Liberazione quotidiana: in un libro le storie "normali" del 25 aprile

Il 25 aprile l’Italia festeggia la liberazione dal nazifascismo. Ma Bologna fu liberata il 21 aprile, Genova il 23, Venezia il 28. E tutta l’Italia settentrionale pose fine all’occupazione tedesca entro il 1° maggio 1945. Sono giorni che chiusero il ventennio fascista e aprirono le porte alla Repubblica, incidendo quelle date sui libri di storia. Dai manuali, però, è più complicato capire cosa facessero davvero in quelle ore – tra le mura delle loro case o lungo le strade o dentro ai boschi degli Appennini – gli italiani “normali” che avevano combattuto - o sostenuto - il regime fascista. I giornalisti Pier Vittorio Buffa e Nicola Manaresi hanno tentato di farlo, scavando nell’archivio diaristico nazionale nazionale di Pieve di Santo Stefano, in provincia di Arezzo, e passando al setaccio centinaia di diari che conservano le memorie degli italiani liberati. E che sono state pubblicate nel loro libro “Liberazione quotidiana”, edito da Succedeoggi Libri e in vendita dal 15 aprile. Emilio Nozza, 12 anni, vedeva sfilare i carri armati americani e gustava per la prima volta una Coca-Cola. Rina Alberici pregava perché il marito dirigente non venisse fucilato in fabbrica dagli operai. L’anarchico Folgore Vella risparmiò un fascista che poteva condannare a morte. Maria Luisa Torti reclamava la sua innocenza mentre le rasavano i capelli. Zelmira Marazio era ancora fascista e, senza rinnegare il regime, rinnovava la sua venerazione per il duce. Orfeo Gagliardini era, invece, un partigiano e celebrava l’arresto e l’esecuzione del gerarca Roberto Farinacci. Entrambi, Marazio e Gagliardini, guardavano all’Italia post-bellica come a un grande punto interrogativo. “Il nostro lavoro è il frutto di una frequentazione dell’archivio lunga anni – racconta l’autore Pier Vittorio Buffa – e le storie che abbiamo raccolto sono quelle che spiegano, tramite memorie quotidiane, quanto il 25 aprile abbia cambiato profondamente la storia del nostro Paese”. Risparmiare un fascista Ogni racconto, “quotidiano e materiale”, è stato selezionato per raccontare un punto di vista differente sulla liberazione. “I diari sono numerosissimi – spiega Buffa – e molti raccontano la storia da una prospettiva quasi contemporanea agli avvenimenti, altri ricollegano i ricordi a posteriori. Abbiamo trovato anche annotazioni su lenzuola matrimoniali”. L’obiettivo degli autori è raccontare “storie di persone comuni”. Come quella di Saverio Tutino, fondatore dell’archivio di Pieve Santo Stefano, che racconta dell’uccisione di due fascisti: “La guerra gli aveva fatto vedere le più assurde bestialità – spiega Buffa – ma soffriva comunque il dramma di uccidere. Tutino parla proprio della ‘paura di affogare di nuovo nella banalità di prima’. La fine della guerra era un salto nel vuoto per tutti”. Anche per chi il fascismo lo sostenne fino all’ultimo: “Zelmira Marazio mitizzava un criminale di guerra che, poi, è stato impiccato. Anche lei, pur in un altro senso, notava la cesura della liberazione quando scriveva ‘Ci aspetta l’ignoto’”. Alcuni fascisti, invece, dovettero la propria vita proprio a quel 25 aprile. Lo racconta un altro diario. “È quello dell’anarchico Folgore Vella – continua Buffa – che, tra le tante storie di violenza ed esecuzioni sommarie, mostra una pagina di umanità. Di fronte a Vella, stanato tra file di cecchini, si parava un fascista di soli 14 anni. Nonostante molti gridassero all’esecuzione, alla fine gli fasciarono il braccio e lo risparmiarono. Così si salvò”. Annotazioni familiari Non mancano nel libro dei due giornalisti le impiccagioni di piazzale Loreto, dove a Milano fu appeso anche il corpo già senza vita di Benito Mussolini. Ma, ancora una volta, si tratta di una storia che lambisce soltanto i grandi eventi. Pier Vittorio Buffa confessa che è la sua preferita. “Si scrive in un diario che un bimbo di soli 8 anni venne portato dal padre in piazzale Loreto, proprio per osservare i corpi appesi a testa in giù. Nel diario parla la memoria del figlio, a decenni dal 1945, quando poteva chiedere al padre il motivo di quella scelta. E questa fu la risposta: ‘Tu sai, figlio, che nella mia vita non sono mai stato un esagitato, però quel giorno mi sembrò assolutamente normale portare anche te in piazza, perché quello era un avvenimento storico eccezionale, ma soprattutto perché tutti gioivano che il fascismo avesse fatto quella fine’. Si capisce che fosse una persona normalissima a parlare, che ammetteva che non lo avrebbe rifatto”. Eppure, la temperie violenta innescata dalla guerra e dal fascismo aveva contagiato ormai tutta Italia. “Per questo il 25 aprile oggi – commenta Buffa – non può essere solo una commemorazione. Queste persone comuni ci hanno regalato la libertà e questo regalo dobbiamo difenderlo”. "Il 25 aprile non è una festa sobria" A ottant’anni dalla Liberazione, secondo l’autore del libro, il 25 aprile è una festa sempre più divisiva. “Non dovrebbe esserlo – contesta – perché non è una questione di appartenenza politica. Anche i sani conservatori di destra dovrebbero celebrare la festa nazionale per festeggiare la libertà e contestare tutto quanto è successo negli anni del fascismo. Per decenni si è celebrato il 25 aprile senza grandi scossoni, ma a un certo punto è diventato divisivo. Lo ritengo folle”. In questo senso, l’autore legge anche la scelta dei cinque giorni di lutto indetti dal Governo per la morte di papa Francesco, che coinvolgono anche il 25 aprile e la richiesta di “sobrietà” nei festeggiamenti da parte della presidenza del Consiglio. “Mi ha stupito vedere i cinque giorni di lutto. Credo che il 25 aprile sia ancora oggi un problema. Ma dovrebbe essere sempre una festa non sobria. Non perché bisogna essere violenti, ma perché non si può ridurre tutto a una commemorazione con due corone”. Un insegnamento, secondo Buffa, che arriva direttamente dalle storie – e dai diari – degli italiani che vissero quel 25 aprile 1945: “Le nostre generazioni non hanno mai vissuto la guerra. Anche questa pace è un dono che va difeso senza voltare la faccia, come hanno fatto i partigiani raccontati dai diari. Altrimenti, rischiamo che per un corteo, come succede in America, siano tagliati i fondi alle Università. È mancanza di libertà”.

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