Inchiesta Venezia, assessore Renato Boraso rassegna le dimissioni

Cronaca
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A comunicare la decisione è stato il suo legale, dopo un incontro nel carcere di Padova, dove si trova da due giorni: è stato arrestato nell'ambito della maxi-indagine per corruzione che vede indagato anche il sindaco Luigi Brugnaro. Parlerà il 9 settembre in Consiglio comunale

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L'assessore alla Mobilità del Comune di Venezia, Renato Boraso, ha rassegnato le dimissioni dall'incarico e ha lascia anche Ca' Farsetti, non essendo consigliere comunale. Lo ha annunciato all'ANSA il suo avvocato difensore, Umberto Pauro, dopo l'incontro con il politico nel carcere di Padova. Il legale non ha commentato la scelta dell'assistito ritenendola un atto dovuto. Boraso è arrestato nell'ambito della maxi-inchiesta per corruzione che vede indagato anche il sindaco della città, Luigi Brugnaro. Per lui, oltre ai tempi della procedura d'indagine, si guarda al 9 settembre, data in cui parlerà al Consiglio Comunale. Intanto opposizioni e alcuni comitati hanno annunciato per il 24 luglio, in Campo Santa Margherita, una protesta contro la "mancanza di chiarezza" contestata al sindaco. Il 16 luglio sette persone sono finite ai domiciliari, due in carcere, tra cui appunto l'ex assessore Boraso. In tutto, 22 nomi hanno scoperto di essere indagatei. L'inchiesta è legata alla vendita di aree pubbliche e di palazzi comunali. La bufera, per proporzioni, è seconda solo all'inchiesta sugli appalti del Mose, che 10 anni fece scattare 35 arresti. 

Domani i primi interrogatori

Domani, 19 luglio, cominceranno gli interrogatori di garanzia da parte del Gip Alberto Scaramuzza, con la probabile presenza dei Pm Roberto Terzo e Federica Battaglini. Tra i primi dovrebbero esserci quelli dei due uomini in carcere: Boraso e l'imprenditore Fabrizio Ormenese. Vista la mole di carte da vagliare, l'assessore potrebbe però decidere di avvalersi della facoltà di non rispondere e spostare la data di qualche giorno. Altro interrogatorio certo, sempre per domani, è quello di Daniele Brichese, imprenditore finito ai domiciliari. Per gli altri sei indagati ai domiciliari ci sono cinque giorni di tempo. Per i sei in libertà ma interdetti dai pubblici uffici, per l'interrogatorio di garanzia ci sono 10 giorni. Dopo gli interrogatori, scatteranno le eventuali richieste al Tribunale del Riesame per le istanze di alleggerimento dei provvedimenti restrittivi, percorso già annunciato da alcuni.

La posizione del sindaco Brugnaro

Dopo aver saltato il Consiglio di ieri, Brugnaro - secondo quanto si apprende - parteciperà a quello calendarizzato per il 9 settembre. Saranno messe all'ordine del giorno le questioni di natura politica e amministrativa collegate all'indagine in cui è indagato. Brugnaro aveva acquistato l’area dei Pili - affacciata sulla Laguna veneziana - al prezzo di cinque milioni di euro, prima di diventare sindaco. Poi era diventata una zona di lottizzazione ed era partita una trattativa - fallita - con l'imprenditore di Singapore Chiat Kwong Ching. I quattro ettari e mezzo di terreni, inquinati dalle lavorazioni di Marghera, erano poi finiti sotto il controllo di 'Porta di Venezia', facente sempre capo a Brugnaro, ma con "gestore di fatto" - scrive la Procura - il vice capo di gabinetto in Comune Derek Donadini, anche lui indagato insieme al capo di gabinetto Morris Ceron. Nel 2017 l’area finì in mano a un blind trust di diritto newyorkese creato dal sindaco, forse per parare le accuse di conflitto di interessi. Su questi meccanismi indaga la Guardia di Finanza. Brugnaro, Ceron e Donadini, si legge nell'ordinanza, "concordavano con Ching il versamento di un prezzo di 150 milioni di euro in cambio della promessa di far approvare il raddoppio dell'edificabilità e l'adozione delle varianti urbanistiche necessarie per l'approvazione del progetto edilizio". Ma Brugnaro assicura che l'area dei Pili "era edificabile da prima della mia amministrazione". Gli inquirenti sono dubbiosi: scrivono che gli stessi Brugnaro, Ceron e Donadini, in un incontro a Venezia "concordavano con Ching la cessione dell'immobile comunale Palazzo Papadopoli al prezzo di oltre 10 milioni di euro, inferiore al valore di 14 milioni... e ciò al fine di facilitare le trattative con Ching per la cessione del terreni dei Pili, di proprietà del Brugnaro". La riduzione del valore dell'immobile è poi effettivamente avvenuta, tramite "atti contrari ai doveri di ufficio posti in essere da Brugnaro, da Ceron e Donadini, che agivano per conto del primo".

Le accuse per Boraso

Boraso deve rispondere di 11 episodi di corruzione, concussione e autoriciclaggio. Le vicende sarebbero andate avanti dal 2015 in poi. Oltre alla vendita al ribasso di Palazzo Papadopoli, per i magistrati Boraso – quando era assessore al Patrimonio – avrebbe ricevuto 73.200 euro dagli emissari di Chiat Kwong Ching, con fatture alla sua società "Stella consulting" per consulenze inesistenti, nel 2017 e nel 2018. Cifre poi girate ad altre due sue aziende. 

Boraso, gli inquirenti: "Più un immobiliarista che altro"

Il quadro che sta emergendo dall'indagine delinea l'operato di Boraso negli anni, che viene definito dal Gip più come immobiliarista che amministratore pubblico, furioso contro i dirigenti che "resistono" a quello che, secondo la Procura, è malaffare. Che nel gioco della corruzione i funzionari del Comune siano divisi tra "passivi, accondiscendenti e riluttanti" è chiaro dall'irritazione che di volta in volta Boraso fa sentire nelle intercettazioni. Per placare gli animi di imprenditori che non vedono approvati piani immobiliari dice, riferendosi a una funzionaria rispettosa delle regole, "ho pettinato la bambola" dopo un'aggressione verbale intercettata in cui le dice "i miei sono inc... come le belve". Ad opporre resistenza figurano il dirigente responsabile di gare e contratti, il comandante della Polizia locale e l'avvocato civico, scomparso da qualche mese.

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