Françafrique addio: le truppe di Parigi lasciano le ex colonie

Passo dopo passo, l’Africa un tempo parte dell’impero coloniale francese si allontana da Parigi e guarda ad altri punti di riferimento, tra cui diversi rivali dell’Occidente come Cina e Russia. Dopo che nel biennio 2022-2023 Paesi storicamente legati a Parigi come Mali, Niger e Burkina Faso avevano visto la caduta dei locali governi filofrancesi e l’emergere di regimi castrensi vicini alla Federazione Russa l’influenza politica, diplomatica ed economica del governo di Emmanuel Macron nella regione subsahariana si era nettamente ridimensionata. La richiesta dei nuovi regimi alla Francia di ritirare le sue truppe dai tre Paesi, mentre nel frattempo aumentava la collaborazione tra i governi militari e l’attività del Gruppo Wagner legato alla Russia sul loro territorio, non ha solo sancito la fine di un’era di forte attivismo della Republique nell’area ma ha anche creato un precedente. Anche senza esser stati scossi da golpe militari, altri Paesi hanno seguito l’esempio di Mali, Burkina Faso e Niger nel voltare le spalle alla Francia. Il Ciad volta le spalle alla Francia Il caso più importante è quello del Ciad. In queste settimane è in corso il ritiro delle truppe transalpine dal Paese del Sahel la fine dell’accordo di cooperazione militare con N’Djamena decretata il 29 novembre scorso dal presidente del Ciad, Mahamat Deby, poco dopo la visita nel Paese del ministro degli Esteri francese Jean-Noel Barrot. Il Ciad non ha subito golpe, ma ha operato una graduale svolta strategica e geopolitica dopo che la morte del presidente Idriss Deby, al potere dal 1990, nel 2021 aveva privato Parigi del più solido alleato regionale. Mahamat Deby, figlio del leader caduto in uno scontro contro i gruppi ribelli alle porte della capitale N’Djamena, non ha ritenuto utile proseguire il ruolo di gendarme dell’Africa centrale che il padre aveva riservato al Ciad. La proiezione di Mosca nel Paese, dopo l’infiltrazione via gruppo Wagner nel resto delle ex colonie francesi, si è manifestata nell’acquisizione di spazio politico a scapito di Parigi, ma non solo. Ad aprile un contingente di 170 truppe russe è giunto a N’Djamena per un’esercitazione congiunta con i militari ciadiani, mentre al contempo Deby denunciava un’eccessiva pressione politica da parte dei Paesi occidentali, che gli rimproverano una stretta sulla democrazia e i diritti interni, e ha iniziato il suo distacco dai tradizionali alleati interdendo agli Stati Uniti l’uso della base aerea di Adji Kossei per fini militari e iniziando a polemizzare con i movimenti francesi nel Paese. Mosse, queste, di preludio alla rottura dell’accordo bilaterale che ha portato a partire dal 26 dicembre alla chiusura di diverse basi francesi nel Paese. Ad oggi la squadriglia di caccia Mirage schierata in Ciad e 120 soldati francesi su un migliaio totali hanno già lasciato il territorio dell’ex colonia, e si prevede che il ritiro sarà completato entro fine gennaio. I casi di Senegal e Costa d’Avorio Nel frattempo, anche Senegal e Costa d'Avorio hanno chiesto il ritiro dei contingenti militari di Parigi dal loro territorio. Il presidente senegalese Bassirou Dioumaye Faye ha a fine novembre anticipato e nel suo discorso di fine anno ribadito che il 2025 dovrà essere l’anno della fine della presenza militare nel Paese. Il giovane leader di Dakar è stato eletto su una piattaforma critica del legame post-coloniale con Parigi e intende portarla avanti anche sfruttando il consenso che le sue decisioni stanno suscitando in patria. A Abidjan, il presidente Alassane Ouattara ha invece negoziato bilateralmente con Parigi l’uscita delle 600 truppe francesi, che avverrà nel corso di quest’anno, senza rivendicare la mossa in polemica con l’Eliseo ma andando incontro agli umori di un’opinione pubblica che guarda più favorevolmente agli attori esterni all’Occidente. Geoffroy Julien Kouao, politologo ivoriano, ha spiegato a Voices of America che le motivazioni dei leader stanno nel fatto che "i politici africani vogliano diversificare le loro relazioni, soprattutto con i paesi del Sud del mondo, come la Cina, la Turchia, il Brasile, le monarchie arabe del Golfo, ma anche con la Russia". Kouao si è detto convinto che "“Questi paesi cercano più sovranità e soprattutto [i politici] non vogliono andare contro l'opinione pubblica, che favorisce la partenza delle truppe francesi”. A Parigi restano soltanto 2mila truppe operative in Gabon e a Gibuti, agli opposti estremi dell’Africa. Parliamo di ciò che resta di una presenza un tempoo solida. Il riflusso dell’influenza politica transalpina nella regione passa anche per la sostanziale assenza di argomenti validi da parte di Parigi per giustificare, o provare a contrattare, un mantenimento della presenza sul campo delle truppe. Nel vuoto della Francia si inseriscono i Paesi rivali Emmanuel Macron ha rivendicato in una recente conferenza stampa che senza la Francia i Paesi della regione sarebbero finiti sotto il controllo jihadista, ricevendo in cambio critiche da Deby e da altri leader della regione che lo hanno accusato di un modo di pensiero neo-coloniale e di ingerenze esterne. Del resto, sul ruolo reale delle truppe francesi come argine al jihadismo permangono molti dubbi: i gruppi radicali non sono sconfitti e, dal Mali alla Nigeria, al-Qaeda, l’Isis e Boko Haram restano attivi. Gli scarsi risultati nella lotta all’estremismo jihadista, in tal senso, hanno contribuito ad appannare l’immagine della Francia, che non è mai stata così distante dal suo ex impero africano. Questi passi delle ex colonie segnano il graduale tramonto di ciò che resta della Françafrique, un tempo architettura politica d’influenza di Parigi sui Paesi ex coloniali che si basava sull’influenza culturale, sulla presenza militare, sugli accordi preferenziali per le risorse della regione e sull’interdipendenza commerciale. Tutto questo sembra un lontano ricordo, mentre Stati come la Russia, con ingerenze, propaganda e operazioni di infiltrazione, colmano un vuoto politico sempre più ampio. Posizionandosi in una regione strategica per la sicurezza, la gestione dei flussi migratori e la stabilità dell’Africa in cui, col declino della Francia, anche il campo occidentale ha sempre meno presa.

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