Ilaria Salis, lettera dal carcere: rimasta per 5 settimane con vestiti e biancheria sporca

Cronaca

"Per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto, che mi creavano una reazione allergica", si legge in uno dei passaggi della lettera consegnata all'avvocato nell'ottobre scorso

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Sette mesi e mezzo di carcere a Budapest, in Ungheria, hanno spinto Ilaria Salis il 2 ottobre scorso a scrivere una lettera al suo avvocato per far conoscere le due condizioni detentive. Missiva pubblicata dalla Repubblica. Sono molti i passaggi significativi. In primis, durante l’interrogatorio di convalida dell’arresto, dopo il sequestro dei vestiti, è stata "costretta a indossare abiti sporchi, malconci e puzzolenti che mi hanno fornito in Questura e ad indossare un paio di stivali con i tacchi a spillo che non erano della mia taglia”. In seguito, “fino al 20 marzo (ossia per 5 settimane) quando il carcere ha finalmente autorizzato il Consolato italiano a farmi visita e a recapitarmi il primo pacco, sono rimasta senza un ricambio di vestiti (biancheria intima compresa) solo con i vestiti malconci e gli stivali con i tacchi fuori misura che mi avevano dato in Questura”. Inoltre, non ha potuto avere contati con la famiglia per più di sei mesi. (IL PADRE: "MIA FIGLIA TRATTATA COME UN ANIMALE - A PROCESSO CON MANI E PIEDI LEGATI)

La lettera

La lettera

Tanti i divieti: "Dopo essere stata in cella per una decina di giorni con una donna ungherese sono stata trasferita in una cella singola dove sono rimasta per tutto il mese di marzo. in questo periodo non ero in grado di comunicare le mie necessità oppure se avevo un problema. A settembre ho provato a iscrivermi alla scuola elementare per imparare un po’ meglio l’ungherese ma la mia richiesta è stata rigettata perché non parlo l’ungherese”, si legge. E ancora: "Il 28 febbraio mi hanno chiamato dalla cella dicendomi che c’era il mio avvocato. L’avvocato non c’era e invece ad aspettarmi c’erano due persone che mi hanno detto di essere della polizia ma non hanno esibito nessun distintivo. Mi hanno detto che il mio avvocato non sarebbe arrivato e neanche l’interprete e che volevano interrogarmi in inglese. Mi sono rifiutata e sono tornata in cella. Al sesto piano (dove mi trovavo fino alla fine di giugno) la sezione è mista e le celle maschili sono proprio a fianco di quelle femminili”. Ilaria Salis ha parlato anche dell'incompabilità tra ora d’aria e doccia, spesa, cambio lenzuola. Fino alle cimici: "Per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto, che mi creavano una reazione allergica, come hanno potuto vedere sia l’avvocato Lakatos che Attila Trasciatti [funzionario del Consolato d’Italia a Budapest, ndr]. Nonostante le mie ripetute richieste e i segni visibili che avevo anche in volto, non ho ricevuto per tutto il periodo né gli antistaminici né la crema. Per le cimici il carcere fa la disinfestazione ogni mese: ci fanno uscire in corridoio giusto il tempo di spruzzare il veleno e poi ci richiudono immediatamente in cella, costringendoci a intossicarci ogni volta. Ogni volta faccio fatica a respirare, mi brucia il naso e mi gira la testa. Oltre alle cimici, nelle celle e nei corridoi è pieno di scarafaggi. Invece nel corridoio esterno, appena fuori dall’edificio da cui dobbiamo passare per andare all’aria, spesso si aggirano topi (non di compagnia)”. Infine: "Oltre alle manette qui ti mettono un cinturone di cuoio con una fibbia a cui legano le manette. Anche i piedi sono legati tra loro: intorno alle caviglie mettono due cavigliere di cuoio chiuse con due lucchetti e unite tra loro da una catena lunga circa 25 cm. Poi mettono un’ulteriore manetta a un solo polso, a cui è fissato un guinzaglio di cuoio che all’altezza dell’estremità è tenuto in mano dall’agente della scorta. Tutto questo materiale pesa qualche chilo e la legatura ai piedi permette di fare passi molto corti (...) Legata così ho dovuto salire e scendere diversi piani di scale. SI rimane legati così per tutta la durata dell’udienza e sono rimasta così legata anche per tutta la durata dell’esame svolto dall’antropologo”.

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