Cosa possiamo imparare dai big data delle app mestruali

Le mestruazioni sono un tabù sul lavoro e nella vita quotidiana, la ricerca sul ciclo mestruale è sottofinanziata e il congedo mestruale è ancora una battaglia da vincere in moltissimi Paesi, compresa l’Italia. Ma c’è un luogo in cui le persone con utero che hanno un ciclo mestruale possono confrontarsi e fare “comunità”, imparando qualcosa sul proprio corpo: sono le app di monitoraggio del ciclo, scaricate da milioni di utenti in tutto il mondo. Utilizzando i dati raccolti dagli app store di Google e Apple tra aprile e dicembre 2021, lo studio, pubblicato su Digital Health e condotto da un team di ricercatori del Regno Unito e della Danimarca, esplora le motivazioni dietro i download di queste app sia nei Paesi del Nord globale che in quelli del Sud. Sono le tre app che dominano il mercato, ovvero Clue, Flo e Period Tracker, rappresentando complessivamente oltre 250 milioni di download. La maggior parte delle installazioni è concentrata nei Paesi del Nord, ma lo studio ha rilevato anche una presenza particolarmente elevata in America Latina. È la prima volta che si può osservare il comportamento delle utenti a livello globale, perché finora erano disponibili solo studi su campioni selezionati e principalmente nei paesi ad alto reddito. “L’obiettivo della ricerca era mappare questo mercato delle app per capire quali siano le più usate e perché, e proporre non solo studi medici, ma anche legati a comportamenti e trend demografici”, spiega Francesco Rampazzo, docente di demografia all’università di Oxford, coordinatore dello studio. “Analizzando le interazioni tra diverse variabili emerge che nei Paesi a basso reddito, rispetto a quelli del Nord globale, a valori più elevati di "unmet need", cioè di domanda insoddisfatta per la pianificazione familiare, e a un tasso di fertilità totale più alto, sono associati a un numero maggiore di download", aggiunge. L’esigenza di controllare la propria fertilità viene quindi soddisfatta con un monitoraggio “digitale”, che poi è quello che promettono Clue e le altre. "Aggiornamento: sono incinta!" Considerato da molte donne un metodo più efficace per conoscere il proprio ciclo mestruale, queste app raccolgono dati intimi come il momento del sanguinamento, la temperatura corporea basale, le secrezioni cervicali, l'altezza e il peso e molto altro. Con questi dati gli algoritmi delle app stimano la data dell'ovulazione, il successivo ciclo mestruale e una finestra fertile in cui l'utente ha maggiori probabilità di concepire. Lo studio è stato utile anche per mettere a confronto i metodi di analisi della fertilità degli algoritmi delle app. Sono due i metodi principali utilizzati: alcuni si basano sulle informazioni dei cicli mestruali precedenti, come la durata del ciclo o l'aumento della temperatura, mentre altri si affidano alle misurazioni del ciclo corrente. Un numero limitato di app promuove l'uso come metodo contraccettivo , ma la maggior parte si concentra sull'aiuto nel raggiungimento di una gravidanza o sulla consapevolezza del proprio corpo. La narrativa che adottano è quella dell'empowerment personale: tracciare il proprio ciclo è visto come un mezzo per esercitare la propria autonomia, attraverso piattaforme accessibili e “convenienti”. Tra i risultati inaspettati dello studio Rampazzo cita il fatto che “il 9% delle recensioni analizzate esponga il ruolo delle app nella creazione di community femminili e nella diffusione di informazioni educative sulla salute mestruale". Le recensioni lasciate negli store ci raccontano come queste piattaforme favoriscano la condivisione di esperienze e di supporto reciproco. “Amo la community dove posso commentare e fare domande,” si legge tra i messaggi lasciati da una delle utenti. “Inoltre”, aggiunge Rampazzo, “è emerso che circa l'8% degli utenti usa queste app come metodo contraccettivo, con potenziali rischi legati alla loro effettiva affidabilità”. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità il limitato accesso a metodi contraccettivi sicuri riguarda circa 123 milioni di donne nei Paesi in via di sviluppo, influendo negativamente sulla loro salute riproduttiva e mentale. Gli strumenti digitali come le app di monitoraggio del ciclo non possono però sostituire l’accesso a servizi adeguati o all’educazione sessuale, che, come sottolinea l’ultimo rapporto di UNFPA, pubblicato in Italia da Aidos, sono fondamentali per un pieno esercizio dei diritti della salute riproduttiva. L’uso delle app va però in qualche modo a rispondere a un bisogno che evidentemente esiste, di monitorare il ciclo, pianificare o evitare gravidanze, e migliorare la consapevolezza sulla propria salute riproduttiva. L’uso di queste app era stato analizzato anche da studiose come Karen Levy, docente di scienze dell’informazione alla Cornell University, che già nel 2015 aveva coniato in proposito l’espressione “sorveglianza intima”, per cui la raccolta di dati molto privati era passata dalle autorità sanitarie pubbliche a tutti i cittadini con uno smartphone. Un’estensione dell’esercizio del potere che non è più esclusivo dello Stato, ma è diventato un fenomeno interpersonale normalizzato, in cui individui raccolgono dati sulle proprie relazioni e attività intime per ottenere conoscenza e controllo su di esse. Le app però “non dovrebbero sostituire il sistema sanitario nazionale", sostiene Rampazzo. Basta pensare ai problemi di privacy e gestione dei dati che possono emergere in Paesi come gli Stati Uniti, dove a seguito della sentenza Roe vs Wade la salute riproduttiva della donna è sotto sorveglianza e le app possono essere usate per rintracciare pazienti che hanno avuto accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Il team di ricerca ha messo a disposizione tutti i dati usati in un repository di Github, dove è possibile visionare la metodologia e scaricare i dataset per ulteriori analisi, di cui c’è un grande bisogno. Lanciano infatti un appello: che altri gruppi possano usare i dati anonimi forniti da queste piattaforme per indagare come influenzino le decisioni e i comportamenti riproduttivi soprattutto al di fuori del Nord globale, dove di solito si concentrano la maggior parte delle ricerche, magari aiutando i decisori locali a migliorare la pratica clinica e l’accesso ai diritti riproduttivi di tutte le donne.