Ucraina, il generale Portolano: "Garantire la pace in tempo di guerra"

Ordine mondiale sconvolto, venti di guerra che tornano, anzi sono già tornati, e una pace che va garantita e, se violata, difesa con la forza. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel Febbraio del 2022 ha cambiato le cose, portando la guerra nel cuore dell’Europa. E come se non bastasse, ci si è messo anche Donald Trump che da quando è arrivato alla Casa Bianca non ha dato più per scontato che siano gli Stati Uniti a garantire la sicurezza nel Vecchio Continente. Ne abbiamo parlato con il Capo di Stato Maggiore della Difesa, il Generale Luciano Portolano, lunga carriera con incarichi prestigiosi a livello internazionale e ora la sfida di rinnovare le nostre Forze Armate Generale Portolano, abbiamo vissuto tre generazioni con la convinzione che la guerra fosse cosa del passato e quindi alle spalle. E invece la guerra è tornata nel cuore dell'Europa ed è finita la pace. Anzi, come ha detto la Presidente della Commissione europea Von der Leyen ha detto, è arrivato il momento della pace attraverso la forza. Le posso chiedere quale supporto il nostro Paese può fornire all'Ucraina in questa fase? L’Italia ha supportato l'Ucraina sin dall'inizio della crisi con forniture di mezzi, di sistemi d'arma ed equipaggiamenti e contribuendo, tra l'altro, ad addestrare soldati ucraini sul nostro territorio. In linea con quanto già fatto e secondo le indicazioni che riceveremo dall'autorità politica, ritengo che continueremo a supportare Kiev anche in questa fase, tenendo tra l'altro conto che le capacità di difesa e deterrenza dell'Ucraina costituiscono un elemento di sicurezza per l'Europa e viceversa. Si sta parlando di una forza europea da schierare sul territorio ucraino. Che cosa ci dice al riguardo? Credo sia necessario dire che l'analisi concreta sul possibile intervento di una forza europea non può prescindere dall'avvio di una vera negoziazione, che in questo caso, oltre agli Stati Uniti, coinvolga l'Ucraina e l'Unione europea per assicurare il raggiungimento di un solido accordo di pace tra le parti. Le condizioni di questo potenziale accordo e la cornice giuridica per l'impiego di un'ipotetica forza costituiranno elementi essenziali per condurre un'analisi strategica e definire i presupposti politici e strategico militari di una pianificazione per lo sviluppo di opzioni credibili da presentare poi ai decisori politici. E intanto l’Italia cosa fa? Noi stiamo seguendo da vicino le attività coordinate da Francia e Regno Unito. Martedì scorso, infatti, ho partecipato a Parigi alla riunione svolta su iniziativa franco-britannica insieme ai capi di Stato maggiore della difesa di 34 Paesi. Da quella riunione sono emersi aspetti che ho condiviso con il ministro Crosetto e sulla base delle decisioni dell'autorità politica valuteremo i termini di una nostra eventuale partecipazione. Ma se mi consente, vorrei aggiungere anche che, qualora queste ipotesi dovessero concretizzarsi, sarebbe auspicabile che la missione si svolgesse sotto l'egida di un'organizzazione internazionale, come ad esempio le Nazioni Unite, il che non significa necessariamente sotto comando Onu, e non escludesse la partecipazione di Paesi terzi rispetto all'Unione europea e alla Nato, alcuni dei quali stanno attivamente contribuendo alle trattative in corso. Quindi attualmente noi siamo impegnati o parteciperemo a eventuali attività di pianificazione con i colleghi europei, ma io credo che sia prematuro definire l'entità, la tipologia delle forze e l'eventuale nostra partecipazione. Generale Portolano, alla luce del piano dell'Unione europea di supporto agli investimenti della difesa, di cui si sta parlando molto in questi giorni, le chiedo quali sono le priorità per la nostra difesa? Non posso rispondere alla sua domanda se non preciso almeno due aspetti. Il primo è che le priorità di uno strumento militare sono dettate dagli scenari. Per molti anni, come