Ribaltata la sentenza di secondo grado del 23 giugno 2022 con cui la Corte d’Appello di Palermo aveva assolto l’imputato. Per i giudici palermitani il rifiuto verbale della vittima non era sufficiente
“L’aggressività è gradita alla fanciulla è una massima anacronistica” che non può giustificare gli autori di uno stupro. È con questa motivazione che lo scorso 2 aprile la Corte di Cassazione ha annullato una sentenza. La Corte di appello di Palermo si era rifatta appunto al detto latino di Ovidio “vis grata puellae” per giustificare l’assoluzione dell’uomo accusato di aver violentato una ragazza mentre la riaccompagnava a casa, dopo una serata in discoteca. Per i giudici palermitani, infatti, il rifiuto verbale della vittima, ossia il suo “no” al rapporto sessuale non era stato ritenuto sufficiente: il fatto che la vittima non fosse fuggita e non avesse riportato evidenti lesioni, era la prova del un implicito consenso.
Le motivazioni della Cassazione
Ma adesso la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado del 23 giugno 2022. “La Corte d'appello ha più volte evidenziato - precisano gli Ermellini - l'assenza di una reazione fisica della persona offesa, nonché l’assenza di segni esteriori indicativi di una violenza, facendo richiamo alla anacronistica massima della vis grata puellae, assunto in base al quale la donna ha un onere di resistenza, forte e costante, agli approcci sessuali dell’uomo, non essendo sufficiente manifestare un mero dissenso”.
La vicenda
I fatti risalgono alle sera dell’11 agosto 2016. La vittima, in seguito a un litigio con il fidanzato si era fatta dare un passaggio da un uomo conosciuto in discoteca che ha approfittato della situazione per saltarle addosso, prima nel suo furgone e poi a casa sua. La ragazza l’indomani aveva riferito tutto alla madre, alle numerose amiche e infine alla psicologa. Aveva ammesso di essere rimasta “sempre inerte, sopraffatta e paralizzata non solo in occasione dei primi atti sessuali, consumati all’interno del furgone in zona isolata e in piena notte, dove non vi era nessuno a cui chiedere aiuto, ma anche quando, rimasta a pochi minuti da sola in macchina con gli sportelli aperti, non aveva tentato la fuga”. Secondo i giudici dellaCassazione, la mancata fuga “è da ricondurre ad uno stato di prostrazione psichica tale da inibirle qualunque forma di reazione concreta e attiva”.