Come nascono i bambini oggi? Viaggio nel (complesso) mondo della procreazione assistita

Era il 25 luglio del 1979. All'ospedale di Oldham, piccola cittadina del Nord dell’Inghilterra, veniva al mondo Louise Brown, la prima bimba al mondo concepita “in vitro”. Una nascita che avvenne in gran segreto al riparo dai media, ma nei giorni successivi la sua storia venne raccontata sui giornali di tutto il mondo, scrivendo così la prima pagina di una rivoluzione moderna. Da allora sono oltre cinque milioni i bambini nati grazie a tecniche di procreazione medicalmente assistita, l'insieme di tecniche che hanno lo scopo di aumentare le possibilità di una gravidanza per le coppie infertili, puntando a incrementare le probabilità di incontro tra i gameti maschili e quelli femminili . In Italia 217 mila bambini e bambine nate tramite PMA Sono passati 46 anni, e oggi nel nostro Paese moltissimi bambini e bambine continuano a nascere grazie un aiuto esterno. Una realtà diventata legale da due decenni: dal 2004, anno in cui è stata approvata la Legge 40 che regola la procreazione medicalmente assistita, si stima che in Italia siano nati più di 217 mila bambini attraverso questo metodo. I genitori che se ne affidano sono moltissimi: si calcola che il 20% circa delle coppie non riesca ad avere figli in maniera completamente naturale. E a queste vanno aggiunte le persone che non possono diventare genitori per ragioni fisiologiche e/o normative, come i single e le coppie omosessuali. Un tema complesso, sconfinato, e ancora poco conosciuto, esplorato dalla giornalista Raffaella Serini nel libro 'Come nascono i bambini oggi. Viaggio alla scoperta della procreazione medicalmente assistita'. "Le persone che intraprendono un percorso di PMA hanno attraversato un percorso di elaborazione e consapevolezza molto profondo, che chi fa figli in maniera spontanea non sempre intraprende", racconta l'autrice a Sky TG24 Insider. Orientarsi in questo mondo così vasto, però, non è semplice. "Capirci qualcosa è molto difficile, me ne sono resa conto io stessa scrivendo questo libro. Le informazioni sono frammentate e spesso con un linguaggio non accessibile. Ma non siamo nati tutti biologi". Cosa l'ha spinta a scrivere un libro sulla PMA? L’argomento è venuto a me anche per questioni anagrafiche. Ho iniziato a interessarmene intorno ai 40 anni, quando mi trovavo nella fase in cui molti miei amici si trovavano ad affrontare un percorso di questo tipo e me ne parlavano. Mi sono resa conto che il fenomeno era molto vasto, ma altrettanto vasto era il vuoto di informazioni attorno al tema. In molti lamentavano difficoltà a reperire informazioni per capire come muoversi. Di PMA si parla molto poco, eppure una coppia su cinque in Italia ricorre a questa pratica. Perché? Il genere maschile deve fare i conti con il tema della virilità: è come se un uomo per essere considerato tale debba avere la sua capacità riproduttiva. Questo vale anche per la donna, che purtroppo è considerata ancora l’incubatrice per eccellenza. E quando non si corrisponde a questo ideale nelle persone insorge un senso di fallimento. Spesso si provano imbarazzo e vergogna. E questo disagio alimenta l’omertà. Nel libro racconta che la PMA è quasi un tabù, persino nei gruppi di amici. Sì, il fatto che non se ne parli alimenta il circolo vizioso del silenzio. Se ci pensiamo, tutti hanno un’opinione su PMA E GPA , ma sono pensieri che nella maggior parte dei casi le persone tengono per sé. Questo tema l’ha toccata in prima persona? No, non ho mai manifestato un desiderio di maternità, e credo che poter essere obiettiva mi abbia aiutato. Un desiderio che non ho provato, ma che capisco. Trovo paradossale che nel nostro Paese si insista molto nel convincere persone che non vogliono diventare genitori a fare figli, lasciando invece da parte chi sente questo desiderio ma per una serie di ragioni non può portarlo avanti. Quindi, contrariamente a quello che spesso si sente dire, anche chi non ha figli può parlare di maternità. Io sostengo di sì. Confesso che all’inizio di questo percorso, soprattutto durante le interviste con persone che hanno fatto percorsi lunghi e difficili per avere bambini, temevo di sentirmi rivolgere frasi come “tu che potevi non li hai fatti”. Era un rischio, ma per fortuna non è mai accaduto. E poi c'è il tema scivoloso delle domande scomode sul volere o non volere figli. Non sono d’accordo con chi dice che non si può chiedere a qualcuno perché non vuole figli: anzi, penso che dovrebbe essere lecita la domanda allo stesso modo di come si può chiedere a due genitori perché hanno voluto dei bambini. Entrambe sono scelte legittime. Le domande non sono mai sbagliate: è la risposta che non deve essere giudicata. Quali sono gli aspetti più sconosciuti sulla PMA? Sono davvero tanti, ma uno dei principali è ignorare cosa è legale in Italia e cosa no, quindi cosa è permesso fare. E questo è comprensibile, perché oggettivamente il percorso dalla Legge 40 a oggi è stato un caos, tra le tante sentenze dei tribunali e della Corte Costituzionali e diverse estensioni di diritti. In Italia chi non può