“Caro” Ceaușescu, ti scrivo per fare i conti col passato

Un dialogo con un morto mai conosciuto di persona, ma che tanto ha condizionato la propria esistenza. Scrivergli, dandogli del tu, è l’unico modo per fare pace con il passato, come se fosse una lettera a un padre defunto con cui sono rimasti troppi conti in sospeso. Nel libro di Eugène, classe 1969, al secolo Eugène Melitz, emigrato a Losanna da Bucarest quando era solo un bambino, c’è l’essenza del carattere totalitario delle dittature. Perché quel morto a cui si rivolge l’epistola è il dittatore romeno Nicolae Ceaușescu. Non basta trasferirsi in un altro Paese per ricominciare: “Mi piacesse o no, la gente mi associava a te”, scrive nei primi capitoli in cui passa in rassegna il suo ingresso nel sistema scolastico svizzero. E insiste: “Pensavo di essermi liberato di te. Non sapevo che io e te eravamo legati per sempre”. Tra aneddoti familiari, memorie di infanzia e i ricordi dei ritorni in patria da adulto, Eugène ci porta dentro la testa dell’autoproclamato “Genio dei Carpazi” e nel suo regime politico “sultanistico”. La tirannia comunista di Ceaușescu, che rivendicò una certa autonomia dall’Urss e vagheggiava il modello nordcoreano, durò oltre un ventennio, fino alla caduta nel dicembre 1989, quando fu destituito, processato rapidamente e fucilato insieme alla moglie Elena. Lasciava in eredità un Paese affamato e ridotto allo stremo, un impoverimento aggravato dalla diaspora dei tanti cervelli, che come il padre di Eugène, ingegnere nucleare, furono costretti a scappare. “Scrivendo questa lettera ho capito meglio come funzionano le dittature, anche quelle di oggi”, confessa l'autore a Sky Insider. Una lettura arrivata nelle librerie italiane con un certo tempismo, in un momento in cui i riflettori sono puntati sulla Romania che dopo l’annullamento delle elezioni di dicembre 2024 per sospette ingerenze russe a favore del sovranista Călin Georgescu è tornata alle urne. Dal 16 al 18 maggio si scontreranno al secondo turno due idee di Paese: quella del candidato della destra sovranista George Simion e quella del centrista progressista Nicușor Dan. Questo libro è stato pubblicato nel 2022 ed è arrivato in Italia nel 2025 dopo l’annullamento delle elezioni di dicembre e a poche settimane dal nuovo voto. Sta seguendo gli sviluppi? A dicembre è stato davvero sorprendente che il candidato del Cremlino abbia avuto la meglio, considerando quanta diffidenza la Romania aveva dimostrato nei confronti della Russia, una diffidenza antica. All'improvviso la Romania è diventata filorussa. Penso, però, sia stato un errore annullare le elezioni di dicembre, perché questa scelta ha fatto crescere la simpatia nei confronti di quella parte politica. È una regola generale: quando censuri qualcosa, si crea automaticamente empatia. E così ora abbiamo un pro-Trump in testa al primo turno. Ma in questo momento essere pro-Trump significa essere pro-Cremlino, perché questa nuova alleanza tra Washington e Mosca ha cambiato le carte in tavola. Come si spiega tutto questo, alla luce dello studio storico che ha condotto per scrivere il suo romanzo? Ritengo che una buona propaganda sia davvero l’elemento cruciale. Una buona propaganda aiuta a consolidare un'opinione. I filorussi in Romania puntano molto sui social network che hanno un'importanza enorme. Le persone ormai si informano così. Ad esempio, la Romania è sempre stata filoeuropea, questa è stata la sua strada nel post 1989. Dopo aver abbandonato il comunismo, i romeni si sono affidati a Bruxelles, che diede al Paese un aiuto enorme nel risollevamento successivo alla fine della dittatura, attraverso quelli che vengono chiamati fondi strutturali. Adesso che la Romania si sta allontanando da Bruxelles, la cosa mi sembra molto strana, molto sorprendente e stento ancora a crederci. Vengono diffuse storie inventate su Bruxelles, secondo le quali danneggerebbe la Romania. L'obiettivo di questa narrazione è allontanarci dall’Europa. In realtà, si tratta di fake news. Credo che il destino della Romania risieda nell'Unione europea, non nell'avvicinamento o nell'acquisizione dell'indipendenza dall’Ue. Cosa