Svolta nelle indagini sull'omicidio di Piersanti Mattarella: cosa sappiamo

Quarantacinque anni dopo potrebbe arrivare la svolta. Quarantacinque anni dopo, gli esecutori dell’omicidio del presidente della regione siciliana Piersanti Mattarella, potrebbero avere un nome ed un volto. Il condizionale, per il momento, rimane d’obbligo. Ma una certezza c’è: la procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia, ha aperto un nuovo fascicolo di inchiesta sul delitto del 6 gennaio del 1980 a Palermo ed ha iscritto sul registro degli indagati due persone. Le loro identità, per il momento, rimangono top secret. Ma potrebbe trattarsi di due elementi vicini alla famiglia mafiosa dei Madonia di Palermo. La ricostruzione del delitto Il delitto di Piersanti Mattarella avvenne il giorno dell’epifania di 45 anni fa, in via Libertà. Il presidente della regione, fratello dell’attuale capo dello Stato, era in auto con la moglie Irma e la figlia Maria. A pochi metri c’era l’altro figlio della coppia, Bernardo. Davanti il portone di casa, appostato, c’era un uomo che ha fatto fuoco quando Piersanti Mattarella iniziò a fare manovra con l’auto. La moglie Irma tentò di fare scudo al marito e rimase ferita ad una mano. Il killer poi scappò via a bordo di una Fiat 127 bianca, risultata poi rubata la sera prima del delitto. A bordo dell’auto c’era un complice. La moglie di Mattarella fornì agli investigatori dell’epoca la descrizione del killer che risultò somigliare all’ex terrorista dei Nar, Giusva Fioravanti, e sul quale indagò dopo anche Giovanni Falcone. Ma la Corte di Cassazione lo ha definitivamente prosciolto così come il suo presunto complice Gilberto Cavallini. Ad essere condannati definitivamente invece sono stati i vertici di cosa nostra di allora: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca e Pippo Calò. Per i giudici sono stati loro ad ordinare l’eliminazione di Piersanti Mattarella. Troppo scomodo per i loro interessi criminali. La svolta nelle indagini Adesso la svolta sulla base di nuovi elementi raccolti. Ma già qualche anno fa si era mosso qualcosa. Il pentito Francesco Di Carlo, adesso deceduto, parlando con i magistrati palermitani aveva fatto un preciso riferimento al killer Nino Madonia, figlio del boss Francesco. Stando alle parole di Di Carlo sarebbe stato lui l’esecutore materiale del delitto e ha sostenuto che Irma Mattarella lo avrebbe confuso con Fioravanti per la sua corporatura e per il taglio degli occhi particolarmente somigliante. La famiglia mafiosa dei Madonia è entrata, negli anni, in diverse indagini che coinvolgevano Cosa nostra e “pezzi deviati” dello Stato. Secondo diversi collaboratori di giustizia, Nino Madonia sarebbe stato al soldo di alcuni loschi personaggi legati in qualche modo ad una zona oscura dei servizi segreti e, per loro conto, avrebbe agito in diverse occasioni. Un particolare che fa riflettere proprio su questo aspetto è legato alla strage di via D’Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua corta. La base operativa in cui fu preparata la Fiat 126 rossa imbottita di tritolo e che fece da quartier generale dell’attentato, fu proprio la zona di “competenza” della famiglia Madonia. E sui cosiddetti mandanti occulti e sui presunti depistaggi relativi alle indagini su quella strage, i magistrati stanno ancora indagando.

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