Tagli alla ricerca: perché in Italia ci sono atenei ricchi e poveri

Circa un centinaio di studenti, dottorandi e assegnisti si sono riuniti nelle aule della Bicocca a Milano per discutere il Ddl Bernini, che introduce nuove figure contrattuali nelle Università italiane: post-doc, borse di ricerca junior e senior, professori aggiunti. Sono sociologi, linguisti e ingegneri. “Ma siamo uniti tutti dal precariato”, spiegano. “Guadagno 1200 euro e a fine mese forse me ne avanza uno”, ironizza Silvia M., dottoranda alla Bicocca, che al pari dei colleghi preferisce proteggere la propria identità per paura di ripercussioni sulla carriera. Non va meglio agli assegnisti: “Con 1400 euro al mese non si vive in una città come Milano, figuriamoci se possiamo progettare una famiglia – confessa Francesca L. – Ricordiamoci che siamo lavoratori e lavoratrici specializzate, con carriere accademiche alle spalle di altissimo livello e lauree magistrali prese a pieni voti”. Circa nove ricercatori su dieci, dopo 10-15 anni di lavoro a contratto, rinunciano alla carriera accademica . È il sintomo di una tendenza di lungo corso, in cui il Ddl Bernini si è inserito solo di recente. Già nel 2020, la IX Indagine Adi rilevava che nel 27% dei casi all’assegno di ricerca segue un periodo di disoccupazione, con picchi del 31% al Centro e del 33% al Sud. Per oltre un assegnista su due, la disoccupazione supera i sei mesi. E non va meglio a chi un impiego lo mantiene: il 53% di chi ha risposto al sondaggio dell’associazione ha dichiarato di lavorare oltre 40 ore alla settimana e il 77% di svolgere attività di docenza a gratis. Con il risultato che il 67% di loro ha sospeso ogni progetto di genitorialità in attesa di condizioni di vita più stabili. “È impossibile pensare di costruirsi una famiglia – commenta Francesca – non sapendo neppure in che città arriverà il prossimo contratto. Magari all’estero. La nostra carriera è impegnativa a livello psicologico perché è un imbuto in cui, alla fine, vale il mors tua vita mea”. I nuovi contratti del Ddl Bernini Il timore di dottorandi e ricercatori, perciò, è che il Disegno di legge del Governo introduca contratti ancora più brevi, che non garantiscano tutele adeguate. Post-doc e borse di ricerca junior e senior sono perlopiù annuali e non prevedono ferie, malattia, tredicesime e rappresentanza sindacale. “Si tratta di una precarizzazione sistematica del lavoro accademico – commentano dalla Bicocca – che condanna chi si dedica alla ricerca e all’insegnamento a un futuro di insicurezza, allontanando ulteriormente i ricercatori italiani dalla media europea di accesso al ruolo accademico”. Senza contare che in Ue gli stipendi garantiti dalle Università sono molti più alti di quelli italiani: 3400 euro in Germania, 2400 in Olanda e 2800 in Austria. E anche nel nostro Paese, non parlando di retribuzioni, non tutti gli atenei sono uguali: “Mentre le Università private telematiche stanno spopolando per la classe medio-bassa – commentano i dottorandi dalla Bicocca – il Ddl Bernini aggrava le sperequazioni territoriali tra atenei ricchi e poveri in Italia”. Diseguaglianze percepite anche all’interno della stessa città: “Pure la Bicocca è un ateneo decentrato a Milano – spiega la dottoranda Silvia – e per questo è importante avviare un percorso a partire da queste aule”. Il taglio dei fondi Nel mirino di ricercatori e assegnisti è il taglio al Fondo di finanziamento ordinario previsto dalla legge di Bilancio 2025. Che ammonta a una diminuzione di circa 200 milioni di euro per la quota base e altri 100 milioni per la quota premiale. Nel concreto: “Vuol dire che le Università avranno meno risorse per le attività vincolate e avranno invece più fondi gli atenei che già dispongono di risorse proprie”, spiega Davide Clementi, segretario dell’Associazione dottorandi italiana. “Di fatto – continua – solo sei atenei, di cui cinque concentrati in regioni del nord Italia, hanno mantenuto il finanziamento dello scorso anno. Tutti gli altri hanno avuto un taglio di almeno 2 o 3 punti percentuali”. Con conseguenze sulla qualità della ricerca e sulla didattica: “Io vengo da Catania – racconta Silvia – e molti dei miei colleghi rimasti al Sud raccontano di corsi che chiudono per mancanza di studenti e studenti che abbandonano per carenza di corsi. È un cane che si morde la coda”. Dalle aule della Bicocca, perciò, la richiesta formale degli studenti e dei giovani ricercatori è di raddoppiare il Fondo di finanziamento ordinario e di ritirare il Ddl Bernini. “Serve farlo subito anche per compensare la scarsa quantità di laureati italiani rispetto agli altri Paesi Ue – spiega la ricercatrice Francesca – ma intanto, più in piccolo, chiediamo ai rettori almeno un confronto su questi temi”.