diceva lei, l'Italia, come molti altri Paesi, si è concentrata esclusivamente sulle missioni per il supporto alla pace. La guerra in Ucraina, però, è stata un forte campanello di allarme per tutti. E dal conflitto emerge un nuovo scenario che riporta in primo piano la necessità di difendere il territorio nazionale. E ciò impone di rafforzare con urgenza le capacità di difesa e deterrenza nei confronti delle minacce vecchie e nuove e delle sfide emergenti. L'altro elemento da considerare è la postura della nuova amministrazione americana, che sembra andare verso una progressiva riduzione dell'impegno in Europa. Questo determinerebbe il venir meno sul nostro continente di alcune capacità militari che fino a oggi abbiamo dato per scontate. E quali sono le conseguenze di quello che ha appena detto? Tutto ciò ha determinato un radicale cambio di scenari e da qui deriva l'urgenza di irrobustire la nostra difesa. In particolare, tra i principali interventi che ritengo necessari c’è quello di bilanciare le asimmetrie tecnologiche presenti oggi tra le forze armate nazionali, e poi rafforzare le capacità esistenti, ma non sufficienti. Ma poi bisogna anche introdurre nuove capacità che sono richieste dagli scenari attuali e futuri. Penso ad esempio a quelle necessarie per operare nei nuovi domini spaziale e cibernetico, nello spazio elettromagnetico, nella dimensione subacquea. Ma penso anche al trasporto strategico, naturalmente. E questo consistente sviluppo di capacità richiede il forte coinvolgimento del comparto industriale della difesa e, considerando l'importanza del fattore tempo, sarà necessario ridurre di molto i tempi di consegna e conseguentemente incrementare le capacità produttive. Quindi, generale, è un problema di numeri o è una necessità di riassetto, cioè di ristrutturare le nostre forze armate? Entrambi. Dal punto di vista capacitivo è un problema di numeri, ma è in corso un processo di revisione di tutto lo strumento per renderlo più aderente ai nuovi scenari e che non sono gli scenari paragonabili a quelli in cui si trattava di supportare la pace e basta. Si sta parlando di Europa della difesa. È una chimera, un'ambizione, o è davvero possibile ora? Io credo che nell'attuale contesto geopolitico sia necessario che l'Unione europea assuma un ruolo di attore securitario più credibile e allo stato attuale, dal mio punto di vista, può farlo solo rafforzando le capacità di difesa delle singole nazioni. L'Italia sostiene da sempre questa necessità che risponde all'esigenza di rafforzare il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e per far questo, per il livello militare, ritengo che occorra realizzare un'efficace struttura di comando e controllo basata sulla piena evoluzione dell'attuale struttura europea di pianificazione e condotta dei comandi operativi esistenti. Cosa manca, secondo lei? Credo che sia arrivato il momento di istituire una figura di un comandante strategico a capo della struttura militare europea, quale referente unico del livello politico. Ma penso anche alla necessità di estendere fin da subito a tutti i paesi dell'Unione europea gli standard di interoperabilità già definiti dalla NATO. Così come penso sia necessario realizzare una rete di comunicazioni classificate attualmente non disponibile in ambito Unione europea, alla quale associare anche un centro di fusione delle informazioni classificate prodotte dagli Stati membri. Tutto questo, comunque, nell'ottica di una piena collaborazione fra la Nato, l'Alleanza e l'Unione europea, che consenta di evitare duplicazioni e di rafforzare la complementarietà tra le due organizzazioni, mantenendo al contempo quel forte legame con gli Stati Uniti che caratterizza da sempre la nostra postura strategica. Ecco, mi sembra molto ambizioso. È fattibile tutto questo, generale? Assolutamente fattibile, purché ci sia la volontà politica, militare e industriale nel realizzare strutture del genere. Generale, si è sentito parlare