Ala fragili, la struttura per chi è malato e non ha una casa

Nel quartiere Gratosoglio a Milano Sud sorge la Fondazione “Fratelli San Francesco”, anche nota come dormitorio di Via Saponaro. Al piano terra c’è un padiglione speciale. Si tratta di un’ala attrezzata per ospitare persone senza dimora che non possono essere accolte altrove perché disabili o affetti da patologie croniche, persone che necessitano di cure continue, di assistenza costante. In gergo, gli operatori della struttura la chiamano “ala fragili”, perché è il luogo in cui le fragilità si sommano. “Siamo al completo. 18 su 18 posti letto occupati. E abbiamo una lista di attesa infinita. Ci chiamano gli ospedali per trovare un posto a tanti pazienti in dimissione che non sanno dove andare. Non hanno niente e nessuno. La prospettiva è quella di tornare in strada dove smetterebbero di seguire le terapie e si rimmalerrebbero". A spiegare questo drammatico circolo vizioso è Maria Sechi che dirige la struttura. Al suo fianco un’infermiera specializzata, un'équipe di operatori socio-sanitari e un medico, Luigi Meazza, che dopo la pensione ha scelto di mettere la sua esperienza e le sue competenze a servizio di chi vive nell’emarginazione totale. “Parliamo di senza dimora con patologie complesse non sempre così disponibili a prendere le medicine, persone che assistiamo sia dal punto di vista sanitario sia documentale. Se non hai un permesso di soggiorno e in alcuni casi neanche il passaporto, è molto impervia la via della regolarizzazione e questa condizione comporta anche difficoltà nell’essere seguiti da un punto di vista sanitario. Ci barcameniamo con questi dossier complicati”, sottolinea Sechi. Nella seconda puntata del podcast Margini potete ascoltare le storie di chi vive in questa struttura. Solo nel 2023 sono morte 402 persone senza dimora con un'età media di 47,3 anni, secondo la fio.SPD. Viene chiamata la "strage invisibile", perché non riceve l’attenzione mediatica che merita. Eppure per molti è un destino già scritto. Salute e grave marginalità sono temi inscindibili: la malattia può essere causa della condizione di homelessness, dall’altra parte la condizione di senza dimora influisce sul benessere fisico e mentale degli individui. Chi vive in strada ha un rischio più alto di malattie fisiche e mentali rispetto a chi dispone di un alloggio dignitoso. La pandemia è stata un detonatore che ha aggravato questa crisi sanitaria latente. Il progetto dell’Ala fragili è nato proprio all'indomani del primo lockdown. “Durante il Covid i nostri anziani sono stati colpiti più duramente, tanti di loro sono finiti in ospedale e non ce l‘hanno fatta. Questa struttura era un punto di isolamento, misuravamo continuamente la temperatura corporea e i parametri vitali. Dopo questa esperienza così forte, ci siamo resi conto che in tutti quei mesi gli utenti del nostro dormitorio avevano smesso di curarsi. Non c'era possibilità di fare le visite di controllo e non c'era possibilità di reperire medicinali e abbiamo visto un crollo vertiginoso e generalizzato dello stato di salute”, continua Sechi. Ma nell’Ala fragili non troviamo solo persone che hanno davanti pochi anni di vita. Ospiti della struttura anche ragazzi giovanissimi. “Il più piccolo ha 20 anni ed ha subito un terribile incidente che lo ha reso disabile. Ci stiamo prendendo cura di lui sotto tanti punti di vista. Lo abbiamo iscritto a scuola, aiutato a ottenere l’invalidità civile e la nostra speranza è di poterlo inserire un giorno all’interno di una soluzione abitativa in linea con le sue esigenze e aspirazioni.” L’Ala fragili è un luogo di passaggio, dove si può rimanere anche per un interno anno ma che è pur sempre una transizione. Per i più giovani si cerca uno sbocco nelle comunità terapeutiche che sono attrezzate per accompagnarli dal punto di vista sanitario ma anche sociale, con laboratori e corsi che mirano a tirar fuori le loro risorse e a costruire un futuro professionale. Chi arriva nel reparto in età avanzata, invece, viene indirizzato nelle Rsa. A Severino , ad esempio, è stato trovato un posto nella sua città natale in Toscana. In questo modo ora è anche vicino al fratello. “Siamo riusciti così a riconnettere il suo tessuto familiare, che spesso è la sfida più complessa”, racconta Sechi. “Alle volte il nostro lavoro è solo quello di accompagnarli ad una fine dignitosa, cioè non farli dormire in un dormitorio, o per strada, nelle loro condizioni precarie, e quando questo succede e quando magari riusciamo anche a ricucire anche con la famiglia - continua - ci si riempie il cuore di gioia".

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