A casa Ramy, le foto e la bandiera italiana

Ci apre le porte di casa e ci accoglie con il sorriso. Yehia Elgmal, 61 anni, da 18 anni in Italia, e un figlio di 19 anni morto, avrebbe tutto il diritto di urlare la sua rabbia e il suo dolore ma invece ancora una volta mostra un enorme senso di responsabilità. Siamo al quartiere corvetto, periferia di Milano, non molto lontano dall’incrocio dove ha perso la vita Ramy. Il padre ci mostra il piccolo bilocale dove adesso ogni cosa ricorda Ramy. Un tavolo con delle sedie, la piccola cucina e il letto a castello. “Ramy dormiva sotto – ci racconta Yehia – è rimasto così intatto dalla notte del 24 novembre”. Il copriletto a fiori rosa in ordine, ancora ben tirato. “Sopra dorme suo fratello maggiore Tarek”. Ci offre da bere mentre la moglie Farida resta in disparte, defilata, come ha sempre fatto dal primo momento. Ogni tanto ci guarda, annuisce con la testa e ci mostra le decine di foto che custodisce sul suo cellulare. Anche le pareti adesso sono tappezzate di foto e disegni. Ramy che sorride all’obiettivo, Ramy a cavallo davanti alle piramidi in Egitto. Ramy con i suoi fratelli. Ramy abbracciato al suo papà in piazza del Duomo con la maglietta della sua squadra preferita. “Da quando è morto dormo abbracciato a questa foto. Senza Ramy sono morto anche io” – confessa il papà. Mentre la stringe forte al petto gli occhi diventano lucidi. Gli chiedo come mai indossi una maglietta dell’Italia. “Per dire a tutti che siamo italiani. Prima l’Egitto era il nostro primo paese, adesso l’Italia è diventato il nostro primo paese – spiega Yehia - io vivo qui, lavoro qui, ho uno stipendio qui, tutta la mia famiglia è qui. Mio figlio è morto qui e anche noi moriremo qui”. Sui muri la bandiera della squadra di calcio egiziana e altre due più piccole. Una dell’Egitto e una dell’Italia. “La bandiera italiana l’ha fatta Ramy il primo giorno che è arrivato qui – ci confida - e per questo l’abbiamo appesa all’ingresso. Ramy parlava più italiano che arabo”. Proviamo a riavvolgere il nastro alla notte del 24 novembre, dopo la diffusione dei video che mostrano le fasi finali dell’impatto all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta il padre di Ramy dice di essere più tranquillo e di essere sicuro che la magistratura accerterà la verità. “Adesso che ho visto quei filmati – ci racconta – mi sento più sereno e rinnovo la mia fiducia nella giustizia, nella legge italiana e nei magistrati”. “Io e mia moglie non dormivamo da settimane, da 45 giorni, ma ora che finalmente sappiamo che verrà fuori la verità su quella notte siamo un po’ più tranquilli”. Yehia mostra ancora una volta un incredibile senso di giustizia: “So che Ramy non ha fatto nulla di male, lavorava, era un bravo ragazzo e anche ai suoi amici ho detto ancora una volta di stare tranquilli”, ricordando i disordini scoppiati nei giorni successivi alla notizia della morte di suo figlio. “Ora prego per mio Ramy e so che avrò giustizia” – conclude. IL PUNTO SULL’INCHIESTA, LA PROCURA ESCLUDE IL DOLO L'ipotesi di reato contestata per la morte di Ramy Elgaml resta quella di omicidio colposo stradale. In procura a Milano i magistrati titolari dell’inchiesta lavorano su due filoni d’indagine. Quello principale per la morte del 19enne in cui sono indagati il carabiniere, il vicebrigadiere di 37 anni, che guidava la gazzella e Fares Bouzidi, il 22enne alla guida dello scooter e l’altro per depistaggio e favoreggiamento personale a carico di due carabinieri accusati di aver costretto un testimone a cancellare il video girato al momento dell’impatto. I magistrati attendono le relazioni finali sulle due perizie