dell'esigenza di aumentare gli organici delle forze armate. Ci può dire qualcosa a riguardo? Innanzitutto voglio chiarire che oggi è prematuro parlare di numeri e di personale, in quanto l'eventuale incremento degli organici deve essere il risultato di un processo sistematico che riguardi l'intero strumento militare, non soltanto l'ambito del personale per intenderci. Il processo si deve basare su criteri ben definiti relativi a tutti gli ambiti dell'organizzazione e deve partire dall'esame delle esigenze complessive di tutta la difesa, che attualmente deve fronteggiare molteplici sfide e minacce che fanno parte del nuovo scenario. Questa prima fase porta all'individuazione delle capacità necessarie alla difesa del territorio nazionale, degli interessi strategici dell'Italia, a cui si aggiungono quelle derivanti dagli impegni assunti in ambito alleanza e Unione europea. Solo al termine di questo processo sarà possibile quantificare l'esigenza complessiva in termini di personale. Detto questo, le dico che su indicazione del ministro Crosetto, come Stato maggiore della difesa, stiamo già lavorando in questo senso. A proposito, la leva. La Polonia sta ripristinando la leva obbligatoria, in Germania se ne parla da un bel po’, la Lettonia lo ha già deciso. Avrebbe senso dal punto di vista militare ripristinarla anche da noi, oppure è una cosa che fa parte del passato? Già pubblicamente il ministro Crosetto ha dichiarato in passato che il modello della leva non è idoneo a soddisfare in questo momento le esigenze dello strumento militare, che più che di soldati di leva ha bisogno di professionisti preparati e specializzati. Come già detto, siamo di fronte a uno scenario nuovo che richiede un adattamento dello strumento militare per renderlo ancora più efficace e flessibile. Quindi, più che pensare a formule del passato, riterrei più opportuno puntare sull'ampliamento del bacino delle forze di riserva. L'obiettivo, insomma, è di disporre, come avviene anche nei principali paesi alleati, di un adeguato bacino di personale addestrato e prontamente impiegabile in caso di necessità. Generale, ora più che farle una domanda, le chiedo una valutazione, anche sulla base della sua lunga e ricca carriera in giro per il mondo, sul momento storico che stiamo vivendo. Inutile negare che è un momento difficile sia dal punto di vista politico che militare. E rispondo alla sua richiesta proprio sulla base delle esperienze maturate nei diversi teatri operativi, nei diversi scenari, nelle diverse tipologia di operazioni. Le attività a cui io personalmente ho partecipato, a cui lei fa riferimento, sono operazioni essenzialmente svolte nel quadro della gestione delle crisi, di supporto. Oggi viviamo, invece, in uno scenario che richiede una preparazione dell'impiego delle forze in un ambiente totalmente diverso, che forse nel tempo abbiamo dimenticato, che è il cosiddetto ambiente del warfighting. Ci spiega esattamente cosa significa nel concreto? Significa che bisogna trovare, preparare e individuare soluzioni organizzative che consentano alla difesa italiana di poter difendere e garantire l'assolvimento delle missioni assegnate alle forze armate. Parlo della difesa del territorio nazionale, della difesa degli interessi vitali e strategici del paese, della difesa degli italiani, ovunque essi siano. Ma anche della difesa e tutela degli spazi euroatlantici ed euromediterranei che derivano dalla nostra partecipazione ad organismi internazionali quali l'Alleanza o l'Unione europea. La verità, generale, è che mentre prima parlavamo di pace da mantenere, ora bisogna parlare di guerra. È d’accordo? Sì, ma la pace non deve essere mai data per scontata. La pace, una volta acquisita, bisogna anche difenderla. E lo strumento per difendere la pace sono anche le forze armate, è costituito anche dalle forze armate.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Ucraina, il generale Portolano: "Garantire la pace in tempo di guerra"