In Emilia-Romagna sono finora 150 i ritrovamenti di carcasse di cinghiali infettati dal morbo. L’Unione europea ha pubblicato un regolamento che amplia le zone di restrizione. E la Regione: "Occorre salvare gli allevamenti e le esportazioni di carne di maiale, perché il rischio di ricadute sulle imprese e sull’occupazione è drammatico"
La peste suina mette a serio rischio la produzione del prosciutto di Parma. In Emilia-Romagna si contano finora 150 casi di ritrovamenti di carcasse di cinghiali infettati dal morbo, con l’Unione europea che ha pubblicato un regolamento che amplia le zone di restrizione. Mentre molti titolari degli allevamenti risultano indagati proprio per aver nascosto il morbo. "Quello che sta succedendo va trattato come un’emergenza, altrimenti non ne usciamo", ha detto a Repubblica il direttore del Consorzio Prosciutto di Parma Stefano Fanti.
Export bloccato per numerosi stabilimenti
Attualmente 15 stabilimenti che producono prosciutto di Parma non potranno più esportare in Canada. Anche Cina, Giappone e Messico hanno bloccato le esportazioni. "Se non si lavora da subito per scongiurare la diffusione si correranno rischi seri: dovesse passare dai cinghiali ai maiali, in caso di diffusione negli allevamenti verrà a mancare la materia prima proprio come accaduto in passato a Pavia, dove sono stati abbattuti migliaia di capi", aggiunge Fanti. Anche se il contagio riguarda per ora solo la fauna selvatica. La zona rossa riguarda aree come Felino e Sala Baganza. Per quanto riguarda il salame felino per ora non ci sono aziende in difficoltà. Ma le limitazioni vengono imposte anche se si trova una carcassa a 15 km dal salumificio. La Regione, intanto, precisa l'obiettivo: "Ridurre drasticamente il numero dei cinghiali eradicando il virus per salvare gli allevamenti e le esportazioni di carne di maiale, perché il rischio di ricadute dell’epidemia sulle imprese e sull’occupazione è drammatico".