pensa della prospettiva di una vittoria dell'estrema destra? In Europa la destra, anche radicale, è al potere in molti Paesi. Non sono in divisa fascista e magari non fanno le parate militari, ma rappresentano pur sempre una forma di fascismo. Anche negli Stati Uniti c’è una forma di fascismo al comando, poiché l’attuale presidente proibisce la parola, discrimina donne e omosessuali. Nell'amministrazione Trump la parola "gay" è proibita, c'è davvero la censura e le minoranze sono invisibilizzate. È possibile, di conseguenza, che accada anche in Romania, ovvero che l'estrema destra arrivi al potere, ma, ripeto, è una estrema destra del XXI secolo, più subdola, che forse non apre campi di lavoro o campi di concentramento, ma che comunque attacca chi vive e la pensa diversamente, applica la censura, limita la libertà di ricerca ed espressione nelle università, mette un veto sugli studi relativi al cambiamento climatico per esempio, impedisce di interessarci alla disuguaglianza di genere. Questi stanno diventando argomenti proibiti. Se l'estrema destra arrivasse in Romania, riprodurrebbe lo stesso schema. Ha fatto molte ricerche in questi libri per comprendere il “suo dittatore”, citando il titolo del suo libro. Qual è l'eredità di Ceaușescu per la Romania? In occasione del 35esimo anniversario della morte di Ceausescu, alcuni giornalisti della rete francese Arte sono venuti in Romania, nelle piccole città, e hanno parlato con la gente. Tutti gli anziani dicevano che era Ceaușescu la causa di tutti i nostri mali. “Non ne usciremo perché c'è stato il comunismo e la dittatura comunista a rovinarci”, dicevano. I giovani, invece, rispondevano così: “Quando siamo nati noi, Ceaușescu era già morto, perché mai l'eredità di Ceausescu dovrebbe essere ancora la responsabile del nostro declino?” Penso che sia una questione molto aperta. E continuiamo a chiederci quale sia l'influenza attuale di Ceaușescu. Sta di fatto che la sua tomba è ancora ricoperta di fiori, ha dei fan, dei vecchi fan che lo idealizzano, che sostengono che le cose andassero meglio quando c'era lui. Quindi il suo ricordo è ancora presente, il suo ricordo è mantenuto vivo in Romania. Fa parte del dibattito politico. Ha capito meglio anche le dittature del presente? Quando ho iniziato a scrivere avevo i miei ricordi della Romania, della mia famiglia, ma non conoscevo gli ingranaggi della Romania sotto Ceaușescu, ho fatto molte ricerche per capire di cosa avesse bisogno una dittatura per sopravvivere. Ha bisogno di una forza di polizia che controlli, ha bisogno di nemici esterni per giustificare la censura interna. Ha bisogno di soldi. Proprio come Ceausescu che aveva preso in prestito denaro e ha rovinato il Paese. Ho fatto delle ricerche sulle dittature e ho visto che possiamo tracciare un parallelo con quello che succede in Russia tuttora. La Federazione russa una forza di polizia molto forte che controlla tutti. Si è inventata dei nemici, ha dichiarato che l'Ucraina è fascista, il che è falso. E poi ha soldi, ha risorse economiche, quindi riesce ancora a sopravvivere con petrolio, gas, ha cose da vendere e per questo rimane in piedi. Come ha lavorato sui suoi ricordi? Ho scritto questo libro per elaborarli. Quando ho iniziato a buttare giù la lettera, consideravo Ceaușescu vivo, non morto da 30 anni. Lui era al mio tavolo e io gli ho parlato, cercando di capire chi fosse, gli ho urlato contro e così via. Era una lettera indirizzata a qualcuno che è effettivamente qui, presente. Ho parlato di Ceaușescu nel libro precedente intitolato “La vallée de la jeunesse”, e spesso venivo invitato nelle scuole per parlarne. Mi sono ritrovato così a parlare di Ceaușescu con degli studenti che non ne avevano mai sentito parlare, studenti quindicenni. E all'improvviso è stato come se stessi offrendo un supplemento di memoria a Ceaușescu, nella mia scala ovviamente, che è quella della Svizzera romanda, la parte francese della Svizzera. Quindi lui mi deve qualcosa, e ho trovato interessante questo equilibrio tra il fatto che io ho un debito nei suoi confronti e il fatto che anche lui abbia un piccolo debito nei miei. Ci spieghi meglio la