Processo per lo stadio della Roma, nove condanne e una decina di assoluzioni

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Arriva il primo verdetto nel procedimento sul nuovo stadio della Roma. I giudici hanno inflitto tre anni di reclusione a Luca Lanzalone, otto anni e 8 mesi a Marcello De Vito e un anno a Giulio Centemero. Due anni di carcere per Luca Parnasi che aveva optato per il rito abbreviato mentre per l'avvocato Camillo Mezzacapo sono stati inflitti 9 anni di carcere. Condannati inoltre Giuseppe Statuto, Gianluca Bardelli e Andrea Manzoni

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Nove condanne e una decina di assoluzioni. È questo il primo verdetto nel processo scaturito dalla maxi indagine della Procura capitolina sul nuovo stadio della Roma. Dopo oltre otto ore di camera di consiglio, i giudici hanno inflitto, tra gli altri, tre anni di reclusione a Luca Lanzalone, otto anni e 8 mesi all'ex presidente dell'assemblea capitolina Marcello De Vito e un anno al parlamentare della Lega, Giulio Centemero. I giudici hanno, poi, disposto due anni di carcere per l'imprenditore Luca Parnasi che aveva optato per il rito abbreviato mentre per l'avvocato Camillo Mezzacapo sono stati inflitti 9 anni di carcere. Condannato, inoltre, l'imprenditore Giuseppe Statuto ad un anno e sei mesi mentre per Gianluca Bardelli inflitti 6 anni e 8 mesi e 8 mesi al commercialista Andrea Manzoni. I giudici hanno disposto inoltre per De Vito e Mezzacapo il pagamento di circa 230 mila euro in favore del Comune di Roma.

Le assoluzioni

Tra gli assolti, con la formula “per non aver commesso il fatto” o “il fatto non sussiste”, l'ex assessore regionale Michele Civita, Francesco Bonifazi, ex tesoriere del Pd oltre che l'ex sovrintendente Francesco Prosperetti e l'ex consigliere comunale Davide Bordoni. La sentenza recepisce solo parzialmente l'impianto accusatorio dei pm di piazzale Clodio che avevano sollecitato 22 condanne in un procedimento in cui si ipotizzavano episodi di corruzione, traffico di influenze e finanziamento illecito.

Le reazioni

Per i rappresentanti dell'accusa dalle indagini e dal dibattimento "è emerso in modo chiaro l'esistenza di un 'sistema Parnasi' che per favorire le proprie attività si serviva di schemi corruttivi gravi, attraverso favori ai politici locali, di tutti i partiti, come metodo per fare impresa". Commentando la decisione del tribunale i difensori di Parnasi non hanno nascosto la loro soddisfazione annunciando il ricorso in appello. "Abbiamo fatto una grande battaglia processuale, sono state riconosciute gran parte delle questioni che avevamo posto - afferma l'avvocato Emilio Ricci - ci hanno riconosciuto l'attenuante della collaborazione, le generiche, siamo contenti anche della derubricazione tra corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e corruzione per l'esercizio della funzione".

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L’impianto accusatorio

In base alla struttura dell'accusa, Parnasi ha cercato di pilotare le procedure amministrative legate al masterplan per l'impianto che doveva sorgere a Tor di Valle, approvato, nell'ambito della conferenza dei servizi. Un provvedimento che portò, tra l'altro, all'abbattimento del 50% delle cubature rispetto all'ipotesi iniziale. In questo sistema Parnasi - per l'accusa- aveva in Lanzalone una referente di primo piano. L'avvocato genovese, secondo i pm, ha svolto attività illecita non solo nel suo ruolo di consulente di fatto per gli M5s nella trattativa per il nuovo impianto sportivo ma anche da presidente di Acea. Nel processo è finito anche il filone che riguardava il finanziamento alla politica: quel fiume di denaro, circa 400 mila euro, che Parnasi, per sua stessa ammissione, avrebbe garantito alle fondazioni vicine alcuni partiti.

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