Perché gli studenti italiani preferiscono sempre i licei

Si sono chiuse le iscrizioni alle scuole superiori e i primi numeri, pubblicati dal ministero dell’Istruzione, rivelano un quadro quasi immobile rispetto allo scorso anno. Con variazioni decimali: i licei sono in leggero aumento, passando dal 55,6% al 56%, gli istituti tecnici calano dal 31,6% al 31,3% e i professionali restano al 12,7%. In generale, la maggior parte degli studenti italiani continua a preferire i licei, privilegiando l’ipotesi di una futura carriera universitaria a discapito della ricerca di un’occupazione post-diploma. Ma due novità, targate Valditara, tentano di invertire una tendenza pressoché identica da decenni: il liceo del Made in Italy e la formula del “4+2”. Il primo fu introdotto dal governo Meloni durante lo scorso anno scolastico per offrire un nuovo percorso formativo, che “integri scienze economiche e giuridiche con le scienze matematiche, fisiche e naturali”. Di fatto, si tratta di una variante del liceo delle Scienze umane con “opzione economico sociale”, ideato nel 2010. Dopo un deludente primo anno di rodaggio, Valditara ha annunciato un +10% nelle iscrizioni di questo febbraio. Che, però, si traducono in una cinquantina di studenti in più, ovvero tre classi che con ogni probabilità saranno sparse in tutta Italia, quindi non saranno formate. La formula del “4+2”, invece, ha lo scopo di velocizzare il raggiungimento del diploma per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro con due anni di studio in una ITS Academy, che permetterebbe – come si legge sul sito del Ministero – lo sviluppo di “competenze tecnologiche correlate alle esigenze” dell’industria. Il percorso ha affascinato molte famiglie e i risultati sono più che triplicati in un anno: dai 1.669 iscritti del 2024/25 ai 5.449 attuali. “C’è spazio in Italia per una nuova valorizzazione degli indirizzi tecnico-professionali. Dobbiamo lavorarci”, commenta Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, che rappresenta circa il 50% dei dirigenti scolastici italiani. Presidente, perché gli studenti italiani preferiscono sempre i licei? La scelta viene fatta indubbiamente anche perché i genitori vogliono che i propri figli frequentino un contesto sociale più elevato. Questo è certo. Di fatto, dal liceo si pensa sempre all’università e alla laurea, quindi alla possibilità di un “ascensore sociale” importante. Poi, è tutto da vedere se questo funziona. Cosa intende? Parlo della dispersione scolastica. Sia alle superiori sia all’università. Se un ragazzo si iscrive al liceo ma non riesce a portare avanti il percorso e dopo due anni cambia indirizzo verso un tecnico o un professionale, chiaramente il desiderio suo e della sua famiglia non resta esaudito. Allo stesso modo, abbiamo in Italia anche un altissimo numero di abbandoni nei curricula universitari, già in triennale. La tendenza è questa da tempo. Non dovrebbero avere pari dignità formativa i percorsi tecnico-professionali e liceali? Certamente. Io faccio sempre l’esempio dell’Olanda, dove gli studenti sono ripartiti esattamente al 50% fra le due opzioni. In Italia c’è sicuramente spazio per una rivalutazione tanto dell’indirizzo tecnico quanto di quello professionale. Dobbiamo superare la visione legata al ceto e andare verso una scelta che dipenda solo dall’orientamento e dalla sensibilità di ciascuno studente. Conosco figli di cosiddette “famiglie bene” che si sono iscritti ad alberghieri, per esempio. Secondo me, è meno raro che in passato. Il “Made in Italy” e il “4+2” vanno in questa direzione, ma non hanno avuto molti iscritti… In Italia si sta provando a invertire la tendenza delle iscrizioni e questi sono due indirizzi alternativi che vanno in questa direzione. Specialmente il “4+2” può essere molto utile, soprattutto al Sud, per favorire l’occupazione attraverso i percorsi ITS. Ma per capire se siano percorsi validi, dovremo attendere la risposta degli studenti negli anni. È normale che stentino ad affermarsi inizialmente perché sono una novità: in questo settore prevale l’abitudine. Aspettiamo i dati definitivi per pronunciarci. In ogni caso, i numeri di quest’anno danno ancora in crescita i licei. Sì, ma non ha senso fare valutazioni di anno in anno perché le variazioni sono decimali. Dobbiamo guardare alla tendenza di lungo corso. Il successo dei licei e la crisi del classico E, in effetti, sono proprio i numeri degli scorsi anni a chiarire la tendenza, lenta ma progressiva, verso i licei. Prendiamo a riferimento il 2008: allora gli iscritti agli istituti tecnici e professionali contavano il 56,7% delle scelte, contro il 43,3% dei licei. Nel 2016, otto anni dopo, i licei erano già saliti al 53,1% e gli istituti calati a un complessivo 46,9%. Da allora, il divario non ha fatto che allargarsi. A vantaggio degli indirizzi scientifici e socio-psico-pedagogici e a discapito del liceo classico, che in vent’anni ha praticamente dimezzato le proprie iscrizioni. Il dato più netto, però, riguarda la popolazione scolastica: nel 2005 gli iscritti al primo anno delle superiori erano circa 670mila. Quest’anno sono stati circa 510mila. Presidente, molte classi rischiano di non partire nemmeno. I presidi si trovano costretti ad accorpare classi e a dover promuovere, anche in concorrenza, l’attrattività dei propri istituti. Che effetto sta avendo l’inverno demografico sulla scuola? Partiamo dal presupposto che le classi del primo anno di corso devono essere costituite con un numero minimo di 25 studenti. Se decidessimo di abbassare questo numero anche solo a 24 in tutta Italia, la spesa pubblica si impennerebbe. Questa è la ragione per cui, ormai da molti anni, la formazione delle classi deve essere concordata con il Mef. Detto ciò, gli studenti diminuiscono di almeno 100mila unità all’anno. Avremo una scuola con sempre meno classi e istituti che si accorpano tra di loro. Si unificano i posti di dirigente scolastico e di direttore amministrativo, ma l’obiettivo è che gli accorpamenti tra scuole non abbiano praticamente effetti negativi sulla vita scolastica degli studenti.

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