Analfabetismo funzionale, ecco perché siamo nei guai

Prego, scomodati ché parliamo di non capire. Nei giorni scorsi sono stati resi noti i risultati del rapporto Ocse in materia di competenze cognitive degli adulti nel nostro Paese dai quali è emerso che siamo decisamente lontani dalla media internazionale, con abissi di fatiche nella fascia 55-65 anni, esiti peggiori nelle aree geografiche più periferiche rispetto agli investimenti culturali e risultati inferiori delle donne rispetto agli uomini. In particolare, in “literacy” il 35% dei 16-65enni ottiene un punteggio pari o inferiore al livello 1, ovvero quello che indica la capacità di cogliere il senso di testi brevi ed elenchi organizzati, pur in presenza di informazioni segnalate con chiarezza. Queste persone cognitivamente al di sotto del livello 1 - più di una su tre - possono, al massimo, capire frasi poco più che minime e indicazioni elementari - la stessa cosa che in materia di sviluppo del linguaggio sa fare un bambino di - all’incirca - un anno e mezzo. Questa epidemia porta il nome di analfabetismo funzionale. Per analfabetismo funzionale, o illetteratismo, si intende l’incapacità di processare, e di conseguenza comprendere, le informazioni con le quali si entra in contatto. Gli articoli che durante la settimana in corso ne hanno parlato, in verità non riferiscono alcuna notizia: è da un decennio che i risultati Ocse raccolti in Italia non raggiungono le medie internazionali. Già nel 2020 Luca Aterini riferiva che l’Italia fosse il quarto Paese Ocse per adulti non idonei a capire dati e informazioni che vengono loro forniti. Peggio di noi solo Indonesia, Cile e Turchia. È dunque da anni che disponiamo di dati che denunciano una situazione di gravissima povertà di pensiero e ragionamento, che evidentemente consegna alla società cittadini non sempre pienamente portati a partecipare con libertà e slancio contributivo alla vita pubblica, alla dimensione collettiva ma anche alla propria realizzazione personale. Si tratta di una rovinosa falla del sistema, che sta diventando una voragine avvicinandosi metaforicamente al famoso comparto allagato in più che determina se il Titanic affonderà o meno. Eppure, ne parlano alcuni, tentano di denunciarlo altri, sta quasi perdendo la sua forza di insulto - come tutto ciò che diviene normale - ma il punto è che non se ne occupa quasi nessuno, laddove ho in mente che si tratti di una priorità dell’agenda politica e del Ministero dell’Istruzione, se consideriamo che i dati svantaggiano coloro i quali hanno nel loro curriculum percorsi di studio più brevi. Attenzione, però: non si tratta di una questione meramente culturale. Se infatti è certamente vero che venire stimolati allena all’uso del cervello e che la povertà educativa è la prima causa di analfabetismo funzionale, è altresì vero che da psicoanalista nutro la fortissima tentazione di farne anche una questione simbolica. Per definizione, essere analfabeti funzionali significa avere imparato a leggere e far di conto e a risolvere problemi, esserne potenzialmente in grado avendone ricevuto gli strumenti per farlo, eppure non saperlo fare. La psicologia clinica ha a che fare con questo tipo di incapacità di comprensione e comunicazione quasi più dei social media , perché questo tipo di limite lo tratta alla voce “disturbi del pensiero” - categoria diagnostica di franca gravità. Qui c’è da scomodarsi di brutto, lettore già scomodo: il loro sinonimo è “schizofrenia”. Ecco, mi pare che la questione dell’illetteratismo – composta certo da una serie di bias cognitivi e pregiudizi, che non possiamo non considerare – debba essere presa molto sul serio, al punto da intenderla come un fattore di rischio strutturale per la manifestazione di vere e proprie patologie psichiatriche. Detto in altri termini: quando certi argomenti si prestano a essere potenzialmente tanto divisivi, ideologizzati e polarizzanti, personalmente fatico a credere che succeda esclusivamente per una questione di uso dell’intelletto, o di sapere. Credo piuttosto che i temi, gli stimoli, i commenti o le persone capaci di scaldare gli animi o instupidirci abbiano la forza di farlo perché pungolano forte i nostri bisogni più profondi, le convinzioni cui ci siamo aggrappati come a una boa in mezzo al mare, le nostre emozioni più primitive e i nostri meccanismi di difesa - su tutti sempre lei: la proiezione. Credo che impedire ad una quota significativa di persone di poter prendere l’ascensore sociale convenga a chi ha bisogno che i cittadini siano più braccia che non teste, più innocui che scomodi. Credo che, in una società complessa come quella attuale, non darsi come obiettivo didattico, educativo ed evolutivo di accompagnare al raggiungimento dell’astrazione fine sia un vero e proprio piano criminale per azzerare il pensiero critico. Credo inoltre che viviamo con sforzo e frustrazione cambiamenti più che mai repentini, molto più veloci che in altre epoche storiche e amplificati dall’accesso alla rete, al punto che in fondo potrebbe far risultare conveniente anche a noi il fatto di pensare poco, pensare senza dover mettere alla prova le nostre convinzioni, il sentito dire, ciò cui siamo abituati, le frasi già fatte da altri al posto nostro - dunque siamo a nostra volta responsabili. Ma credo soprattutto che combattere l’analfabetismo funzionale debba essere un progetto di salute: solo chi sta bene, può pensare bene. Avviene perché non c’è bisogno di imbrigliare la mente in una sorta di “turbante di forza” per non far sfuggire ragionamenti compromettenti, trigger, riflessioni capaci di sparigliare le carte. Quando invece siamo sani, la mente può andare dove vuole: non deve proteggersi dal rischio di dove potrebbe finire, perché un pensiero senziente, arioso e dialettico è in grado di trovare - prima o poi - le sue soluzioni migliori. Siamo nei guai, dunque. Sempre meno Sapiens e sempre più anestetizzati, impermeabili, chiusi dentro a teste sfruttate poco. Oltre alle soluzioni da pretendere da parte della politica, noialtri però possiamo armarci con l’artiglieria pesante: il potere di chiedersi Perché?, non rinunciando mai a farci guidare dalla Stella Polare del senso.

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