Su Repubblica il padre di Giulia rilascia un’intervista coraggiosa e amara dove affronta varie tematiche e non solo quelle relative al suo dramma personale. “Perdonare è una parola che non deve neanche entrare nella mia mente”
Nel giorno in cui si festeggia la donna arriva un’intervista su La Repubblica a Gino Cecchettin, padre di Giulia, uccisa l’11 novembre a 22 anni. Una confessione coraggiosa e amara dove affronta varie tematiche e non solo quelle relative al suo dramma personale. Cecchettin si domanda ancora come si poteva evitare l’omicidio di Giulia. “Continuamente, te lo chiedi. Ma a me stesso, prima: cosa potevo fare. E dopo allo Stato, alla sicurezza. Io potevo parlare di più con lei. Scavare, magari non dare tanta libertà a una ragazza che pure era responsabile, coscienziosa come lei”. Convinto che se avesse avuto un dialogo più aperto con la figlia le cose sarebbero potute andare diversamente Cecchettin lancia un monito ai genitori: “Non dobbiamo aver paura di violare anche la loro privacy, non dobbiamo fare gli amici o pensare che tutto andrà necessariamente come loro pensano che vada. Dobbiamo perdere tempo, con loro”.
Bisogna investire di più
In riferimento al lavoro delle forze dell’ordine il padre di Giulia ringrazia per il lavoro svolto, ma pensa che “se davvero vogliamo cambiare le cose, se la battaglia contro i femminicidi e la violenza di genere la dobbiamo fare insieme, dobbiamo anche investire. Di più. Sulla vigilanza, sui territori. Dobbiamo avere pattuglie in più, donne e uomini in più. Non posso dimenticare che mentre denunciavo, mentre giustamente ripetevo una due dieci volte le cose, tutto si era già compiuto”.
La nascita di una Fondazione
Il suo libro, “Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia” (Rizzoli), è un testo che ruota attorno al tempo e alle cose importanti. “È la grave lezione che ho appreso, tra le altre. Spero di riuscire a vivere diversamente, e che sia utile. L’amore di Giulia mi ha aiutato a scriverlo: non è un santino retorico, lei davvero voleva bene a ogni essere vivente, dialogava con tutti. Ha aiutato compagne a scuola , neanche sapevo quanto. Ha donato molto il suo tempo, ecco”. Col libro verrà finanziata la nascita di una nuova Fondazione. “Vogliamo coinvolgere associazioni, Università: fare formazione, costruire consapevolezza, dare borse di studio per studentesse di materie Stem”.
Le reazioni suscitate
Gino Cecchiettin, che dopo la morte si è esposto parecchio ha raccolto ammirazione e manifestazioni di odio. Ma gli insulti li ha ignorati e ha sempre messo l’accento sull’onda di affetto che li ha sostenuti. “Non dimenticherò mai la telefonata di Mattarella. Perché è arrivata nel momento più duro, e lui lo sapeva. Giulia già non c’era più da settimane, già avevamo subìto tutto, ma aspettavamo di poter fare il funerale. Lui mi ha detto: ti chiamo ora perché so che adesso serve. E mi ha davvero incoraggiato, mi ha dato speranza”.
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La lotta ai femmincidi
E riguardo all’8 marzo, il primo senza la sua Giulia, Cecchettin confessa: “Anche prima non era troppo ludico come momento, per noi. Mia moglie, se devo dire, non è che la sentisse come occasione di festa con le amiche. L’abbiamo sempre vista come una battaglia da fare ancora per la parità dei diritti”. E ancora: “Il termine patriarcato, l’espressione violenza di genere, i femminicidi: sono parole che, quando non ti riguardano, scivolano via. Ho dovuto studiare”.
Il messaggio ai genitori di Turretta
Arriva per ultima, la domanda più attesa, più critica, legata al perdono: “Perdonare è una parola che non deve neanche entrare nella mia mente” aveva dichiarato in precedenza Cecchettin, che resta fermo sulla sua posizione: “Sì, perché a me è stato tolto tanto. È difficile perdonare quando ti viene stroncata la possibilità che hai di vivere una vita felice. Poi, forse, un giorno. Ma ora mi concentro sulla parte della luce”: Ma per i genitori dell’ex di Giulia (mai nominato direttamente nell’intervista, ndr.): “Non ho rancore verso di loro. Non posso averne. Anzi, se vorranno una parola, io ci sono, ci sarò”.