avere figli in modo naturale a quali tecniche può accedere? Dall'omologa all'eterologa, nel nostro Paese tutte le tecniche sono possibili tranne la embriodonazione . Ma la domanda fondamentale per rispondere a questa domanda è “chi sei tu?” perché tutte le tecniche sono accessibili, ma non per tutti. Per esempio è ancora vietata alle donne single. Sì, al momento restano escluse dalla PMA donne single, ma proprio pochi giorni fa la Consulta è stata chiamata a esprimersi e decidere se questo limite andrà a cadere, dopo che una ragazza di Torino ha fatto ricorso. Oltre allo status, conta poi età della futura madre: recentemente le regioni si sono uniformate fissando a 46 anni il limite per le donne. Va però ricordato che una gravidanza oltre i 45 anni è rischiosa. Quando scatta il limite? Per esempio se ho 45 anni e ordino degli ovociti che arriveranno tra un anno, sono già fuori dal range. Questo riguarda soltanto il Sistema sanitario nazionale, mentre le cliniche si possono autoregolamentare. Infatti dal 30 dicembre 2024 la PMA è entrata nei nuovi LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza. Esatto: tutte le regioni si sono uniformate. Anche prima era possibile accedere alla PMA anche tramite SSN, ma dipendeva dalle singole regioni. Oggi invece è obbligatorio per tutte erogare la PMA - sia omologa che eterologa - con tariffe uniformi, adeguando anche la stessa età di accesso e il numero di cicli che è possibile ripetere. Un altro tema influente per chi vuole intraprendere questo percorso è quello dei costi. Possiamo identificare un range? Il minimo è quello per una PMA omologa tramite SSN, con un ticket di ingresso fissato a 36 euro. Si sale con l’eterologa, che prevende 1500 euro di ticket sempre con SSN, ma le tariffe sono variabile perché sia gli ovociti che il seme vanno importati dall’estero, quindi dipende dal trasferimento e dai costi degli altri Paesi. E i costi salgono quando le coppie si recano all'estero. Sì, spesso per accorciare i tempi le coppie volano in altri Paesi - per esempio la Spagna è la mecca della PMA - dove molte cliniche offrono pacchetti con costi che lievitano fino ai 18 mila euro per determinati pacchetti. Alcuni Paesi sono più costosi di altri. Tra gli italiani per esempio è molto in voga anche la Repubblica Ceca che ha ottime cliniche più abbordabili. Capita di rinunciare per via di costi troppo alti? Solitamente non subito: le coppie ci provano, poi piuttosto si indebitano. Ho parlato con persone che hanno contratto debiti, chiesto prestiti a familiari e amici o finanziamenti. Se il percorso diventa molto lungo, capita di lasciare: va ricordato che lo stress che questo percorso richiede è altissimo. Un banco di prova molto duro per le coppie. Una delle cose positive della Legge 40 è che prevede l’assistenza psicologica per chi la affronta. Perché importiamo dall’estero? Il motivo è che da noi non abbiamo una cultura della donazione. La fecondazione eterologa è possibile anche in Italia, ma non abbiamo donatori. Le ragioni sono culturali? In parte sì, perché non ci sentiamo coinvolti. L’altra ragione è che non offriamo nessun tipo di compenso. Non intendo un pagamento, ma altri Paesi offrono almeno un rimborso spese per gli spostamenti effettuati, le giornate lavoro perse, e lo stress psicofisico. Non è comunque l’unico aspetto, perché anche a fronte di piccoli risarcimenti alcuni Paesi donano più di altri. Delle storie che ha raccontato nel libro, ce n'è una che l'ha colpita particolarmente? Sono tante, ma in particolare una storia di gestazione per altri. Ho intervistato una ragazza canadese che aveva fatto l’esperienza di gestante - senza coercizione e senza necessità - per una coppia italiana. In Canada la GPA è solidale, non prevede alcun compenso ma solo un rimborso spese per visite mediche. Mentre la ascoltavo parlare, mi rendevo conto che smontava con naturalezza tantissimi luoghi comuni e pregiudizi legati a questa pratica. Per esempio? Intanto non si può parlare di "utero in affitto" come spesso accade, perché nessuno affittava niente: si è trattato di una donazione libera e consenziente. Inoltre non è nemmeno una maternità surrogata perché queste persone non sono madri, anche se portano in grembo un bambino. Dall’inizio lei sapeva che quel bambino non sarebbe stato suo. E sentirla raccontare come ha aiutato a creare questa nuova famiglia è stato molto emozionante. Il dibattito sulla gestazione per altri è da sempre molto acceso. Sì, è un tema controverso. Soprattutto se pensiamo che anche in molti ambienti progressisti viene vista come sfruttamento di bambini, e del corpo femminile… La mia idea è che una gestazione solidale senza un compenso economico non abbia ragione di essere vietata. Pensiamo anche a sorelle, amiche, persone della propria rete familiare che vogliono aiutare una persona a cui vogliono bene, senza secondi fini. L'importante è che fin dall’inizio si intraprenda un percorso di consapevolezza. Quando sento parlare di "mercato di bambini" penso alle adozioni: neanche quelle sono gratis, ma nessuno protesta.

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