Belice, la Valle dimenticata dallo Stato

“La storia di Santa Margherita Belice è emblematica dell’abbandono in cui questo territorio versa. Lo Stato non ha mantenuto gli impegni presi e non ha attuato le leggi”. Non usa mezzi termini Gaspare Viola, dal 2022 sindaco di Santa Margherita Belice, uno DEI comuni che ancora portano i segni di una ricostruzione lenta, tardiva, mai completata e condotta secondo criteri che non hanno rispettato l’identità di luoghi che furono stravolti per sempre. “Una ricostruzione che ha fatto ancora più danni del terremoto” dice Viola, che è nato qui, in questo comune circondato dalla bellezza di paesaggi rurali in un centro urbano deturpato e stravolto nelle sue caratteristiche da una urbanizzazione “calata dall’alto”. Si ricorda bene come era, il suo paese tanto caro a Tomasi di Lampedusa, dove un museo ricorda i luoghi del Gattopardo e dove negli anni '80 antiche e pregiate villette vennero distrutte anziché restaurate, per lasciare il posto ad anonime palazzine senza anima e sempre più vuote. Viola aveva 7 anni quando tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 la terra tremò in una sequenza sismica che raggiunse la magnitudo 6.4 uccidendo centinaia di persone e facendo oltre centomila sfollati. Per decenni visse nelle baracche con la sua famiglia e come tutti gli abitanti. “Baracche di amianto che hanno ospitato non solo abitazioni private ma anche ospedali, uffici, botteghe, dove le persone lavoravano e vivevano in una costante esposizione all’amianto. E nel computo delle centinaia di vittime del terremoto vanno inserite tutte quelle persone che a causa dell’amianto sono morte. L’amianto qui lo ha portato lo Stato, lo stesso Stato i cui rappresentanti oggi si infastidiscono quando sentono parlare del Belice, un territorio dimenticato, ignorato. I finanziamenti promessi per completare opere di urbanizzazione primaria non sono mai arrivati, se non in parte. “E non è solo una questione economica”, dice Viola. “Dovremmo recuperare l’insegnamento e l’esperienza di Danilo Dolci, sociologo, poeta, educatore e attivista della nonviolenza, convinto sostenitore della necessità di coinvolgere la popolazione in ogni processo, che sia di creazione o rigenerazione, che riguardi una comunità”. Invece nei paesi del Belice la ricostruzione fu imposta dall’alto, con criteri che non tennero conto delle necessità e delle identità della popolazione che ci viveva e al posto dei luoghi raccolti in cui la gente amava riunirsi furono progettate immense piazze in cui la gente si sentiva smarrita. Piazze immense che rimanevano deserte, mentre lo spopolamento avanzava a ritmi allarmanti, la gente partiva e non tornava più e intorno ai centri abitati sorgevano ponti e viadotti che rimanevano sospesi nel vuoto, strade che non portavano a nulla, piscine che rimanevano vuote. La verità è che la storia del Belice non è conosciuta e non interessa a nessuno, basti pensare che i fondi destinati al Belice dal Pnrr sono stati stralciati e promesse come il 10% dei contributi per il collaudo ai privati, mai mantenute”. Risultato, oltre 200 pratiche di collaudo rimaste in sospeso. Nemmeno la visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che a Partanna nel corso di una cerimonia commemorativa a 50 anni dal terremoto, nel 2018 incontrò tutti i sindaci dei 21 Comuni della Valle del Belice, è servito a sbloccare una situazione di ritardi ormai cronicizzati. La voce dei sindaci è sempre rimasta inascoltata. Alle opere faraoniche hanno sempre detto no, invano. Hanno chiesto opere di urbanizzazione primaria, strade, fognature e marciapiedi invece che teatri o chiese. Invano. Nel 2017 una commissione parlamentare del Senato visitò la Valle del Belice per una verifica, una relazione venne trasmessa al governo ma ai sindaci non fu mai consegnata, e la situazione è rimasta com’era, incompiuta. Nella ex baraccopoli case nuove ma assenza di fognature e marciapiedi A Santa Margherita c’è ancora una fetta della popolazione che vive in condizioni da terzo mondo, in appartamenti nuovi costruiti senza che intorno ci siano strade né marciapiedi, illuminazione o fognature e senza acqua corrente nelle case. Tra i quasi seimila abitanti di Santa Margherita rimasti e non emigrati, la rabbia non lascia il posto alla rassegnazione, contro quella che viene definita “una ingiustizia senza precedenti nella storia d’Italia”. L’architetta Margherita Margò Cacioppo è una sopravvissuta, aveva 10 anni quando fuggì da casa pochi istanti prima che il solaio crollasse sul letto su cui dormiva con la mamma e uno dei fratelli. “Quella notte stessa ho percepito che eravamo perduti, anche se eravamo rimasti vivi; intuivo già allora l’incapacità della politica di gestire i fatti. Vorrei che fosse chiaro che non vogliamo fare vittimismo ma attenerci ai dati reali. Se facciamo un confronto con il terremoto che 8 anni dopo colpì il Friuli, siamo stati fortemente discriminati. Stesso numero di morti, stessa superficie colpita, un'enorme differenza tra i contributi ricevuti. Noi abbiamo cominciato ad avere i primi fondi per ricostruire le nostre case poco prima del sisma in Friuli e ci furono assegnati 110mila lire a metro quadro, mentre per il terremoto del 1976 in Friuli furono erogate 300mila lire a metro quadro, tre volte di più. Fino al 2013 il Friuli ha ricevuto 25 miliardi delle vecchie lire, il Belice appena 7 miliardi. Una discriminazione a tutti gli effetti”. “Nel 2009” – continua Margherita – “la legge Tremonti ha tagliato tutti i finanziamenti del Belice, oltre alle accise, e solo negli anni successivi una minima parte dei finanziamenti è stata recuperata grazie all’intervento della Regione Sicilia con il 25%, ma non è bastato a completare la ricostruzione e le relative opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Il risultato fu che intorno agli edifici nuovi non furono realizzate infrastrutture. I finanziamenti che consentivano di mettere fine alla parola ricostruzione sono stati negati. La storia rimane aperta anche se molti non lo sanno, e la rappresentazione visiva è il quartiere Pasotti, nato dove sorgeva la baraccopoli. Qui 150 abitazioni non sono servite dalle opere primarie, non ci sono marciapiedi, illuminazione, strade, fognature. Qui si vive in condizioni estreme. Non è Italia questa? Perché nonostante sopralluoghi e verifiche di deputati regionali e nazionali di tutti i partiti il Belice non è stato completamente ricostruito e il Friuli sì? Il governo latita, da sempre, e non osserva le leggi che ha prodotto”. La domanda è retorica: cosa chiedete in questo 57esimo anniversario? "Il Belice chiede che vengano completate le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e che venga avviato un reale processo di sviluppo socio economico che freni lo spopolamento costante che questi territori subiscono".

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