questione del debito che ha con Ceaușescu che attraversa tutto il libro. Il ricordo più più complesso si lega a mia madre che un giorno mi raccontò della mia nascita. Un racconto che mi imbarazzò molto al punto da pensare di essere in debito con quest'uomo, questo dittatore. Un giorno mia madre mi spiegò che era già mamma quando rimase incinta di me, aveva già avuto mio fratello, poi era rimasta di nuovo incinta. E durante il periodo comunista era molto difficile avere due figli, perché c’era la miseria, ci mancava tutto: pannolini, spazio negli appartamenti, ci mancava tutto. C’è ancora una grande diaspora romena di persone che sono emigrate per motivi economici, perché la Romania resta povera. Mia madre avrebbe voluto abortire, mi ha raccontato, ma nella Romania di quegli anni era impossibile, perché c'era un decreto, Ceausescu aveva proibito l'aborto per legge, e quindi rischiavi tre anni di prigione a interrompere una gravidanza. In queste condizioni, lei tenne il bambino, e poi il bambino divenni io. Mi chiedevo perché mi avesse raccontato tutto questo, visto che alla fine ero nato, ma aveva sentito il bisogno di confessarlo. Forse era nel suo cuore, come un peso nella sua coscienza. In un certo senso a quel dittatore devo la vita. E questo complica ancora di più le cose. Ha parlato con i suoi cari e i suoi conoscenti di questo? Ne ho parlato con alcuni amici, uno di loro è morto dal ridere nel sentirmi raccontare questa mia convinzione e mi ha dato fastidio che ridesse: mi sono davvero seccato perché per me era un affare serio. Poi un altro mi ha detto: “Ma no, non gli devi niente, è per colpa di Ceaușescu se la Romania era povera e se tua madre voleva abortire. Prima ha rovinato il Paese, poi ha vietato l'aborto”. Cosa ha capito del suo Paese d'origine dopo aver finito di scrivere questo libri e del nostro presente? Mi sono reso conto di quanto sia forte oggi la dittatura, o almeno la sorveglianza, senza che nessuno ci chieda nulla: si chiamano social media. Ho scoperto interviste con ex membri della Stasi, cioè la polizia politica della Germania dell'Est, in cui dicevano che alla loro epoca avrebbero sognato Facebook: persone che spontaneamente pubblicano informazioni sensibili come la loro religione, le loro opinioni politiche, i loro luoghi di vacanza, parlano delle loro malattie, dei loro amici, condividono i luoghi che frequentano, danno tutto in pasto al web. Lo facciamo spontaneamente e pensiamo che sia bello farlo. Oggi monitoriamo moltissimo noi stessi e forniamo un'infinità di dati agli algoritmi. Ai tempi di Ceaușescu non esistevano telecamere che controllassero la popolazione. Non c'erano né la tecnologia né i soldi per installare telecamere ovunque. Oggi in Svizzera credo che ci siano 20mila telecamere negli spazi pubblici. In ogni vagone di ogni treno svizzero è presente una telecamera. Ed è per il nostro bene, dovrebbe essere per il nostro bene, per la nostra sicurezza. Siamo costantemente monitorati. È una questione molto ambivalente: cos'è una democrazia e cos'è una società della sorveglianza? Siamo disposti a cedere tutte le nostre libertà in nome della sicurezza. Accettiamo molte cose che trent'anni fa sarebbero state considerate irricevibili, come essere controllati in questo modo e dall’altra parte come diffondere un sacco di informazioni su noi stessi. Ho letto di come funzionava una dittatura ai vecchi tempi, nel XX secolo, e vedo come funziona oggi con i social media e tutte le informazioni che offrono su di noi. Ceaușescu avrebbe apprezzato i social network come strumento di paura, come altri dittatori del XX secolo. Qual è la differenza tra i dittatori del XX e quelli del XXI secolo? Le dittature del XX secolo volevano cambiare l’uomo, sia il comunismo, sia il fascismo. Penso che oggi Trump non voglia creare un uomo nuovo. Il suo progetto è che l'America sia al centro di tutto, ma non ha interesse a plasmare l’homo novus. Penso che questa sia la grande differenza. L'individualità è così forte che non sono interessati a un modello collettivo.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

“Caro” Ceaușescu, ti scrivo per fare i conti col passato