Che cos’è l’educazione affettiva, che in alcune scuole di Milano è già realtà

Se ne parla sempre più spesso, soprattutto in relazione a fatti di cronaca, ma nel nostro Paese continua a essere un tabù. L’educazione affettiva e sessuale a scuola è una realtà in quasi tutti i Paesi europei ma in Italia non esiste nei programmi ministeriali e i fondi ad hoc che erano stati stanziati nell'ultima manovra sono stati poi dirottati per formare i docenti sul tema dell’infertilità. Ma, come spesso accade, a volte la società è più avanti del legislatore e, in diverse scuole italiane, l’educazione all’affettività è di fatto già una realtà. Pioniera in questo senso, a Milano, è l’impresa sociale Welcomed, che dal 2017 porta avanti percorsi di educazione affettiva in diverse scuole primarie e secondarie della città. "Con le nostre attività – racconta la responsabile progetti Emanuela Verna - siamo presenti in circa 40 istituti pubblici e 40 tra scuole paritarie e private. I nostri corsi vanno dalla primaria fino alle superiori e sono cuciti su misura in base alle esigenze delle scuole". Ma di cosa parliamo, quando parliamo di educazione all’affettività e alla sessualità? Siccome questo argomento viene spesso strumentalizzato da più fronti, mi preme sottolineare che noi non ci sostituiamo alle agenzie educative ma siamo lì per affrontare coi ragazzi quegli argomenti che a volte vengono liquidati in fretta dai genitori e dagli insegnanti, per imbarazzo o per fatica. E non mi riferisco solo alle sessualità, che è sicuramente l’argomento più "scomodo", ma penso anche alla gestione delle emozioni negative, come paura, rabbia, tristezza, che nella nostra società vengono spesso rimosse. Come sono strutturati i vostri progetti e come cambiano in base all’età dei bambini? Gli studenti a cui ci rivolgiamo vanno dai 6 ai 18 anni: una forbice ampia che implica contenuti diversi, o anche simili ma veicolati in modalità diverse e con un approfondimento diverso a seconda dell’età. Generalmente con i bambini più piccoli si parla tanto di emozioni, di come riconoscerle e gestirle. Fin da piccoli si sentono dire "non piangere", "non ti arrabbiare" e sono portati a reprimerle. Dalla quarta e dalla quinta elementare si introduce anche il tema della sessualità. Con la crescita si va più in profondità e la direzione dei corsi viene data anche dai ragazzi, con le loro domande e il loro bisogni. Spesso poi sono le stesse scuole che ci contattano per affrontare situazioni particolari. Ad esempio? Abbiamo affrontato il tema della morte in una classe in cui la sorella maggiore di una bambina si era suicidata, o in una scuola media di Corvetto interessata dalla vicenda di Ramy dove anche gli insegnanti avevano bisogno di supporto. Chi sono gli specialisti che incontrano i ragazzi nelle scuole? A seconda dell’età dei bambini e dei ragazzi coinvolgiamo professionisti diversi. Non manca mai almeno uno psicologo e, a partire dalla quinta elementare, nel momento in cui i bambini si trovano ad affrontare i cambiamenti del corpo, un professionista sanitario che può essere un pediatra, un ginecologo, un’ostetrica. Per i bimbi più piccoli invece ci avvaliamo dell’aiuto di neuropsicomotricisti, perché i bambini di 6-7 anni devo ancora imparare a stare nel loro corpo, a capire in confini, a relazionarsi con l’altro. Com’è la risposta di bambini e ragazzi ai vostri corsi? I temi che proponiamo sono sempre presi con grande serietà dai ragazzi, anche perché non sono abituati ad avere adulti disponibili ad affrontare certi argomenti e invece ne sentono un grande bisogno. Anche nelle domande anonime non troviamo mai volgarità o osservazioni inopportune. Spesso si mettono a nudo e per questo ci vogliono competenze e professionalità. In una terza media è capitato che una bambina rivelasse degli abusi subiti in famiglia che andavano avanti da anni, ma che sono emersi solo grazie a questi corsi. Incontrate resistenze da parte delle famiglie? Capita a volte di incontrare resistenze o paure ma nei momenti di incontro tra gli specialisti e genitori e insegnanti che precedono i corsi alla fine si superano sempre. Lavoriamo anche in scuole di ispirazione cattolica o in contesti dove ci sono famiglie che professano altre religioni, in cui l’omosessualità è un tabù molto forte, ma noi non entriamo nell’ambito dei sistemi di valori delle varie religioni, spieghiamo ai ragazzi la realtà in cui sono già immersi e le famiglie riescono a capirlo. Pensa che questi corsi possano servire per la prevenzione della violenza di genere? Naturalmente dipende molto dalla continuità che si riesce a dare ai progetti. Spesso per esigenze di budget e di tempo gli incontri sono pochi, nella migliore delle ipotesi 10 in un anno. Ma nei casi in cui si riesce a dare continuità da un anno all'altro vediamo bambini sempre più consapevoli, che aspettano quel momento dedicato alle loro emozioni, ai loro sentimenti. Sappiamo che pochi incontri non cambiano la vita di nessuno, ma aver avuto anche solo una volta l’occasione di parlare con un adulto di come ci si sente con se stessi e con gli altri o aver incontrato una figura che chiarisca, ad esempio, che non tutte le attenzioni vanno bene, può lasciare un seme. Può aiutare a capire che si possono dire dei no o che si possono ricevere. Naturalmente poi conta tantissimo l’educazione in famiglia, a cui noi non vogliamo e non possiamo sostituirci.

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