagli anni ’80 si sa che le acque sotterranee del bacino idrogeologico confluiscono verso Pozzuoli. Inoltre, se alcuni pozzi profondi sono ancora riapribili, si potrebbe valutare l’emungimento per ridurre la pressione del serbatoio, ma solo con competenze tecniche adeguate. E soprattutto, va evitato che acqua venga iniettata nel serbatoio. Quali sono i pozzi profondi? Fino agli anni Ottanta furono creati dall'Agip dei pozzi, poi richiusi, per sondare la possibilità dell’utilizzo dell’energia geotermica. Durante quelle perforazioni furono iniettati fluidi, l'iniezione serve ad aumentare la permeabilità del sottosuolo oppure a testarla; si sa dagli anni '70 che questo induce deformazione e anche sollevamento, quindi anche sismicità. Oggi, se si volesse agire su questi pozzi, bisognerebbe prima monitorarli e capire in che condizioni siano, in secondo luogo - e come ultima opzione - valutare l'emungimento dei fluidi per ridurre la pressione, ma c'è bisogno di cautela e competenze adeguate per evitare rischi ulteriori. Tanti hanno detto che nei Campi Flegrei non si sarebbe dovuto costruire e comunque non con una tale intensità. E tanti temono che il fenomeno possa evolvere in maniera negativa nel medio e lungo periodo, fino ad aprire scenari vulcanici. Lei cosa ne pensa? Credo sia più discutibile concentrare l’attenzione esclusivamente sul magma e sui suoi fluidi. Non solo penso sia scientificamente miope, ma rischia di alimentare atteggiamenti fatalistici, accompagnati da giudizi moralistici verso i cittadini dei Campi Flegrei, accusati di aver “scelto” di vivere nella loro terra, in una città che esiste da oltre 25 secoli. Va detto che un serbatoio geotermico in pressione può comunque innescare eruzioni o esplosioni. Non parliamo di eruzioni magmatiche ma freatiche, violente espulsioni di acqua in pressione, vapore e cenere — proprio come descritto nelle cronache storiche dell’eruzione del Monte Nuovo nel 1538. Secondo lei le istituzioni italiane stanno facendo abbastanza per supportare la popolazione dei Campi Flegrei? Cosa bisognerebbe fare? Secondo me, qualsiasi istituzione — in qualunque contesto di emergenza — deve adottare decisioni informate, basate su tutti i dati e le osservazioni disponibili, senza tralasciare alcun elemento. I Campi Flegrei non sono solo un campo vulcanico, ma anche un sistema geotermico: ignorare questa componente significa trascurare le spiegazioni più semplici e, di conseguenza, compromettere l’efficacia delle azioni per proteggere la popolazione e prevenire danni alle strutture.

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