disposte: cinematica e informatica, attese entro fine mese. La prima chiarirà l’esatta dinamica dell’incidente: se ci sia stato o meno uno speronamento. La relazione della polizia locale, che è intervenuta quella notte, descrive un contatto laterale ma una decina di metri prima della caduta finale. La seconda perizia, quella informatica, punta invece a recuperare il video girato dal testimone oculare. Omar, è il 28enne che quella notte si trovava proprio all’incrocio, e che ha interrogato dai magistrati ha raccontato di essere stato costretto a cancellare il video. IL CORDOGLIO DELL’ARMA DEI CARABINIERI: GRANDE SENSO CIVICO DELLA FAMIGLIA DI RAMY Questi nuovi passaggi dell’inchiesta sono attesi anche dal comando provinciale dei Carabinieri di Milano. “Ogni valutazione – fanno sapere – è rimandata all’esito delle indagini rispetto al comportamento dei militari coinvolti”. Il Gen. Pierluigi Solazzo – comandante provinciale dei Carabinieri – ha rinnovato la piena fiducia nell’operato della magistratura. “Attendiamo con fiducia l’esito delle indagini in corso – spiega Solazzo – l’Arma sta agendo con la massima trasparenza. Le immagini delle dashcam sono state rese disponibili sin da subito all’autorità giudiziaria”. “E’ apprezzabile – continua - il grande senso civico e di responsabilità dimostrato fino ad oggi dalla famiglia di Ramy rispetto alla necessità di attendere fiduciosi l’esito delle indagini. A questo proposito voglio esprimere alla famiglia il cordoglio dell’Arma per la perdita del giovane”. I LEGALI D FARES: LI VOLEVANO FERMARE AD OGNI COSTO Gli avvocati che difendono Fares Bouzidi, il 22enne tunisino, alla guida dello scooter indagato insieme al carabinieri per omicidio stradale sono convinti - dopo la visione dei filmati ripresi dalla dashcam di bordo di una delle 3 gazzelle impegnate nell’inseguimento e dalle telecamere comunali posizionate all’incrocio dove c’è stato lo schianto finale - che la procura debba valutare una diversa ipotesi di reato. I militari del nucleo radiomobile che inseguivano lo scooter – è il ragionamento dei legali di Fares – se sono arrivati così vicini fino a toccare lo scooter hanno accettato il rischio che si potesse verificare un incidente anche dall'esito mortale. “Dall’audio e dal video è evidente che qui siamo di fronte ad un omicidio volontario quantomeno sotto la forma del dolo eventuale – spiega l’avvocato Debora Piazza – un inseguimento durato più di venti minuti anche contromano per otto chilometri. Non parliamo di un’auto contro un’auto ma di un’autovettura contro uno scooter. Dai filmati emerge chiaramente che i carabinieri volevano fermarli a tutti i costi, anche facendoli cadere, come poi è successo”. L’AVVOCATO DELLA FAMIGLIA ELGMAL: ERA UN RAGAZZO PIENO DI SOGNI Per il legale della famiglia di Ramy Elgmal Barbara Indovina i filmati confermano le dichiarazioni del testimone oculare. “Siamo in attesa anche degli altri accertamenti e in particolare della perizia cinematica che dirà con certezza l’esatta dinamica del sinistro ma speriamo anche di riuscire a recuperare il video dal cellulare del testimone che ha ripreso le fasi finali dell’incidente da un’angolazione privilegiata”. Sull’inseguimento precisa: “Non parliamo di delinquenti. Posso dirvi con certezza che Ramy non aveva coltelli, droga, armi, soldi, nulla. Era un bravo ragazzo, un ragazzo che lavorava. Io lo conoscevo anche prima, perfettamente integrato, un ragazzo pieno di sogni, speranze, aspettative. Era un ragazzo sempre sorridente, positivo. L’immagine che è stata è distorta. Era fuori come tanti ragazzi della sua età”.

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